Autore Topic: Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo  (Letto 2739 volte)

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #15 il: Marzo 19, 2020, 19:29:53 pm »
Sì, mi ricordo di Todo Moro... oops volevo scrivere Todo Modo, mi son sbagliato. :D
Mi ricordo anche dei radicali, purtroppo... :sick:

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #16 il: Marzo 20, 2020, 08:17:45 am »
Oggi il generale Laporta canta che è un piacere:

La ricostruzione che il generale Piero Laporta ha fatto su questo sito lunedì 16 marzo della strage di via Fani e del rapimento di Aldo Moro ha provocato molta discussione e reazioni, alcune pubbliche, altre private, manifestate personalmente a chi scrive. Nel frattempo il generale Laporta ci ha scritto questo seguito al suo primo contributo, un seguito che vuole rispondere a quesiti e domande. Buona lettura.

Caro Marco, sono stato sollecitato da più parti, a causa del precedente articolo, a spiegare perché volevano la morte di Aldo Moro.

Non è compito mio e non sono in grado di dare alcuna certezza. Il mio articolo è stato meramente tecnico, a smontare la narrativa ufficiale, per evidenziare le irrimediabili incongruenze da cui è afflitta la vulgata su via Fani. Ho portato una prova documentale, chi può smontarla si faccia avanti. Ho portato una prova a conoscenza di inquirenti e magistrati almeno dal 1990.

Quel terribile brano della lettera alla signora Moro non lascia scampo e conviene richiamarlo alla memoria: «Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico ma tutte attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti di viaggio».

Aldo Moro, fine giurista, se fosse stato sull’auto che recava le sue borse, avrebbe avuto perfetta consapevolezza che esse erano state portate via dai suoi carcerieri oppure sequestrate dall’autorità giudiziaria.

Non c’era una terza possibilità.

Non era dunque affare del segretario Rana, recuperarle.

Dove è avvenuta la separazione di Aldo Moro dalla sua scorta? Non è affar mio stabilirlo. Ho un’idea precisa, ma non mi perdo in congetture.

Non c’è dubbio quindi che le borse sono andate da una parte, insieme alla scorta, mentre Aldo Moro è andato verso il carcere dei sicari brigatisti. Egli immaginava la sua scorta indenne in via Fani, per poi transitare davanti alla chiesa di santa Chiara, dove Aldo Moro si sarebbe soffermato a pregare in altre circostanze.

Perché massacrare la scorta, se avevano già rapito Aldo Moro?

Ovvio, perché non testimoniassero l’antefatto. Per comprendere quanto sia importante questo nodo si legga quanto riferisce il magistrato Gianfranco Donadio, il 4 marzo 2017, alla Commissione parlamentare d’inchiesta:

https://www.pierolaporta.it/wp-content/uploads/2020/03/gerograssi.pdf

Perché una forza oscura si muove per uccidere Aldo Moro quando sembra a un passo dalla liberazione? Perché a buona parte delle autorità politiche e all’opinione pubblica si dette a bere la commedia di via Fani. Dimostrazione di “geometrica potenza” definì il massacro di via Fani, un Franco Piperno amico e sodale di Bettino Craxi.

Se Aldo Moro fosse tornato quindi vivo dalla prigionia, si sarebbe svelata la turpe commedia della “geometrica potenza”, delle finte linee umanitarie, degli ordini ai dirigenti di partito dalle centrali internazionali ed eseguiti fedelmente.

Se Aldo Moro fosse tornato vivo i vertici dei partiti italiani, tutti, e delle cancellerie internazionali avrebbero dovuto dare risposte che non potevano e non volevano dare.

In altre parole, Aldo Moro doveva morire e ciò fu deciso a un livello superiore ai vertici dello Stato e ai partiti italiani, gran parte dei quali consapevoli e codardi.

Ribadisco che non ho alcuna certezza sugli antefatti (quindi sui moventi), ma i fatti sin qui appurati certificano una complicità internazionale che supera le contrapposizioni ufficiali fra Nato e Patto di Varsavia.


Almeno dal 1973, anno della guerra dello Yom Kippur, preceduta dall’attentato a Enrico Berlinguer a Sofia, il 3 ottobre, c’è un gioco delle parti dei servizi segreti italiani, statunitensi, francesi, inglesi, tedeschi, israeliani e sovietici, insieme ai politici loro servi.

Chi ha tenuto segreto l’attentato a Berlinguer sino al 1991, poi non ha spiegato perché quell’attentato fu compiuto. Il compromesso storico? Non diciamo sciocchezze. Alexander Dubček prese solo qualche ceffone sebbene, solo cinque anni prima, ad agosto del 1968, avesse messo sossopra la Cecoslovacchia e il Patto di Varsavia.

Perché Berlinguer ha taciuto? Che cosa aveva fatto per meritare la morte? Che cosa dette in cambio per sopravvivere?

Nessun approfondimento è mai stato fatto, per esempio, sulla presenza a Roma, in via degli Orti d’Alibert, d’un capitano del GRU*, messo alle costole di Aldo Moro. Il figuro poi riapparirà nell’attentato a Giovanni Paolo II. Ah, dimenticavo, costui abitava in un appartamento di proprietà del Vaticano. E qui entra in ballo un altro servizio segreto, quello vaticano, il quale evidentemente trovò non pochi ostacoli entro le Sacre Mura.

Via Caetani, dove ritrovarono il corpo di Aldo Moro, prendeva il nome dal palazzo nel quale era di casa Igor Markevitch, direttore d’orchestra ucraino, in forza al Kgb. Durante la Seconda guerra mondiale fu agente di collegamento coi servizi inglesi per conto dei sovietici, si infiltrò nella Resistenza italiana e nel 1948 divenne cittadino italiano, sposando la duchessa Topazia Caetani. Si imparentò pure con Hubert Howard, agente britannico, questi avendo sposato Lelia Caetani, cugina di Topazia. Secondo Ferdinando Imposimato, Markevitch fu “l’anfitrione di Firenze” durante il rapimento Moro.

I rapporti fra Igor e BR sono in un rapporto del Ros Carabinieri, secondo i quali Giovanni Senzani, ritenuto dagli americani vicino ai servizi francesi, presentò Markevitch a Mario Moretti.

Un rapporto del Sismi, nel 1980, descriveva Igor agente con un passato con MI6, Kgb e Mossad.

Come si può capire, la vicenda di Aldo Moro è un maleodorante verminaio, nel quale io mi limito ad additare una scollatura tecnica, un granello di sabbia di colore differente, sfuggito per 40 anni. Vogliamo indagare sul passato? Difficile dire se sia ancora utile.

La storia è maestra di vita; non ha tuttavia scolari, aggiungeva Antonio Gramsci. Allora dobbiamo tornare indietro per guardare avanti. Possiamo fare ipotesi, per quello che valgono, puntando sempre su denaro e potere, colonne di tutti i peggiori misfatti.

