Autore Topic: Repubblica cambia direttore, ma non musica  (Letto 1276 volte)

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Offline Vicus

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Repubblica cambia direttore, ma non musica
« il: Aprile 25, 2020, 21:38:31 pm »
Non perdetevi i grassetti.

L’avvicendamento alla direzione di Repubblica dice molto di più di un semplice cambio nella gestione di un giornale, come lo furono il passaggio di testimone tra Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro, prima, tra Ezio Mauro e Mario Calabresi, poi, e tra Calabresi e il direttore uscente Verdelli poco più di un anno fa. Nomi nuovi, certo, ma sempre nel segno della continuità innazitutto culturale di Repubblica.

Stavolta è diverso; la nomina di Molinari è piuttosto il segnale, forte e chiaro, che è finita un’epoca e che ne inzia una nuova, dai contorni ancora indefiniti ma che molto probabilmente sarà caratterizzata da una direzione diversa rispetto a quella che ha contrassegnato la storia di Repubblica dalla sua fondazione nel 1976 ad oggi. Storia che si è intrecciata (e va detto fin da subito non senza colpe e responsabilità da parte di chi avrebbe potuto, e dovuto, quanto meno provare a impedirlo, in primis il mondo cattolico nella sua accezione più vasta, ma su questo torneremo più avanti) con quella dell’Italia; storia dove anzi è fin troppo facile riconoscere come il processo di laicizzazione e secolarizzazione dell’Italia negli ultimi decenni abbia avuto in Repubblica la punta di diamante di ciò che Augusto Del Noce aveva chiamato, per altro in epoca non sospetta, il partito radicale di massa.

Ossia quel brodo di cultura risultato dal connubio tra la borghesia e la sinistra liberal-libertina di matrice azionista, che a partire dal dopoguerra ha portato avanti una ben preciso disegno i cui contorni furono tracciati da Del Noce con la lucidità e la lungimiranza profetica che gli erano propri negli stessi anni di quel Sessantotto che non poca parte ebbe nel processo di cui stiamo parlando. E ripercorrendo a ritroso il mezzo secolo e poco più che ci separa da quel periodo, si capisce facilmente come la nascita di un giornale-partito come Repubblica fosse funzionale a creare – tramite un potentssimo strumento di propaganda quale è un quotidiano generalista a diffusione nazionale (oltre naturalmente a tutto il resto dell’apparato editoriale con radio, tv, settimanali, ecc.) – il terreno fertile, il clima culturale, un’opinione pubblica opportunamente istruita ed educata, affinchè prendesse corpo una nuova società, a sua volta portatrice di una nuova antropologia, allo stesso tempo capitalista a livello economico (ciò che ha rappresentato la sconfitta del materialismo marxista sul suo stesso terreno, ossia un materialismo di segno opposto) ma compiutamente marxista a livello culturale nella misura in cui conservava del marxismo il momento rivoluzionario in quanto rottura con il passato, la tradizione, il vecchio con tuttò ciò che esso rappresentava, in primis la famiglia, appunto, “tradizionale”, come pure la scuola, l’autorità [per chi non capisse: il Padre], ecc.

Ragionare a posteriori con i “se” lascia sempre il tempo che trova, tuttavia si hanno buoni motivi per ritenere che senza l’azione di Repubblica sul costume, sulla cultura, e più in generale sull’opinione pubblica, probabilmente buona parte delle cosiddette “riforme civili” che abbiamo visto nascere e imporsi non avrebbero avuto successo. Ciò che rende ancor più grave la responsabilità di quanti, in ambito cattolico, non solo non vollero opporsi ma addirittura sposarono le “battaglie di civiltà” condotte da Repubblica o più semplicemente elessero Repubblica a quotidiano di riferimento, sedotti dalla fallace e miope concezione che la fede fosse (sia) un affare di coscienza, un qualcosa che riguarda in ultima istanza lo spirito, l’intimo dell’uomo potendo il saeculum, il mondo essere letto e intepretato, e in esso agire, con l’adozione di schemi e chiavi di lettura altri rispetto alla visione cattolica dell’uomo e della società, oltretutto nella pia illusione di poter in tal mondo essere finalmente ammessi nel consesso dei moderni.

