ARTE (pronuncia Arté)
è un'emittente femminista della sinistra-globalista sorosiana, di lingua tedesca e francese. Inutile dire che è nettamente favorevole alle tematiche LGBT che propone senza soluzione di continuità con quelle femministe; all'Unione Europea che si perfezionerà con la fusione dei blocchi franco-tedeschi; alla balcanizzazione delle nazioni europee al di fuori di questo blocco per poterle indebolire: tout se tient. I cultori del genere distopico non mancheranno di apprezzarla qui:
Arte.fr oppure con l'app per PC Captvty (lingua francese)
Arte.de (lingua tedesca)
Il livello del palinsesto, bisogna dirlo è eccellente MA fortemente ideologico (è molto seguita dalla
sinistra al caviale) e in ogni trasmissione infilano sempre accenni al femminismo. Per esempio in un reportage sulla Russia, vanno ad intervistare la femminista underground come fosse un personaggio di riferimento anche se in realtà è sconosciuta nel suo Paese.
Le trasmissioni sul '68, su Woodstock o sulle comuni di fricchettoni degli anni '70 assumono il carattere di un vero e proprio pellegrinaggio nostalgico in un'epoca d'oro dell'umanità.
La particolare abilità di Arte di scovare focolai di femminismo nella storia si esplica nella già citata funzionaria sovetica
Alexandra Kollontaj:
https://www.questionemaschile.org/forum/index.php/topic,16966.msg194770.html#msg194770Oggi supera se stessa nell'essere andata a scovare una femminista nientemeno che nella Sardegna del 14° secolo: Eleonora d'Arborea, che ereditò il Giudicato di Arborea e non mancò di promulgare leggi femministe con la Carta de Logu in vigore fino al 1827:
Qualora un uomo dovesse usare violenza sessuale su una donna sposata, promessa sposa o vergine e di questo venga ritenuto colpevole, è condannato a pagare un’ammenda di cinquecento lire e, qualora lo stesso non dovesse pagare entro quindici giorni,
gli sarà amputato un piede. Se la donna in oggetto è nubile l’ammenda scende a duecento lire ma l’uomo è tenuto a sposarla. Tale condizione è tuttavia subordinata al fatto che la donna accondiscenda al matrimonio.
Nel caso in cui la stessa rifiuti la proposta, il reo è tenuto a farla accasare munendola di dote secondo la condizione sociale della donna stessa e del suo futuro sposo. Come nel caso precedente, se il colpevole non è in grado di onorare l’impegno, la pena è l’amputazione del piede. Per la donna vergine sussistono le stesse condizioni, senza però obbligo di accasamento, ma solo ammenda ed eventuale pena.
In questo articolo troviamo due principi di straordinaria modernità, considerata l’epoca in cui tali norme erano vigenti. Il primo sancisce che un matrimonio “riparatore” risulta valido solo e soltanto se lo stesso è di gradimento della donna. In caso contrario non sussiste per lei alcun obbligo ed il reo va incontro alla condanna.
Questi dovrà comunque pagare allo Stato una cifra molto elevata per l’epoca considerando che un cavallo da battaglia, strumento fondamentale per un regno, aveva un valore indicativo di circa dieci lire.
Da sottolineare che qualora la donna non gradisca come marito il suo violentatore, l’uomo ha l’obbligo di provvedere per il suo futuro fornendole una dote e trovandole un marito a lei confacente.
Tale operazione, non esime tuttavia lo stupratore dal pagamento dell’ammenda.
Altro aspetto del tutto rilevante è la poca importanza tributata alla verginità femminile: come si evince dalla norma, il reo di violenza sessuale su di una vergine subisce la stessa identica punizione di colui che si trovi a perpetrare il reato su di una donna nubile, fidanzata o comunque non sposata.
La pena inflitta agli stupratori insolventi era identica in tutti i casi: l’amputazione di un piede. Una simile pena si rivela nella società di allora
una punizione del tutto crudele, in quanto l’amputato si sarebbe trovato disabile e quindi non più in grado di provvedere a se stesso, basti pensare alle difficoltà nel lavorare manualmente e nel combattere e quindi relegandolo alla condizione di mendicante [come oggi], del tutto dipendente dalla carità altrui.
Il capitolo successivo, numero XXII tratta sempre delle relazioni personali e, nello specifico, “
Di chi s’introduce a forza in casa di una donna sposata”.
L’articolo si apre con le stesse parole del titolo a cui si aggiunge la flagranza di reato e
se l’imputato viene ritenuto colpevole di tale reato, anche se non abbia violentato la donna è tenuto a pagare un’ammenda di cento lire. Se entro il termine già citato nel precedente articolo, di quindici giorni il colpevole non paga, gli verrà tagliato un orecchio per intero.
Qualora gli amanti siano scoperti a letto insieme nella casa di lei, ed ella sia consenziente, la donna verrà [solo] bastonata e frustata ma oltre a questo sarà privata di tutti i suoi beni che andranno al marito.
Pena del tutto differente spetta al suo amante, che è soggetto al pagamento di ammenda di cento lire, in caso di impossibilità dello stesso a far fronte alla multa, la pena è di nuovo il
taglio netto dell’orecchio.
Tali pene vengono modificate in senso significativo qualora sia la donna a recarsi a casa dell’uomo o l’incontro amoroso avvenga in altra casa. In questo caso la pena pecuniaria per il maschio è ridotta a venticinque lire mentre la donna deve essere frustata come indicato precedentemente.
Anche in questo caso appare rilevante il fatto che “profanare” la dimora della donna abbia una rilevanza penale maggiore rispetto all’azione di lei che si rechi a casa dell’amante.
Alla prossima puntata.