Se consideriamo quanto è avvenuto dalla morte di Aldo Moro ai giorni correnti, con la spinta oramai palese a sottomettere popoli ed economie al potere finanziario, di certo è importante ricordare che Aldo Moro, aggirando i limiti imposti da Fondo Monetario Internazionale (aumentando la massa di denaro circolante e finanziando gli investimenti) sostenne l’emissione delle banconote da 500 Lire, serie “Mercurio alato”, stampate dallo Stato italiano e non dalla Banca d’Italia.

Dopo il 16 marzo 1978, terminò l’emissione del biglietto di Stato che avrebbe finanziato il Belpaese senza aumentare il debito pubblico. Oggi possiamo comprendere quanto sgradite fossero tali manovre ai poteri “storti”.

Un’altra chiave di lettura la si può trovare nelle connessioni fra Stato, Pci, Dc e mafia, cominciate nel 1977, per la costruzione della base missilistica di Comiso, un crogiolo di corruzione, nel quale furono inghiottite le esistenze di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Pio La Torre:

https://www.pierolaporta.it/dalla-chiesa-torre/

Aldo Moro non avrebbe consentito quelle sconcezze né alla DC, né al Pci né ad altri. L’ostilità per il compromesso storico di Mosca e di Henry Kissinger sono quindi importanti, entrando tuttavia in un poliedro criminale che salda ulteriori complicità.

Ripeto, al di là dei fatti reali, non si può, è persino inutile cercare moventi.

Dico moventi, al plurale, perché – di questo possiamo essere certi – fu una consorteria trasversale, interna ed esterna all’arco costituzionale e agli schieramenti NATO e Patto di Varsavia, ad assicurare l’impunità ad assassini sedicenti comunisti, garantendo i depistaggi fino ai giorni correnti e la vita agiata agli assassini.

Quanti si dicono indifferenti alla sorte di Aldo Moro a causa dei cedimenti alla Jugoslavia, sono ingenerosi e non tengono conto dei fatti oggettivi. Quando si perde una guerra tutto finisce nelle mani del vincitore: economia, industria, servizi segreti, diplomazia, magistratura e forze armate. Per recuperare la sovranità tanto Alcide De Gasperi quanto Aldo Moro dovettero cedere dei pezzi. La Jugoslavia era divenuta importante per la NATO in caso di guerra col Patto di Varsavia. Aldo Moro non era responsabile di questo e neppure si può ascrivergli l’irresponsabile fuga dalle proprie responsabilità dell’alta borghesia lombardo piemontese, dei coté romano, milanese, fiorentino, bolognese e persino napoletano. A questi si sommò una porzione importante della Chiesa. Da qui forza il Pci, per poi perdere la propria identità. Oggi è evidente quanto l’accattocomunismo sia trascolorato in accattoglobalismo.

Aldo Moro teneva botta agli attacchi ma doveva cedere in alcuni settori – la Jugoslavia, per esempio – ben sapendo che al suo fianco operavano servi degli statunitensi, degli inglesi, dei francesi, dei tedeschi e dei sovietici. Uno di costoro, poi arrivato ai vertici dello Stato, servì almeno tre padroni.

D’altronde Aldo Moro non ebbe, su Osimo, alcun aiuto da parte di Enrico Berlinguer, l’unico al quale non ha indirizzato alcuna lettera dalla prigionia, né menzionato nel memoriale.

La storia non si fa coi se e i ma. Dobbiamo tuttavia chiederci se sarebbe stato così facile sottomettere l’Italia – dal 1981, quando Beniamino Andreatta e Mario Monti privatizzarono Banca d’Italia con una letterina – fino ai tragici giorni correnti, mentre l’Europa e il mondo si prendono gioco di noi. La storia non si fa con i se e i ma. Proprio per questo motivo si uccide chi può tradurre in realtà politiche e di fatto tanto i ”se” quanto i ”ma”. Lo si uccide e se ne distrugge la memoria. Questo hanno fatto dal primo momento con Aldo Moro, lo hanno diffamato per 40 anni e ancora insistono:

https://www.pierolaporta.it/wp-content/uploads/2016/05/bufale-di-lotta-e-di-governo.pdf

In conclusione Aldo Moro ha condiviso la sorte con Abraham Lincoln, coi fratelli Kennedy e con tanti altri poveri disgraziati – penso alle vittime del terrorismo, a tutte le vittime senza distinzione di schieramento – che hanno perso la vita per fare il bene comune o perché troppo giovani e troppo ingenui per non farsi ingannare dagli squali della politica.

Solo per questo penso sia importante continuare a scavare sulla morte di Aldo Moro. Per quanto mi riguarda, non ho alcun interesse personale, se non il ricordo dello sguardo di Aldo Moro che incrociò casualmente il mio, ad agosto 1968, durante una sua visita a San Giovanni Rotondo. Era un uomo profondamente buono e pulito, lo pensai allora, quando non avevo alcuna simpatia per la DC, ne sono ancora più convinto oggi, grazie alle lezioni che la vita mi ha dato. Dio abbracci Aldo Moro e aiuti l’Italia. (www.pierolaporta.it)

Piero Laporta

* GRU (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie – Direttorato dell’intelligence generale) è tuttora il servizio segreto militare russo, la cui missione è rimuovere gli impedimenti che ostacolano i piani militari strategici. Opera al di fuori dei confini della Russia (allora dell’URSS) e ha totale indipendenza dal KGB. Fu creato da Lenin e ha ramificazioni e residenture in tutto il mondo. Quella che a quel tempo “curava” l’Italia, era in Svizzera nella villa d’un noto magnate italiano, padrone di pezzi importanti della stampa. Per intenderci, Pietro Secchia e Sergei Antonov, il capo scalo della Balkan Air, mentore di Ali Agca, rispondevano al GRU.

https://www.marcotosatti.com/2020/03/20/caso-moro-il-gen-laporta-risponde-a-domande-e-commenti/
« Ultima modifica: Marzo 20, 2020, 08:28:58 am da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #17 il: Marzo 20, 2020, 17:15:57 pm »
Ho letto Sciascia, una bojata colossale... :sick:
Invece Laporta sta vuotando il sacco, ma ormai è tardi... sulla figura di Markevitch c'è poco da dire, c'ha una faccia da viscido che è tutto un programma, e poi i trascorsi danno adito a molti dubbi. Guarda caso il figlio Oleg, che ha sempre negato ogni addebito al padre, ha pensato bene di prendere il cognome materno.
Poi Senzani, altro delinquente infiltrato dai servizi; insomma "un verminaio" totale.
Non sapremo mai la verità, questo è chiaro, come tante vicende fondamentali della storia; e a me la cosa fa girar le balle ma tant'è. :(

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #18 il: Marzo 20, 2020, 17:21:11 pm »
Citazione
Ho letto Sciascia, una bojata colossale...
Dove ha sbagliato secondo te?
Citazione
Non sapremo mai la verità,
Su Mattei sappiamo già molto. Al tempo...
Citazione
e a me la cosa fa girar le balle ma tant'è.
A chi lo dici
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #19 il: Marzo 20, 2020, 20:31:55 pm »
Su Senzani e altre porcherie (Servizi, malavita, il fantomatico bar Olivetti ecc.) segnalo The Moro Files, lunga intervista ad un membro della Commissione Moro:
https://www.byoblu.com/percorsi/the-moro-files/