E’ anche a causa di questa impostazione che nacque quel fenomeno, devastante sotto tutti i profili, che va sotto il nome di cattocomunismo; ed è causa della stessa impostazione che ancora oggi capita di vedere non pochi cattolici con Repubblica sotto il braccio. Ripeto, caso mai non fosse chiaro: stiamo parlando del quotidiano che da oltre quattro decenni a questa parte ha condotto e sta conducendo più di ogni altro in Italia una guerra senza quartiere per sradicare l’antropologia cattolica, in tutte le sue articolazioni, essendoci purtroppo in buona parte riuscito.

Ma la storia della laicizzazione della società in Italia non nasce con Repubblica. Le sue radici, come evidenziò Augusto Del Noce, affondano nell’immediato secondo dopoguerra. Quando cioè in Occidente iniziò a formarsi quella società contro cui sul finire degli anni ’60 si sarebbe scagliata la protesta studentesca.

Del Noce ebbe chiaro un punto: il fatto cioè che l’oggetto della contestazione del ’68 non era altro che la società sorta nel dopoguerra come alternativa al duplice rischio del comunismo, dal un lato, e del risveglio religioso, dall’altro. Una società che tuttavia aveva fatto propria, ed anzi applicandola anche ad esso (appunto perchè doveva opporglisi), la critica marxista di ogni autorità e l’affermazione del più assoluto relativismo, conseguente al materialismo storico.

Fino al punto di espungere l’altro corno, per così dire, del marxismo, il materialismo dialettico e la dottrina della rivoluzione, in quanto ritenuti un residuo metafisico. Non solo. Mentre il marxismo, pur essendo ateo, conservava un momento religioso (giova ricordare che per alcuni era una forma di messianismo secolarizzato), per Del Noce la nuova società contro cui protestavano i sessantottini era sorta contro la religione, con ciò sviluppando una forma di empietà addirittura maggiore del marxismo.

Dunque, accettazione della morte di Dio e posizione critica nei confronti del marxismo in quanto ancora a suo modo religioso. Da qui anche l’altro aspetto della società “opulenta”, per usare un’espressione cara a Del Noce: il suo essere anti-tradizionalista, nella misura in cui accoglieva e faceva sua una ben precisa lettura della storia che vedeva nella sconfitta del fascismo e del nazismo la sconfitta dell’intera tradizione europea in quanto fenomeni pre-moderni.

Motivo per cui chiunque si fosse richiamato alla tradizione era per definizione un fascista o un reazionario.

In opposizione alla tesi secondo cui la secolarizzazione come perdita del sacro era la conseguenza dell’avanzata del progresso tecnologico, Del Noce considerava l’irreligione come la causa e non l’effetto della mentalità pantecnicista.  A sua volta, l’irreligione non era figlia di dinamiche sociali bensì di un ben preciso processo culturale; la secolarizzazione e il nichilismo dell’Occidente, al cui interno e a causa dei quali domina la mentalità tecnologica, avevano dunque una radice filosofica, e questa era da rinvenire nel fallimento della cultura che aveva tentato di opporsi al marxismo, conservandone il momento materialistico, e anzi opponendo ad esso un materialismo compiuto.

Sul punto, giova ricordare, come già accennato, che nell’affermarsi di questo fenomeno non poca parte di responsabilità ebbero i cattolici, a partire dall’allora DC. La mipia culturale della DC, ossia il non aver messo a fuoco la vera essenza del marxismo per aver assunto acriticamente la lettura neoilluminista della storia contemporanea secondo cui la storia del pensiero è storia di una progressiva quanto ineluttabile affermazione dell’immanenza culminata nel marxismo – comportò l’errore di voler combattere il marxismo sul suo stesso terreno opponendogli un materialismo “buono” inteso come benessere diffuso.

Il nichilismo della società “opulenta” si spiegava pertanto a motivo del fatto che in Occidente era stato portato alle estreme conseguenze l’aspetto materialistico del marxismo: fenomeno, questo, che coincideva con la massima espansione del libertinismo. Il risultato era la più totale e radicale spersonalizzazione della vita umana, la perdita della propria identità, il sentimento di vacuità e non senso della realtà: in ciò è da vedere il ritratto di un uomo alienato, ma di un’alienazione ben peggiore di quella descritta da Marx.

Ed è esattamente contro questa antropologia che, secondo Del Noce, nuoveva la contestazione studentesca. Contestazione che aveva un aspetto positivo perchè esprimeva la protesta, la ribellione della natura umana ad un un processo insieme di “dissacrazione e disumanizzazione” che stava accadendo.

