https://maschileindividuale.wordpress.com/2020/03/20/lettera-a-un-futuro-migliore/Caro nipote,
in quei giorni della grande pandemia io ero a Brescia.
Vedevo sul web, le immagini delle altre città dove i cittadini cantavano sui balconi.
Da me non c’era nulla. Mi chiedevo perchè.
Poi vidi le foto delle colonne militari che trasportavano bare a Bergamo e capii perchè nessuno aveva voglia di cantare.
Brescia condivideva con Bergamo il maggior grado di malattia in quel momento.
Avevo fatto spesa per due settimane e sperai che il peggio passasse. Arrivò il giorno che mi ero segnato che gli esperti avevano prefissato come picco. Lo attesi e quando arrivò fui sollevato che io non ero tra i malati.
Aspettai i giorni dopo all’inizio sembrò stabilizzarsi ma poi aumentò. Per quanto lo Stato prendesse provvedimenti sempre più duri, i medici gli infermieri si sforzassero in ospedale di giorno in giorno vidi aumentare quello stramaledetto picco. Aumentare la conta dei contagiati e dei morti. Spostare di ogni giorno quello che doveva essere l’inversione della curva.
Ma non sembrava venire. Persi fiducia. Persi concentrazione. I provvedimenti si susseguivano. Tutto il mondo avevo il virus. Nessuno ci aiutava. Ogni Nazione pensava a se stessa. Si le altre regioni d’Italia si ci soccorsero. E anche qualche Paese straniero. Ricordo che vennero i medici di Cuba che allora si dichiarava ancora comunista. E i medici cinesi. E qualcuno ringraziava i cinesi, qualche altro li detestava come iniziatori e occultatori del contagio. A me ? a me non importava. In quel momento avrei baciato anche il Diavolo se avesse soccorso.
Perdevamo la libertà e non acquistava la salute né la serenità.
Quel maledetto morbo stava uccidente i nostri genitori, i nostri nonni. Coloro che ci avevano donato quel che avevamo. Ma anche i giovani morivano. All’inizio si diceva di no ma poi iniziarono a morire anche loro. Non come i vecchi ma in numero tale da straziare e spaventare. Ognuno poteva essere colpito.
Vivevamo nell’ansia. Scendere a fare la spesa procurava l’ansia. E qualunque gesto ti dava l’impressione di infettarti o peggio ancora di infettare chissà propagando il contagio a deboli. Quante volte ho analizzato i miei gesti di allora, se potevo fare meglio. Se avrei potuto evitare qualche morto, se qualche morto era colpa mia involontariamente. Se magari avevo avuto la malattia e non lo sapevo, chi avevo infettato?
Poi la curva discese. Non ti dico improvvisamente ma senza che ormai ci sperassi. Iniziò a scendere. Prima un giorno. E poteva essere un caso. Poi due e poteva essere una fluttuazione. Poi sempre di più. La curva dei contagi discese. Quella dei morti anche ma caro nipote il loro totale è importante. E quella si somma soltanto figlio mio.
Non fu finita. Per molti mesi ancora si temette il ritorno del contagio. E tanta tanta gente aveva perso il lavoro. O qualcuno anche la salute mentale.
Ma la malattia finì, come tante volte nei secoli passati altre malattie era giunte alla fine.
Ma c’era un Paese da ricostruire Di nuovo. C’era chi chiedeva il proseguimento delle leggi dure, di lavorare sodo per riconquistare all’Italia le quote di mercato.
E cominciammo. Ma prima pochi, poi tanti iniziarono a pensare che perchè non si presentasse più quella situazione, si doveva avere un ottimo sistema di ospedali, si dovevano avere cure, si doveva avere una società in cui non si era costretti ad andare a lavoro rischiando la salute perchè c’era da fare soldi. O meglio farli fare ad altri.
Iniziammo a lavorare e impegnarci per questo. Memori di quanto era accaduto. Finalmente portammo a compimento quel miracolo italiano che le generazione precedenti avevano iniziato con duro lavoro, ingegno e la scelta consapevole che siamo tutti fratelli e la vita di nessuno deve essere sacrificata per denaro o potere.
Ed eccoti qua, oggi nipotino mio, nei tuoi occhi rivedo gli occhi delle generazioni che mi hanno precedute. E mi sento bene ad avergli consegnato te che ora sei più forte di noi. Avrai i problemi della tua epoca ma non più quelli della mia. E di questo io vado fiero.