Non è oro colato, ma fornisce molti particolari accertati ufficialmente.
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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #20 il: Marzo 21, 2020, 10:46:30 am »
Dove ha sbagliato secondo te?
Non è che sbagli, dice poco e niente... sì vabbè le digressioni, le citazioni di Unamuno e altri pour épater les bourgeois, sai che me ne frega... i video di Messora con Grassi li avevo visti tutti, beh qui siamo su un altro piano.
Ma Sciascia è così, pure il libro su Majorana è uguale, non aiuta a capire più di tanto, parlo per me almeno.
Il classico intellettuale con le sembianze alternative che invece è integrato e politicamente corretto, verboso senza dire nulla e quindi noiosissimo.
Però ha un grosso pregio: ha scritto libri piuttosto brevi (e per questo assai amato dagli studenti :lol:)

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #21 il: Marzo 21, 2020, 13:54:57 pm »
Quelle sono le prime pagine, dopo dice un bel po': che Moro si trovava forse in un'ambasciata, che dava a Cossiga informazioni per un intervento militare ("passo preventivo"), che accusava la scorta di complicità...

Da notare che Grassi a seguito delle indagini su Moro è stato escluso dalle liste del PD.
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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #22 il: Marzo 21, 2020, 19:40:07 pm »
Quelle sono le prime pagine, dopo dice un bel po': che Moro si trovava forse in un'ambasciata, che dava a Cossiga informazioni per un intervento militare ("passo preventivo"), che accusava la scorta di complicità...

Mi sembra un po' poco, e soprattutto non esplicita (forse non ha voluto o potuto, non so) che le Br col cavolo sarebbe riuscite a fare un'operazione del genere... per rapire Sossi, che andava al lavoro in bus senza scorta, erano in 18 e a "prelevare" Moro quattro gatti... 
Lui invece scrive di Stato vs Br come se fosse uno scontro chiaro tra due forze contrapposte; poi la butta lì con quella della scorta, ma parlare chiaro quando mai... ma forse non poteva e allora si limita a questa analisi filologica-psicologica-politica sulle lettere di Moro.
Certo così è un libro scarsamente utile, a parte per gli eredi che incasseranno i diritti d'autore.
Invece solo per fare un esempio bastava chiedersi come facevano le Br a sapere che Moro avrebbe fatto proprio quel giorno quella precisa strada (il percorso lo cambiavano ogni giorno) perché sono andati la notte prima a tagliare le gomme a Spiriticchio.
Serve l'analisi dei dettagli "tecnici" e non la letteratura per risolvere questo mistero.

 

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #23 il: Marzo 21, 2020, 20:13:55 pm »
Il libro fu scritto solo poche settimane dopo il fatto e già ipotizza che  le BR avessero legami con Servizi stranieri. Dopo è stato fatto molto di più, ma Sciascia è finora l'unico ad aver fatto alcune deduzioni a partire dalle lettere.
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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #24 il: Marzo 23, 2020, 15:31:39 pm »
Nuovo articolo di Agostino Nobile a seguito delle dichiarazioni del gen. Laporta:

Come fu destabilizzata l’economia italiana

Agostino Nobile ha letto i due articoli che il generale Piero Laporta ha pubblicato sul nostro blog relativi al rapimento di Aldo Moro, al quadro geopolitico in cui quel delitto si inseriva, e alle conseguenze economiche e politiche per il nostro Paese. E ne ha tratto spunto per questa riflessione, molto interessante e articolata, che volentieri sottoponiamo al vostro giudizio. Buona lettura.

§§§

Ringrazio l’amico Piero Laporta per gli articoli pubblicati su SC sul caso Moro. Un fatto storico che non può essere sottovalutato né, tanto meno, lasciato nel dimenticatoio. Non voglio sostenere o smentire la tesi di Laporta, ma dal 1969 all’84 gli omicidi mirati e le stragi in Italia rappresentano un bollettino di guerra che non possiamo definire casuale. Penso, dunque, che sia bene parlarne, perché a partire da quegli anni l’Italia, nonostante le qualità imprenditoriali e artigianali, dopo alti e bassi, si trova nella criticità politica ed economica attuale.

Partendo da una prospettiva cattolica, vorrei contribuire alla riflessione avvalendomi di un articolo riportato in un mio libro pubblicato nel 2015.

Dopo la II Guerra Mondiale l’Italia era un paese in ginocchio, mancava l’essenziale e la maggior parte delle infrastrutture erano devastate. Grazie al governo guidato dal partito Democrazia Cristiana, tra gli anni cinquanta e sessanta in Italia si realizza quello che verrà definito boom economico. L’efficienza del popolo italiano e il sistema economico vincente adottato dal governo d’ispirazione cattolica, però, causò una certa preoccupazione ai poteri forti che guidavano il sistema economico nord-europeo e statunitense, definito Atlantico. Questo sistema ottenne forza, guarda caso, negli anni settanta, e si fonda sulla deregulation. Ovvero, un’economia dove, oltre ad opporsi alle regole precedenti, lo Stato  può solo guardare come spettatore. La mancanza di un’etica economica ha creato quei mostri finanziari che hanno creato la giungla monetaria delle ultime decadi. Il risultato l’abbiamo sotto gli occhi: aumento delle tasse e impoverimento dei cittadini per rimpinguare le casse delle banche.

Ma perché i poteri forti della finanza Atlantica si preoccuparono del successo italiano, tanto da definirlo miracolo economico? (come se fosse stato un miracolo e non una scelta economica razionale vincente). Lo spiega  in parte Ettore Bernabei, direttore generale della RAI dal 1960 al 1974,  nel libro intervista L’Italia del miracolo e del futuro: «In ambienti occidentali da tempo si sopportava con disagio che l’Italia, paese guidato da un partito di ispirazione cristiana, fosse diventato il quarto tra i sette paesi più industrializzati del mondo. Questo dato statistico fece apparire quanto fossero infondate le accuse, di matrice protestante massonica, da decenni rivolte ai cattolici di essere incapaci di assicurare benessere e libertà alle loro popolazioni. Il miracolo italiano aveva smentito tutti questi pregiudizi.»

Qual era il sistema economico italiano tanto detestato dai poteri forti? Quello più democratico e  più cristiano, in quanto si basa sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza fra le varie classi sociali. Il modello economico italiano si ispirava alla Dottrina sociale della Chiesa, che ha le sue radici nella Rerum Novarum di papa Leone XIII. Il successore di Pietro voleva indirizzare il pensiero dei cattolici in economia  per difenderlo dalle ideologie che si aggiravano in Europa.

Dunque, il successo della politica economica italiana doveva essere eliminato, altrimenti avrebbe potuto espandersi negli altri paesi, togliendo il potere economico al sistema Atlantico. La prima mossa fu quella di distruggere dall’interno l’equilibrio sociale. Le quinte colonne o gli utili idioti, dipende dai punti di vista, furono i mezzi di comunicazione e gli intellettuali di sinistra. Dario Fo ne fu il principe, tanto che nel 1997 fu insignito immeritatamente del Premio Nobel per la letteratura.