C’era però anche un aspetto negativo, che Del Noce individuava nella rivoluzione sessuale. Ed è approfondendo la genesi della rivoluzione sessuale e il suo legame con il surrealismo, che Del Noce mise in luce quel processo, meglio quel progetto culturale all’interno del quale non poca parte avrà il giornale fondato da Scalfari.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto Del Noce partiva da un dato di fatto, ossia che era innegabile che l’esplosione della rivoluzione sessuale fosse avvenuta negli anni ’60, e in particolare sul finire di essi, tramite la sempre maggiore diffusione della letteratura erotica e della pornografia, del pudore che veniva al più tollerato e in generale della condanna senza remissione dello scandalo dei benpensanti, anche con l’immancabile appoggio di non pochi cattolici.

Più interessante era riflettere sul perchè, all’epoca, furono proprio i partiti comunisti e in generale la sinistra e la psicanalisi a farsi promotori della nuova morale sessuale, dal momento che questa sposava in toto le teorie di Wilhelm Reich (morto per altro nel ’57 quindi senza alcun influsso diretto sul fenomeno di cui stiamo parlando), a suo tempo – cioè negli anni ’30 – respinte tanto dalla psicanalisi quanto dal marxismo.

Per rispondere a questa domanda occorreva rifarsi a quella che era la situazione culturale dopo il ’45. Vi erano due atteggiamenti: da un lato, la paura del comunismo unita al timore di un risveglio religioso, ancorchè il contributo delle forze religiose fosse ritenuto decisivo per fermare l’avanzata comunista; dall’altro, l’atteggiamento del “millenarismo negativistico”, ossia di un pensiero per cui la crisi dell’Europa che non aveva saputo opporre resistenza al fascismo e al nazismo coincideva con il rifiuto dell’idea di tradizione che quell’Europa aveva coltivato.

Rispetto al primo atteggiamento, in particolare per quel che concerne l’avversione degli intellettuali nei confronti del cristianesimo, Del Noce rilevava un ruolo decisivo nella formazione di questa avversione nel surrealismo. Surrealismo inteso non solo come fenomeno artistico, ma prima ancora come fenomeno filosofico in quanto propugnava la riappropriazione da parte dell’uomo dei poteri che aveva proiettato fuori di sè, in Dio, per dare vita ad una nuova realtà disalienata e perciò felice. In questo senso se era forte il legame con il marxismo; da esso tuttavia il surrealismo prendeva le distanze perchè pur essendo comune il fine, diverso era ritenuto il mezzo: rivoluzione sociale e politica per il marxismo, rivoluzione culturale e dei costumi, per il surrealismo. Detto altrimenti, il surrealismo criticava il marxismo per il fatto che i marxisti pensavano fosse sufficiente mutare i rapporti economici per abbattere il vecchio mondo cristiano; non vi era insomma garanzia, ed anzi tutto portava ad escluderlo, che fatta la rivoluzione marxista l’ordine cristiano sarebbe stato debellato. E questo perchè i costumi cambiano più lentamente rispetto all’economia, motivo per cui secondo i surrealisti Marx doveva essere “completato moralmente”, diceva Del Noce, con Sade e Freud.

Fu così che, pur in un contesto di critica, nacque un’alleanza tra surrealismo e marxismo che si sarebbe svolta separando i piani e i mezzi: l’avanguardia surrealista avrebbe operato sul costume e scardinato dalla coscienza dei borghesi la diga contro il comunismo promuovendo la rivoluzione sessuale, mentre il comunismo avrebbe a sua volta operato a livello politico. Insomma, tramite Sade il surrealismo recuperava Reich e la sua idea di completare il marxismo con la nuova morale sessuale al fine della rivoluzione totale. Come? Operando sui costumi sociali attraverso l’arte.

Quanto al secondo atteggiamento, il “millenarismo negativistico”, si trattava di un fenomeno strettamente congiunto col primo. Si sviluppò, infatti, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, un’intera industria culturale a servizio di quell’atmosfera millenaristica negatitivistica per cui letteratura cinema ecc. dovevano dissacrare il passato, demitizzare, disalienare e demistificare. In tale contesto la diffusione dell’erotismo, per l’aspetto di critica alla tradizione europea fondata su un ordine oggettivo e metaempirico di valori, era strumentale alla nascita di una nuova morale.

Non solo. Accanto all’industria culturale a servizio dell’educazione delle masse alla nuova morale, sul terreno dell’intellettualità laica, cioè ai piani alti della cultura, si formò una vera e propria “repubblica delle lettere” con l’obiettivo di creare un legame di continuità tra liberalismo e comunismo in chiave illuministica.