A partire dagli anni ’70 le Brigate Rosse insanguinarono l’Italia. La loro opera criminale che puntava all’abbattimento dei governi di ispirazione cristiana, si concluse col rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e uomo profondamente cattolico.

I mezzi di comunicazione in un primo momento descrivevano le Brigate Rosse, di matrice marxista-leninista, più o meno come degli eroi che lottavano per il proletariato. In realtà, il processo a carico dei capi brigatisti, come conferma il giudice Rosario Priore nel libro intervista Intrigo internazionale: Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire (Ed. Chiare Lettere, 2010), evidenzia la mano longa dei servizi segreti stranieri.

Avvalendosi delle carte processuali, Bernabei, continua: «Le B.R. erano pilotate dall’agenzia Hyperion, che aveva sede a Parigi, sotto le insegne di una scuola di lingua, e agiva in collegamento con l’organizzazione terroristica tedesca  della R. A. F. L’agenzia Hyperion (…)  rifornivano di armi, provenienti in prevalenza dal Libano, le B. R. che operavano in Italia. L’obiettivo di fondo del terrorismo in Italia era sempre quello di creare difficoltà alla Chiesa cattolica.»

Secondo alcuni osservatori Aldo Moro fu assassinato per motivi geopolitici. I governi sovietico  e americano si opponevano al cosiddetto compromesso storico. I primi temevano che l’apertura a sinistra avrebbe indebolito il Partito Comunista Italiano; gli americani temevano che il compromesso avrebbe favorito i sovietici. Ma, come dicevamo, c’era dell’altro.

Bernabei, sottolinea: «Fu calcolato che un brigatista rosso prendesse diversi milioni di lire di stipendio al mese, più vitto e alloggio, con molti extra per la dolce vita

Agli inizi degli anni ’90 alla RAI furono licenziati 1200 persone della dirigenza medio alta, «di queste – ricorda Bernabei – circa 1000 erano cattolici (…). Fu ritenuta una colpa l’essere cattolici. Fu una vera e propria operazione di “pulizia etnica”

Con l’operazione Mani pulite magistrati di sinistra con le manette facili, spinsero al suicidio alcuni imprenditori ed eliminarono definitivamente la Democrazia Cristiana. Partito certamente non esente da corruzioni, ma da quello che vediamo in Italia e nel mondo, i governi “puliti” esistono solo nella mente degli ingenui. Fatto sta che  dagli anni ’90 ad oggi, molte industrie e aziende italiane sono finite nelle mani di holding straniere, che si appropriano anche del grande artigianato lasciando agli italiani le briciole.

Dato che molti non conoscono la diffidenza che certi ambienti protestantici riservano ai cattolici, riporto un aneddoto raccontato dall’allora primo ministro Tony Blair. Quando nel 2005 designò come nuovo ambasciatore in Vaticano il cattolico Francis Campbell, nelle stanze di Downing Street ci fu molta sorpresa: «ma non va bene, è cattolico!» Avete mai sentito esclamare ad un politico italiano lo stesso commento riferendosi a un protestante? Ricordando questi fatti non vogliamo infondere astio o, peggio, ispirare nuove guerre di religione, ma consapevolezza.

Grazie a politici che disprezzano i propri paesi, i protestanti del nord hanno in mano l’economia europea, Germania in testa. I grandi paesi del sud Europa, di radici cattoliche come l’Italia, la Spagna e la Francia, annaspano. L’ortodossa Grecia se la sono già mangiata. Possiamo salvarci solo costruendo un’Europa senza pregiudizi anticattolici. Dovremmo rivalorizzare la famiglia formata da padre e madre, colonna portante della società, accogliendo la politica che ha portato l’Italia del dopoguerra tra le prime economie del mondo.

Agostino Nobile

https://www.marcotosatti.com/2020/03/22/nobile-come-fu-destabilizzata-leconomia-italiana/
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #25 il: Marzo 24, 2020, 14:53:34 pm »
Oggi il gen. Laporta canta ancora:

LAPORTA: PERCHÉ ALDO MORO NON FU UCCISO SUBITO?

Il generale Piero Laporta risponde in questo articolo alla domanda posta da una delle amiche di Stilum Curiae, e nata dalla discussione che si è originata nei due articoli precedenti: Aldo Moro non era in via Fani, e Caso Moro: Laporta risponde a domande e commenti, pubblicati nei giorni scorsi. Come sempre, si tratta di una lettura avvincente su quegli anni e fatti drammatici, che hanno pesato – e pesano ancora – sulla nostra esistenza. Buona lettura.
§§§

Caro Marco, il quesito, postomi dalla lettrice Milli, è terribile e, allo stesso tempo, sembra risolvibile con una risposta apparentemente semplice.

Ringrazio davvero Milli perché mi chiede: «Perché non hanno ucciso subito Aldo Moro?».

Questo argomento, come si vedrà, richiede un articolo dedicato. L’avevo quindi omesso per brevità.

Ora però vorrei fornire a Milli e ai lettori di Stilum Curiae elementi essenziali per orientarsi.

Se Milli può e vuole consultare le lettere di Aldo Moro, si avvalga solo del libro “Aldo Moro, Ultimi Scritti, 16 marzo -9 maggio 1978”, a cura di Eugenio Tassini, ed. Piemme, 1998. Altre pubblicazioni non sono a mio avviso altrettanto affidabili.

Se lo desidera posso farle pervenire una copia, tramite Marco Tosatti. Ad ogni buon conto ho provveduto a diffonderne in giro una certa quantità, per evitare che facciano sparire il libro.

Veniamo al punto. La risposta che offro contiene molti “se” e altrettanti “ma”, tuttavia cuciti con le evidenze scaturenti dalle lettere di Aldo Moro e da altri documenti che citerò.

Per rispondere occorre partire da un dato di fatto tanto banale quanto vero: non lo hanno ucciso subito. Era quindi interesse strategico dei mandanti che Aldo Moro fosse rapito vivo.

Può apparire banale? Non lo è affatto. Aldo Moro è, come scrive nella lettera a Cossiga: «Sotto un dominio pieno e incontrollato». Potevano quindi ucciderlo subito, semmai fosse rimasto vivo per errore (ma non è così, come abbiamo già scritto nei precedenti articoli), potevano sparargli un colpo in testa in via Fani, oppure ucciderlo immediatamente dopo essersi allontanati, se si fossero sentiti incalzati dallo stranissimo accorrere del capo della Digos, giunto in via Fani mentre i rapitori si allontanavano. Un tempismo tanto singolare quanto sospetto, anche per quanto accade immediatamente dopo l’arrivo del capo della Digos, come certifica la relazione del magistrato Gianfranco Donadio, il 4 marzo 2017, alla Commissione parlamentare d’inchiesta.

Possiamo scervellarci sulle ragioni di questa apparente incongruenza – perché non lo hanno ucciso subito? – ma fin quando non agguanteremo uno di coloro che erano alla testa dell’organizzazione – evento oramai alquanto improbabile – non lo sapremo mai con certezza. Aggrappiamoci dunque ai documenti e alle logiche deduzioni da essi scaturenti.

È lo stesso Aldo Moro, ancora una volta, a guidarci.

La prima lettera a Benigno Zaccagnini (pag. 15 op. cit.) è introdotta dal curatore del libro, E. Tassini, con queste importanti osservazioni:

«Scritta il 31 marzo. Recapitata il 4 aprile a Nicola Rana e, in fotocopia, alle redazioni di La Repubblica, L’Avvenire e Il Settimanale. Pubblicata dai giornali il 5 aprile. In via Monte Nevoso è stata trovata la minuta (con frasi più forti e definitive. In particolare Moro scrive di essere “già condannato”) una prima stesura.»

Non è dato sapere se questo testo sia stato rinvenuto in via Monte Nevoso 8, a Milano, il 1°ottobre 1978, per mano del Reparto speciale antiterrorismo dei Carabinieri, diretto dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Poco dopo il generale Dalla Chiesa fu trasferito al comando della Divisione Pastrengo e il suo reparto antiterrorismo fu disperso. Oppure il testo, chiosato da Tassini, fu rinvenuto nel 1990, durante una ristrutturazione. Neppure posso escludere che il testo fosse rinvenuto in entrambe le occasioni.

Sarebbe oltremodo grave se il testo, rinvenuto nel 1978, non fosse stato valorizzato a dovere. È altrettanto grave che non sia stato valorizzato dopo il 1990. D’altronde non possiamo sapere se tale testo originario qualcuno lo abbia reimmesso in copia in via Monte Nevoso proprio affinché non scomparisse dagli atti.

Non di meno, com’è evidente, esso è stato insabbiato sinora. Perché?

Aldo Moro, persona di intelligenza superlativa, dimostra con pochissime parole d’avere ben compreso che la sua sorte è segnata.

Egli afferma di essere «già condannato». I suoi carcerieri lo censurano, ovvio, altrimenti la commedia della trattativa si sbriciola.

Riflettiamo. Uno degli obiettivi della “trattativa” è certamente quello di individuare gli amici fidati di Aldo Moro e metterli sulla lista nera, dalla quale espungerli a tempo e modo opportuni, per smontare un sistema di potere e sostituirlo con un altro.

Aldo Moro è ben consapevole che è in atto la manovra per la sua successione politica.

La lettera di Aldo Moro è scritta il 31 marzo, è pubblicata il 5 aprile.

Occhio alle date. Il giorno successivo Giorgio Napolitano parte per gli Usa, ottenendo un visto negato da Henry Kissinger e dal Dipartimento di Stato tre anni prima
. Il mediatore con gli Usa per questo visto è Giulio Andreotti.

Non era un viaggio improvvisato. Leggete con attenzione.

«Il “primo viaggio” di un dirigente del Pci negli Stati Uniti era stato predisposto già da alcuni mesi – in risposta all’invito dell’Università di Princeton e di altre prestigiose Università e centri di ricerca – sulla base di un programma di conferenze e seminari, e quindi di una precisa caratterizzazione politico-culturale.» Scrive Giorgio Napolitano, su 30Giorni, diretto da Giulio Andreotti. Era maggio del 2006, mentre la commissione Mitrokhin indagava sul terrorismo, nonostante lo scarso entusiasmo di Silvio Berlusconi.

La figura di Napolitano e i suoi rapporti “trilaterali” con Mosca, Washington e di “fratellanza” con Silvio Berlusconi sono ampiamente noti, grazie a Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara “I Segreti di Napolitano”, Micromega online, 4 dic. 2013

Aldo Moro non sa del viaggio di Napolitano negli Usa. Ha tuttavia perfettamente chiare le conseguenze che si delineano con la sua prossima morte. Scrive nella stessa lettera (pag.16, op.cit.):

«Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la D.C. che, nella sua sensibilità ha il pregio di indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l’avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco

La caccia agli amici di Aldo Moro è intanto già cominciata. Il libro calunnioso di Camilla Cederna, “Giovanni Leone La Carriera di un Presidente”, è finito di stampare dalla editrice Feltrinelli il 16 marzo 1978, giorno della strage. Trent’anni dopo Giorgio Napolitano chiederà scusa per quelle calunnie. Dimenticherà di ricordare che quelle calunnie consentirono di espugnare e controllare il Quirinale sino ai giorni correnti. Dimenticherà di ricordare che il Partito Comunista Italiano fu il più accanito calunniatore di Giovanni Leone, insieme al Partito Radicale.

Difficile negare, guardandoci intorno, quanto Aldo Moro abbia visto giusto sulla sua sorte e sulle conseguenze: egli doveva morire, i suoi amici dovevano essere uccisi o dispersi, la Democrazia Cristiana doveva sparire, l’Italia doveva sottomettersi.

Gli ex comunisti e gli accattocomunisti sono tutti accattoglobalisti
. Il resto è noto. www.pierolaporta.it


https://www.marcotosatti.com/2020/03/24/laporta-perche-aldo-moro-non-fu-ucciso-subito/#respond
« Ultima modifica: Marzo 25, 2020, 13:14:37 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #26 il: Marzo 25, 2020, 09:14:38 am »
Grazie per questi interventi, molto interessanti.
Personalmente però ritengo ci fosse anche da parte francese e soprattutto inglese l'intenzione (è la tesi di Fasanella mi pare) di scalzare l'Italia dal ruolo centrale nel Mediterraneo che si era ritagliata dopo la guerra.
Poi sul fatto che cattolici e ortodossi (quelli veri, eh) diano fastidio a chi dirige l'orchestra dell'ordoliberismus mondializzato e laico (ancorché laido) penso ci sia poco da discutere.

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #27 il: Marzo 25, 2020, 14:17:02 pm »
Grazie per questi interventi, molto interessanti.
Personalmente però ritengo ci fosse anche da parte francese e soprattutto inglese l'intenzione (è la tesi di Fasanella mi pare) di scalzare l'Italia dal ruolo centrale nel Mediterraneo che si era ritagliata dopo la guerra.
Poi sul fatto che cattolici e ortodossi (quelli veri, eh) diano fastidio a chi dirige l'orchestra dell'ordoliberismus mondializzato e laico (ancorché laido) penso ci sia poco da discutere.
Secondo una deposizione giudiziaria, in via Fani quel giorno "c'era tutto l'universo mondo", sicuramente anche gli inglesi furono pesantemente implicati ma mi sembra esagerato ipotizzare, come fa Fasanella, un piano a trazione inglese. Molto maggiore è stato il coinvolgimento dei francesi di Mitterand, con la base operativa nella nota scuola di lingue e il rifugio dato ai terroristi in territorio francese, anche grazie alla rete del discusso Abbé Pierre.
Ancora oggi personaggi come Negri vivono in Francia, dove sono riveriti filosofi ed insegnano all'università, accanto a Légions d'Honneur come Letta. Quote rosa, ma anche quote rosse. :shifty:
Come dice Gero Grassi che per quattro anni ha lavorato alla Commissione Moro:

"La morte di Moro non è l'omicidio di una persona soltanto, è l'omicidio di un'idea di Stato e di mondo.
Moro voleva che l'Europa fosse l'Europa dei popoli e non quella delle banche e che l'Europa dei popoli fosse terza rispetto agli Stati Uniti e alla Russia.
Tutto questo non andava bene agli Stati Uniti, alla Russia, alla Francia e all'Inghilterra. Così come è stato ucciso Enrico Mattei che voleva rendere l'Italia autonoma dal punto di vista energetico.
Moro voleva creare una grande Europa dei popoli, nella quale chi ha di più deve occuparsi di chi ha di meno. Non un'Europa nella quale la Germania si mangia tutto, oggi andiamo verso un pangermanesimo, ma un'Europa in cui gli Stati forti diventino motore di sviluppo. Ma per creare questa grande Europa bisognava cambiare l'accordo di Yalta
."