Ciò esigeva la reciproca riforma tanto del liberalismo quanto del comunismo, che per il primo significava, per cessare di essere borghese, ritrovare l’antitradizionalismo illuminista ossia promuovere l’abolizione di ogni divieto o, per dirla con i temini di allora, ogni “tabù” in primis quello sessuale. Laddove insomma Gramsci intendeva muovere da Croce a Marx, la nuova borghesia illuminata intendeva retrocedere da Marx a Diderot, ciò che fatalmente la portò ad incontrare Sade.

Fu così che la nuova borghesia illuminata, facendo propria la critica marxista dei valori (ma allo stesso tempo opponendosi ad esso a livello economico) e con una rinnovata spinta liberale nel senso poc’anzi detto, si ritrovava sulla stessa lunghezza d’onda dell’avanguardia nel proporre una nuova morale sessuale.

Detto altrimenti: la neo-borghesia, quella borghesia che oggi potremmo definire “radical-chic” e che si rispecchia in giornali, appunto come Repubblica, e gruppi editoriali ben precisi i quali hanno avuto un ruolo decisivo nella diffusione del laicismo, trovava nella rivoluzione sessuale l’arma per opporsi alla rinascita religiosa da essa temuta e per arginare il predominio cattolico; fu così che nacque quella “strana” alleanza tra borghesia e intellettuali.

Ma lo stesso può dirsi del capitalismo, nella misura in cui esso vedeva nella nuova etica dei costumi un argine, un freno per tenere a bada le istanze rivoluzionarie a mano a mano che si espandeva la libertà sessuale: essendo felici per via sessuale, gli uomini non avrebbero ceduto alle sirene delle rivendicazioni salariali e alle spinte eversive. Questo spiegava anche come mai nella società del benessere potevano benissimo sussistere le diseguaglianze economiche, coerentemente d’altronde con la tesi del Reich che vedeva negli Usa, patria per eccellenza del capitalismo, il terreno più fertile per la diffusione della sua rivoluzione, anziché l’Urss. Quella fin qui riassunta per sommi capi è la storia del processo culturale e sociale – secondo la ricostruzione datane da uno dei più acuti interpreti del Novecento quale è stato Augusto Del Noce – che ha portato alla nascita di Repubblica. Non sappiamo ancora in che direzione la “nuova” Repubblica evolverà; sappiamo però, e bene farebbero i cattolici a ricordarselo, soprattutto coloro i quali sembrano ancora oggi subirne il fascino, da dove viene e come e in che misura ha contribuito a fare dell’Italia un paese di fatto post-cristiano.

Luca Del Pozzo



https://www.marcotosatti.com/2020/04/25/del-pozzo-a-repubblica-non-cambia-solo-un-direttore/
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #1 il: Aprile 26, 2020, 14:22:46 pm »
Non concordo, il responsabile numero uno secondo me è.Fritz Nietzsche...
Del Noce sr. non mi è mai piaciuto, neanche quando ero giovane; non si è mai accorto che dalla barba del Carletto spunta il buon vecchio GFG Hegel, il cui pensiero secondo la mia modesta opinione è una delle critiche più radicali alla nostra civiltà.
A parte ciò, sul ruolo di Repubblica c'è poco da dire... è sotto gli occhi di tutti cosa ha fatto in questi decenni questo ammasso di merda.

Offline Vicus

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #2 il: Aprile 26, 2020, 21:19:57 pm »
Del Noce è stato l'unico a vedere la logica evoluzione del comunismo nel partito radicale di massa, appendice del supercapitalismo globale. Predizioni avverate alla lettera.
Con buona pace di Aristotele, per Hegel l'essere non è più opposto al non-essere, ma viene fatto coincidere con quest'ultimo trapassando nel divenire.
Per Hegel non esistono quindi valori perenni ma solo la dialettica della storia (tesi-antitesi-sintesi), una peste per ogni civiltà umana. La solidità di un filosofo non si vede tanto dall'analisi ma dalle soluzioni che propone.
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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #3 il: Aprile 27, 2020, 07:54:08 am »
Di immutabile nella storia non è che ce ne sia molto, altrimenti saremmo ancora alle palafitte, e il cambiamento va compreso dialetticamente; in questo modo GFG riconduce diciamo così il divenire all'essere, ed è questo il suo modo di concepire l'immutabile.
Riguardo lo stato, la soluzione di Hegel che prevede il primato della politica sull'economia la condivido totalmente.
Poi se quasi tutti preferiscono la democrazia - dispotismo mascherato con finta libertà - allo stato organico, beh cavoli loro. A me non dispiacerebbe, così come non sarebbe male un bel principato ecclesiastico tipo quello che c'era da me secoli fa. Sempre meglio di 'sta merda di oggi.
Del Noce è stato "solo" un filosofo della politica, per questo non ha capito l'importanza e soprattutto la pericolosità di Nietzsche che è il vero riferimento più o meno occulto del sinistrume fuchsia radical chic comunista al caviale; non a caso Montinari, che è il maggior responsabile dell'arruolamento di Fritz (mangiarane a parte), a suo tempo era comunista puro.