Anche la politica mediterranea di Moro dava fastidio, sia perché conferiva un ruolo chiave all'Italia, sia perché Moro aveva portato la Pace in Medio Oriente, cosa oggi impensabile.
Con Moro l'Italia era diventata la quarta potenza mondiale, oggi si cerca di riportarla al '48, facendone un Paese del Terzo Mondo a regime feudale.
E' quanto possiamo leggere in questo dovumento, meno affidabile dei precedenti ma non meno interessante ed esatto nelle linee generali:

Il Comitato dei 300: “Distruggeremo l’Italia!

di Rino Di Stefano

Nel saggio dell’ex agente segreto inglese John Coleman l’incredibile strategia di un oscuro e potentissimo Nuovo Ordine Mondiale
per deindustrializzare e impoverire il nostro Paese – di Rino Di Stefano <http://www.rinodistefano.com/>
<https://www.rinodistefano.com/images/rubricaletteraria/committee300/The-Commitee-of-300_large.jpg> The Conspirator’s Hierarchy: The Committee of 300

L’Italia è sotto il tiro di grandi poteri finanziari mondiali, che hanno deciso di ridurne drasticamente il comparto industriale per trasformarla in un Paese arretrato di tipo feudale. A rivelare questa congiura, che casualmente coincide con l’attuale recessione politico-economica che sta distruggendo il Paese, è il libro “The Conspirator’s Hierarchy: The Committee of 300” del dottor John Coleman (“La gerarchia del cospiratore: Il Comitato dei 300”), pubblicato in inglese dalla World Int. Review di Las Vegas, negli Stati Uniti.
Questo libro, giunto ormai alla quarta edizione mondiale, non è mai stato tradotto in italiano. E, se lo si legge, se ne capisce anche il perché. Infatti, in questo volume di 465 pagine viene spiegata la strategia che sarebbe stata adottata dal club dei potenti più forte al mondo, appunto il Comitato dei 300 fondato dall’aristocrazia inglese nel 1727, per ridurre drasticamente il numero di quelli che vengono definiti “useless eaters” (letteralmente “ inutili bocche da sfamare”), riportando le economie nazionali a un livello pre-industriale.
In altre parole, secondo loro, sarebbe necessario riportare la popolazione mondiale a livelli precedenti il Novecento. Il potere, sempre secondo questi signori, deve essere concentrato nelle mani di pochi, ricchissimi e potentissimi finanzieri (si fanno chiamare The Olympians, considerandosi simili ai mitici dei greci dell’Olimpo), i quali decideranno che cosa sia meglio per tutti, Paese per Paese.
I primi tre a essere presi di mira, cioè quelli dove dovrebbe essere adottata questa strategia di impoverimento della popolazione, sarebbero Italia, Argentina e Pakistan. Ma prima di entrare nel merito della questione, ampiamente e dettagliatamente spiegata nel libro, conosciamo un po’ meglio l’autore. John Coleman, Ph.D. (cioè titolare di quello che in Italia chiamiamo un dottorato di ricerca), classe 1935, è un ex agente del servizio di spionaggio britannico MI6, successivamente trasferitosi negli Stati Uniti. Qui, dopo aver acquisito la residenza, ha scelto di diventare cittadino americano. Studioso di fama mondiale, considerato uno scienziato della politica ed un economista, autore di decine di libri pubblicati in otto diverse lingue, Coleman è arrivato alla conclusione che la finanza e la politica dell’intero globo siano realmente nelle mani di un Comitato di 300 notabili che decidono le sorti del pianeta.
Non si tratta di una scoperta del tutto nuova. Già nel 1909 era uscito un articolo in tedesco (“Geschàftlicher Nachwucs” di Walter Rathenau), nel quale veniva spiegato per la prima volta che ciò che accadeva nel mondo era opera di un gruppo ristretto di individui che agiva secondo una precisa e meditata strategia. La Rivoluzione Russa, la Prima Guerra Mondiale, l’ascesa di Hitler e la Seconda Guerra Mondiale, non sarebbero affatto casuali. Tutto sarebbe stato ordito e organizzato da potenti finanzieri che agivano secondo uno schema preordinato.
Coleman ci avrebbe messo 35 anni per verificare questo assunto. E dopo una miriade di interviste ad ammiragli, capi dei Servizi Segreti, ufficiali di alto rango, politici, banchieri ed economisti, è giunto alla conclusione che quel Comitato dei 300 esiste davvero. E in fondo al suo libro riporta i nomi dei passati e dei presenti membri di quel sodalizio. Compresi quelli degli italiani che ne facevano, e ne fanno, parte.
E’ curioso notare che tra gli antichi fondatori del Comitato dei 300, ispirato alla The East India Company britannica, si trovassero diversi rappresentanti della nobiltà nera veneziana e genovese. Aristocratici, questi ultimi, che avrebbero ancora oggi “scanni” tra le fila dei 300.
Del resto, non tutti sanno che la casata di Windsor degli attuali regnanti britannici, venne così definita dal re Giorgio V nel 1917, ma avrebbe dovuto chiamarsi più propriamente casata dei Guelfi, una delle più antiche famiglie della nobiltà nera di Venezia, dalla quale discendeva la regina Vittoria.
Vediamo dunque un po’ più da vicino che cosa scrive Coleman. Prima di tutto, l’attuale Comitato dei 300 sarebbe presieduto da Etienne Davignon, diplomatico, politico e dirigente d’azienda belga, più volte Commissario europeo, proveniente da una delle più blasonate famiglie dell’aristocrazia del vecchio mondo. Davignon, infatti, è anche visconte, nonché presidente del Gruppo Bilderberg, l’altro sodalizio esclusivo degli industriali e dei magnati della finanza internazionale. Il Bilderberg sarebbe una delle organizzazioni controllate direttamente dal Comitato dei 300. Per la cronaca, ne fa parte anche l’ex Presidente del Consiglio, e attuale senatore a vita, professor Mario Monti (“Il Club Bilderberg” di Daniel Estulin, Arianna Editrice, pag. 273).
Secondo Coleman, Davignon sarebbe uno strenuo difensore della teoria della deindustrializzazione, con crescita zero. Una prova sarebbe il Piano Davignon del 1981 che promosse la riduzione della produzione siderurgica, la fine dei sussidi pubblici al settore e un drastico ridimensionamento del numero degli addetti. Una strategia, questa, che venne poi sposata anche dal presidente Reagan, con disastrose conseguenze per l’industria americana, a tutti i livelli e fino ai giorni nostri. Ebbene, ad un certo punto il Comitato dei 300 avrebbe deciso di mettere in pratica la propria politica di contenimento industriale per ridurre la “surplus population” (cioè la “popolazione in eccesso”) in Italia, Argentina e Pakistan.
Attualmente l’Italia è di fatto sotto il controllo di segreti governanti designati dalla loggia P2 della Massoneria – scrive Coleman – . Le corporazioni dirigono l’Italia.— La cosa più singolare riguarda il metodo adottato dai 300.
Coleman sostiene che la loro politica sia quella di sostenere in tutto il globo una diffusione della sinistra politica, sull’esempio dei Socialisti Fabiani. Stiamo parlando di un movimento politico e sociale istituito nel 1884 a Londra col nome di Fabian Society. Si ispirava a Quinto Fabio Massimo, detto “il temporeggiatore”, che contro Annibale aveva usato una strategia attendista di lento logoramento. Il fabianesimo credeva, appunto, ad una graduale evoluzione della società attraverso riforme che portino passo dopo passo verso il socialismo. Il marxismo, invece, crede in un cambiamento repentino e rivoluzionario. Una volta imposto il modello socialista, i 300 lo controllerebbero dall’alto, impedendo che vi siano contestazioni o rivolte. Dunque, una sinistra che verrebbe controllata da una dittatura occulta e potentissima a livello planetario. Ovviamente, nessuno dei sudditi dei regimi socialisti potrebbe mai immaginare che quei governi siano stati voluti da una ristrettissima cerchia di super miliardari che, di fatto, avrebbero costituito un Nuovo Ordine Mondiale.
Per quanto ci riguarda, la notizia più clamorosa che ci dà Coleman la si legge a pagina 47, dove viene raccontata l’assassinio di Aldo Moro. Secondo quanto riporta il libro, l’attentato di via Fani, il rapimento e l’uccisione dello statista furono progettati e portati a termine dal Comitato dei 300. Altro che Brigate Rosse. I terroristi ci misero la faccia e l’organizzazione, ma l’operazione sarebbe stata manovrata interamente dai 300.
Moro, infatti, si opponeva alla “crescita zero” e alla riduzione della popolazione italiana che sarebbe stata commissionata dai 300 al Club di Roma. “Il 10 novembre 1982, in un tribunale di Roma, un buon amico di Moro (si trattava di Corrado Guerzoni n.d.r.) testimoniò che l’ex primo ministro venne minacciato da un agente del Royal Institute for International Affairs (RIIA) che era anche un membro del Comitato dei 300 e Segretario di Stato. Il testimone disse che quell’uomo era Henry Kissinger – scrive Coleman – L’ex primo ministro Moro venne rapito dalle Brigate Rosse nel 1978 e successivamente brutalmente ucciso a colpi di pistola.
Fu al processo dei membri delle Brigate Rosse che diversi di loro testimoniarono di essere a conoscenza del coinvolgimento ad alto livello degli Stati Uniti nel complotto per uccidere Moro. E uno di essi coinvolse Henry Kissinger in questo complotto omicida. Quando Moro venne minacciato, ovviamente Kissinger non era più al servizio della diplomazia americana, ma piuttosto agiva secondo le istruzioni ricevute dal Club di Roma, il braccio politico estero del Comitato dei 300. Questa notizia non venne mai diffusa da nessuno dei media o delle stazioni televisive”.
Ma anche negli Stati Uniti, continua Coleman, nessuno arrivò mai ad accusare formalmente Kissinger. Perché, allora, tutto questo sarebbe accaduto? “Nel mio resoconto del 1982 su questo crimine – spiega Coleman – abbiamo esposto che Aldo Moro, un leale membro del Partito Democristiano, venne ucciso da assassini controllati dalla loggia P2 che avevano come scopo quello di portare l’Italia entro i confini del progetto del Club di Roma per deindustrializzare il Paese e ridurne considerevolmente la popolazione. Il progetto di Moro di stabilizzare l’Italia attraverso la piena occupazione e una pace industriale e politica, avrebbe rafforzato l’opposizione cattolica al comunismo, e reso la destabilizzazione del Medio Oriente (che era l’obiettivo primario) molto più difficile da ottenere per il Comitato”.
I 300, insiste Coleman, non si pongono piani a breve scadenza. Anzi, è vero il contrario. Lo proverebbe l’omicidio di Moro. “La sua morte – si legge nel libro – rimosse GLI OSTACOLI al progetto di destabilizzare l’Italia, e, sulla base di quanto noi sappiamo adesso, ha permesso i piani della cospirazione per il Medio Oriente, portati a termine nella Guerra del Golfo, 14 anni più tardi.
L’Italia venne scelta come bersaglio tipo dal Comitato dei 300 a causa della sua importanza per i cospiratori. Un’importanza dovuta al fatto che fosse il Paese europeo più vicino al Medio Oriente e con più stretti rapporti alla politica e all’economia del Medio Oriente. Inoltre è anche sede della Chiesa cattolica, che si voleva distruggere distruggere”.
Sempre secondo Coleman, l’Italia è importante anche per un’altra ragione del panorama mondiale. Il nostro Paese, infatti, viene considerato la porta di accesso dell’Europa per la droga proveniente dall’Iran e dal Libano. Ma l’aspetto più inquietante di questo interesse della finanza mondiale verso l’Italia, resta quello della copertura che sarebbe stata esercitata da non meglio precisati ricchi italiani, nei confronti dei brigatisti e della Massoneria deviata. “Sin dal 1968, quando venne istituito il Club di Roma – scrive Coleman – numerosi gruppi si sono associati sotto Gianni Agnelli allo scopo di far cadere diversi governi italiani, per destabilizzare il Paese. Tra questi, la nobiltà nera di Venezia e Genova, la Loggia P2 e le Brigate Rosse, tutti quanti operavano con lo stesso obiettivo.
Investigatori della polizia che lavoravano al caso Brigate Rosse-Moro, sono venuti a conoscenza dei nomi di diverse importanti famiglie italiane che controllavano da vicino i leader di questi gruppi terroristici. La polizia scoprì inoltre le prove che, in almeno una dozzina di casi, queste potenti e importanti famiglie avevano messo a disposizione le loro case [via Cetani?] e proprietà per essere utilizzate come basi sicure per le cellule delle Brigate Rosse.
Ben più documentata è invece la parte che riguarda Giovanni Agnelli (Torino 12/3/1921 – Torino 24/1/2003), definito “uno dei membri più importanti del Comitato dei 300”, e il suo amico Aurelio Peccei (Torino 4/7/1908 – Torino 13/3/1984). Peccei, la cui figura non tutti conoscono, fu il fondatore del Club di Roma che Coleman definisce “un ombrello dietro cui si cela un’organizzazione cospiratoria, un matrimonio tra finanzieri anglo-americani e le famiglie della nobiltà nera d’Europa, particolarmente della cosiddetta ‘nobiltà’ di Londra, Venezia e Genova”.
Peccei, comunque, era tutt’altro che uno sconosciuto. Durante la Resistenza aveva militato nelle fila di “Giustizia e Libertà” ed era stato anche arrestato e incarcerato. Nel 1949 si trasferì per conto della Fiat in America Latina, dove in Argentina fondò la Fiat-Concord, succursale dell’industria italiana. Nel 1958 tornò in patria dove fondò la Italconsult, una joint-venture che comprendeva marchi italiani come Innocenti, Montecatini e Fiat. Nel 1964 venne nominato amministratore delegato della Olivetti e quattro anni dopo, nell’aprile del 1968, fondò il Club di Roma insieme allo scienziato scozzese Alexander King.
L’atto di accusa di Coleman verso Peccei è pesantissimo, in quanto lo scrittore sostiene che l’imprenditore italiano abbia avallato nel suo libro “Limits of Growth” (“I Limiti dello Sviluppo”) un progetto che portò le popolazioni di diverse nazioni africane alla morte per fame. Questo “piano” venne poi formalizzato nel “Global 2000 Report” [di H. Kissinger].
Il libro continua la sua lunga esposizione trattando di un’infinità di altri argomenti. Si parla anche dei Beatles, il cui successo sarebbe stato guidato da Theodor Adorno; dei miliardari inglesi che finanziarono prima Lenin e poi Hitler; della morte di Grace di Monaco, che sarebbe stata provocata come presunta ritorsione contro il principe Ranieri; del vastissimo mercato della droga che da secoli finanzia le famiglie più in vista del pianeta; dell’incredibile influenza che l’aristocrazia britannica avrebbe ancora oggi sulla Casa Bianca di Washington; della carriera di Henry Kissinger all’ombra del discusso docente di Harvard William Yandall Elliot; del presunto assassinio di Papa Giovanni Paolo I; del complicato e multi sfaccettato complotto che ha portato all’uccisione del presidente John Kennedy, che osò opporsi ai piani del Comitato dei 300, con un incredibile elenco di morti misteriose che vennero subito dopo.
Infine, per chiudere tornando all’Italia, del “Permindex affair”, cioè della rete spionistica clandestina che opererebbe da anni nel nostro Paese. Forse, però, ciò che cattura di più l’attenzione del lettore è la lista dei membri del Comitato dei 300, passati e presenti, che parte da pagina 417. Ne cito alcuni, solo per ricordare i più noti, specificando però che Coleman non sempre spiega quali siano state le sue fonti.
Si parte dal già nominato Giovanni Agnelli, di cui si conosceva da sempre anche l’appartenenza al Bildelberg Group (lasciata in eredità ai successori), per proseguire con Beatrice di Savoia, l’ex presidente USA George W. Bush, il conte Vittorio Cini, l’industriale-editore Carlo De Benedetti (il nome viene riportato come Carlo De Benneditti), la regina Elisabetta II, la regina Giuliana d’Olanda, la regina Sofia di Spagna, la regina Margrete di Danimarca, l’economista John Maynard Keynes, l’onnipresente Henry Kissinger, l’ex presidente francese Francois Mitterand, il faccendiere Umberto Ortolani (P2), l’ex leader svedese assassinato Olaf Palme, Aurelio Peccei, il cardinale Michele Pellegrino, il Principe Filippo di Edimburgo, il banchiere David Rockefeller, Sir Bertrand Russel, il diplomatico ed ex Segretario di Stato Cyrus Vance.
A quanto pare, dopo aver scritto e pubblicato questo libro (l’ultima ristampa risale al 2010), il dottor Coleman ha preso alcune precauzioni per la sicurezza della sua persona. Tuttavia, a prescindere dai pur comprensibili timori di un uomo di 78 anni, nessuno può affermare con assoluta certezza che quanto scrive Coleman corrisponda alla pura e semplice verità dei fatti. Nonostante questo, non c’è dubbio che la lettura di questo libro lasci addosso una forte inquietudine sulla realtà segreta e misteriosa del mondo che ci circonda. E una domanda sorge spontanea: ma quanto sappiamo, in realtà, di ciò che succede intorno a noi? A ognuno la sua risposta.