Offline Vicus

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #4 il: Aprile 27, 2020, 08:59:05 am »
A me risulta che Fritz sia stato "recuperato a sinistra" solo di recente, da Adelphi.
La nostra è una "società cronologica" come diceva Wyndham Lewis, dove "il tempo è superiore allo spazio" ( (c) Bergoglio): non esistono valori assoluti ma solo un divenire dialettico verso un "punto omega". E' il mito del progresso, per cui l'umanità migliora per il semplice scorrere del tempo. In realtà il progresso dipende dall'umanità stessa che può anche regredire: come paragonare l'Atene di Pericle alla Londra e Bruxelles contemporanee?
A differenza di noi, dice sempre Lewis, i greci avevano una concezione "spaziale" (atemporale) del tempo, un eterno presente in cui tutte le epoche sono presenti contemporaneamente nella coscienza collettiva. E' ciò cui le nuove tenologie ci stanno portando di nuovo.
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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #5 il: Aprile 27, 2020, 13:11:07 pm »
La Nietzsche renaissance in realtà è iniziata già negli anni Sessanta, grazie all'edizione critica di Colli e Montinari pubblicata appunto da Calasso, ma soprattutto ai mangialumache che hanno spianato la strada ai pagliacci nostrani del pensiero debole (però mi dicono che Ferraris abbia recentemente fatto marcia indietro, come la tipa dei cinque stalle dell'altro post insomma... :lol:).
Giusto ciò che scrive Lewis, anche se sono cose note per chi conosce Eliade, Guénon, Evola, ecc. e i loro discepoli.
Sul fatto che il mito del progresso sia, oltre che un mito, una grandissima cagata penso ci sia poco da discutere.

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #6 il: Aprile 27, 2020, 14:17:10 pm »
Lewis era contemporaneo di Eliade e Guénon, probabilmente li conosceva di persona e li cita diverse volte nei suoi libri. Di Nietzsche ha scritto che prendeva in giro il suo pubblico, avendo creato il mito del superuomo nelle masse con evidente contraddizione.
E' stato proprio Calasso a recuperare Nietzsche, per farne un profeta "dionisiaco" del nichilismo di sinistra (allora) prossimo venturo, per gli auspici di Bobi Bazlen.
Mazzino Montinari aveva ottimi rapporti con le autorità tedesco-orientali; poteva avere accesso all'enorme mole di inediti nicciani, che Elisabeth Förster-Nietzsche, sorella del filosofo aveva epurato per confezionare quel Nietzsche proclamatore della volontà di potenza e del superuomo.
Bobi Bazlen era invece intimamente affine al "nuovo" Nietzsche debole. Ne condivideva l'intuizione che la vita si giustifichi solo come fenomeno estetico, che essa valga per le gagliarde illusioni che nutre quando è arcaicamente neo-nata, non frenata da moralità o da coscienza. La glorificazione della barbara forza contro la cultura, il trionfo dell'uomo-belva («spirito-bestia», dirà Novalis; oggi altri direbbe il "coito coercitivo") "in cui le qualità specifiche della vita, ingiustizia, menzogna, sfruttamento, sono le più grandi".
È per questo scopo - lanciare Nietzsche «contro il perbenismo marxista» - che nel 1962 Luciano Foà fonda la Adelphi. È un'impresa che non vedrà la luce per quasi un decennio, tanto è impegnativa. Colli e Montinari stanno lavorando a qualcosa come a tremila pagine inedite. La casa editrice non vivrebbe così a lungo col misero catalogo di allora, senza il tenace soccorso finanziario dapprima di Roberto Olivetti, poi di Alberto Zevi, e con apporti dei Falck e dei Pirelli. Nel 1962, Bobi Bazlen introduce nella casa editrice il ventenne Roberto Calasso.
Nella sua postfazione all'Ecce Homo il pupillo di Bazlen spiega la ragione del suo progetto editoriale. Calasso non ha dubbi: il suo silenzio finale è la conclusione coerente della ricerca di Nietzsche, il filosofo terminale deI pensiero occidentale, in cui questo pensiero consuma la propria "autodistruzione".
« Ultima modifica: Aprile 27, 2020, 16:36:51 pm da Vicus »
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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #7 il: Aprile 27, 2020, 16:38:37 pm »
Bazlen è anche quello che ha lanciato Svevo, altro esemplare di decadente che mi fa venire l'orticaria...
Poi Montinari era comunista ma di quelli duri e puri, chissà forse a libro paga di qualche servizio dell'est, tipo Stasi...
Non ho capito, chi è che parla di coito coercitivo, Pasolini in Salò o forse... Stasi?
(Troppi stasi in un post solo) :D