“The Conspirator’s Hierarchy: The Committee of 300” di John Coleman, World Int. Review (Las Vegas, Stati Uniti), 1997-2010, pp. 465, ISBN 0963401947, $26.95.

https://www.rinodistefano.com/it/rubricaletteraria/il-comitato-dei-300.php
« Ultima modifica: Marzo 25, 2020, 18:29:36 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Duca

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #28 il: Marzo 25, 2020, 16:19:33 pm »
Coleman dimentica la nobiltà nera romana...
Poi mi sfugge il motivo per cui Ranieri è stato colpito così duramente... forse perché tenacemente cattolico?
Ti risulta una traduzione italiana di 300?

Offline Vicus

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Re:Generale Laporta: Aldo Moro non era a via Fani quel 16 marzo
« Risposta #29 il: Marzo 25, 2020, 17:52:49 pm »
Curiosa omissione, anche perché mi risulta che la sola nobiltà nera sia quella romana (come i Caetani...)
Non esiste una traduzione ma il testo è comunque in inglese.
Su Ranieri ci sono un bel po' di rivelazioni succose. Il matrimonio con Grace Kelly fu combinato dagli Stati Uniti, per mettere un piede nel Principato (finanza, commerci) e farlo diventare una semi-colonia USA (fonte: emittente tedesca ARTE).
Secondo il reportage di ARTE, che analizza sequenze inedite dell'epoca, la favola reale con Ranieri fu il vero ultimo film della Kelly, cui in realtà non andava giù di lasciare Hollywood e che interpretò controvoglia la parte della brava principessa che bada ai rampolli, davanti a telecamere sapientemente collocate sin dalla cerimonia di nozze, in un set che non lasciava nulla al caso.
Curioso che qualche anno fa Padre Pintus, un sacerdote monarchico arrivò a dire (ovviamente non sono d'accordo) che Grace Kelly doveva essere beatificata.
Al rebus aggiungiamo i numerosi film di Hollywood che "anticipano" il fattaccio di Grace, dal suo film girato a Monaco, Caccia al Ladro in cui, tallonata da un'auto pirata, guida a 200 all'ora sui tornanti di una scogliera poco distante da quella dove perderà la vita:


al Cigno (The Swan) in cui Alec Guinness, che interpreta sempre personaggi di potere e di vago sapore massonico, dice alla protagonista che intepreta guarda caso una principessa: "Sei come un cigno, che quando cammina sulla terraferma assomiglia a un'oca :lol:... ma sul lago è silente, bianco, maestoso... sapere un canto ma mai cantare fino al termine dei suoi giorni... così deve essere per te, testa alta, indifferenza per la folla curiosa sulla riva... e cantare, quello MAI!"

« Ultima modifica: Marzo 25, 2020, 23:13:08 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.