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #8 il: Aprile 27, 2020, 17:04:29 pm »
Già Svevo... ma anche Pavese, con la sua prosa decadente e diremmo qui, da zerbino. I cui destini si intrecciarono fatalmente con quelli di Bazlen. E' una storia un po' lunga, ma che val la pena sapere.
A un certo punto della sua vita, Pavese sta imboccando una certa strada: forse si sta riavvicinando alla fede cattolica, il che è ovviamente inammissibile. Per fortuna, ha un disturbo psichico che lo rende vulnerabile. Nell'estate del '45 espone indifeso il suo problema a «Leucò»: una convinta seguace di Jung che il nostro scrittore incontra a Roma.
A Roma in quegli anni, lo psicanalista Ernst Bernhard, il terapeuta di Bazlen, diffonde il verbo junghiano.
I sempre più Lunghi dialoghi con «Leucò» ruotano attorno a figure mitiche femminili: Circe, Calipso. Femmine ammalianti e rovinose. E tutto nel segno della mitologia di Jung: per cui il disturbo psichico sarebbe il riaffiorare degli dèi arcaici. Dèi che il Cattolicesimo avrebbe rimosso, e che si rivelano dal profondo come «malattia».
Lo scrittore, sempre più dolorosamente, finisce per «rendere trasparente» la divinità che gli si manifesta come disturbo. E comincia a scavare. A riscoprire le divinità ctonie, a tornare alle profondità arcaiche. Il mondo del sangue e delle radici, della «festa», che si oppone a quello arido e sconsacrato in cui lo scrittore vive... Il sacrificio. Umano, soprattutto, di cui Calasso parla In Cadmo e Armonia e In Kasch come del letterato che si sacrifica.
Pavese finisce per vedersi come vittima propiziatoria: il letterato che intende la sua opera come un sacrificio, e sé come la vittima, propizia la rinascita degli dèi. Dal '45 al '50, Pavese si consuma in un'attività letteraria intensissima. Poi il suicidio.
E' il mondo della cultura più torbida. Un mondo in cui incontri fortuiti diventano un destino, in cui vite fatali s'intrecciano. E in cui ciascuno è solo la maschera di un dio, e recita una parte. Un mondo dove si tracciano invisibili soglie e si stringono patti: cinque anni di feconda, robusta creatività letteraria in cambio della vita.
Oggi Pavese è studiato nelle scuole. Che valori trasmette agli uomini?

Citazione
o forse... Stasi?
Indovinato, gli Stasi sono sempre troppi. Mi riferisco a un suo sostenitore, un autore che gode di un monopolio sovietico nella galassia maschile. Ne parlo qui:
https://www.questionemaschile.org/forum/index.php/topic,16902.0.html
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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #9 il: Aprile 27, 2020, 17:29:58 pm »
Oggi Pavese è studiato nelle scuole. Che valori trasmette agli uomini?
Purtroppo a scuola si insegnano autori assai peggiori di Pavese...

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #10 il: Aprile 27, 2020, 20:46:56 pm »
Domanda retorica: quali?
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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #11 il: Maggio 01, 2020, 13:36:15 pm »
I primi che mi vengono in mente: Milani, Rodari e femministume vario che preferirei non nominare.  :sick:

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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #12 il: Maggio 01, 2020, 14:22:40 pm »
E Gianni Padoan, ricordo che mi fecero leggere una paccottiglia orribile già dal titolo, ONU Assemblea Straordinaria: c'era tutto, il mondo globale, l'ecologia, la società multirazziale e ovviamente l'ONU. Ma siamo davvero in una società democratica?
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Re:Repubblica cambia direttore, ma non musica
« Risposta #13 il: Maggio 01, 2020, 17:23:58 pm »
Nel senso che la democrazia è una truffa, sì.