Autore Topic: La Questione Maschile sarà Radical Chic?  (Letto 1174 volte)

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Offline Vicus

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La Questione Maschile sarà Radical Chic?
« il: Giugno 16, 2020, 03:03:13 am »
Non perdetevi i grassetti:

Nel giugno 1970, giusto mezzo secolo fa, Tom Wolfe, scrittore americano, elegante dandy metropolitano, virginiano di nascita ma newyorchese sino al midollo, scrisse sulla rivista New York Magazine un articolo che fece epoca, in cui utilizzò un’espressione che si propagò immediatamente in tutto il mondo: radical chic. Non era ancora famoso, il quarantenne giornalista che avrebbe poi scritto fortunati romanzi come Il falò delle vanità (1987) e il fondamentale saggio sull’arte Maledetti architetti (1981). Nonostante decenni di lavoro inesausto, il brillante poligrafo sarà ricordato soprattutto per quell’articolo e quella fulminante definizione.

Aveva partecipato, rimanendo senza fiato, a un ricevimento dell’alta società colta di New York nel sontuoso appartamento, un attico della centralissima Park Avenue, del direttore d’orchestra Leonard Bernstein, Lenny nell’insopportabile gergo riduzionista americano. La moglie Felicia, una protagonista dei salotti della Grande Mela, intendeva raccogliere fondi a favore delle Pantere Nere, movimento politico rivoluzionario marxista formato da giovani negri, oops, afroamericani. Era il tempo in cui lo spirito del 68, nato nelle università della costa occidentale americana, tracimato nel resto d’America e in Europa, diventava senso comune delle nuove generazioni.

I partecipanti, tutti ricchi, tutti appartenenti all’alta borghesia, gente di potere con conti in banca milionari, erano deliziati dalla presenza di qualche rivoluzionario irsuto, si lasciavano insultare, anzi sembravano felici di condividere l’odio delle Pantere Nere. Quell’odio era rivolto a se stessi, un anticipo dello spirito distruttivo della nostra civiltà che Roger Scruton all’inizio del secolo XXI avrebbe chiamato oicofobia. Amici del proprio nemico, disprezzatori di se stessi e del ceto i cui privilegi si guardavano bene dall’abbandonare, quei membri dell’upper class ebbero, da allora, una scintillante definizione collettiva: radical chic. Radicali sì, persino estremisti – naturalmente solo a parole- ma pur sempre chic, snob (che significa sine nobilitate, senza nobiltà…) raffinati, diversi dalla massa, dal populace che uno scrittore italiano, Gianrico Carofiglio, ha recentemente bollato come “sudata”, se partecipa a dimostrazioni sgradite alla sinistra.

Il radical chic non era che un gruppo alla moda, anzi à la page, che ostentava modi, vezzi, linguaggi di estrema sinistra, ma restava assai attento a mantenere i vantaggi della condizione di agio, di ricchezza economica, per niente disposta a condividerla con l’oggetto della sua ammirazione presbite, il popolo, i diseredati, i dannati della terra del libro di di Frantz Fanon, che inaugurò (1961) i fatidici anni Sessanta. Dalla parte del popolo, per la rivoluzione, ma sempre a debita distanza, lontani dalla vita vera, vestiti alla moda, serviti da camerieri in livrea, meglio se del Terzo Mondo e non in regola con la previdenza sociale. Pittoreschi, astuti imbroglioni, ma hanno vinto loro.

Tom Wolfe li smascherò, mostrò la loro ipocrisia, e, in qualche modo, indicò un sentiero d’attacco che, ahimè, rimase lettera morta. In Italia fu Indro Montanelli a riprendere i temi di Wolfe in un altro celebre articolo del 1972, sul Corriere della Sera, espressione della borghesia lombarda, da cui dovette andarsene per il repentino balzo a sinistra della linea editoriale, in sintonia con gli altri grandi quotidiani nazionali.  L’attacco era rivolto a Camilla Cederna, giornalista sinistrissima e borghesissima, animatrice dei salotti milanesi, ma probabilmente il vero obiettivo di Montanelli era Giulia Maria Crespi, la “zarina “milanese, espressione di una delle grandi famiglie della borghesia imprenditoriale, editrice del Corriere neo schierato a sinistra, apparentemente contro i suoi stessi interessi. Solo apparentemente, poiché in realtà in quegli anni si saldava, nell’intero Occidente, un’alleanza velenosa tra il dominante marxismo culturale- già ampiamente depurato dalla lotta contro la grande proprietà privata a seguito della lunga stagione egemonizzata dalla Scuola di Francoforte – e le classi alte, i grandi proprietari capitalisti diventati antiborghesi per mantenere meglio la presa sulla società e conservare, anzi aumentare, ricchezza e potere.

Un tipo umano, il radical chic, responsabile dello slittamento della sinistra dal versante operaista e dalla lotta anticapitalista a quello dei diritti di ogni minoranza presuntamente offesa, convogliandone le pulsioni verso un finto, generico, anelito al buonismo universale. L’anno successivo all’articolo di Tom Wolfe, John Lennon avrebbe scritto l’inno del relativismo post moderno, Imagine, un testo radical chic come il suo autore, trasferito a New York dalla natia Liverpool, ricco, tossicodipendente, burattino nelle mani della seconda moglie, l’intellettuale Yoko Ono, di cui addirittura assunse il cognome prima di essere ucciso a 40 anni da un ammiratore convinto che l’ex Beatle avesse tradito gli ideali della sua generazione. “Immagina che non ci sia alcun paradiso; è facile se ci provi. Niente inferno sotto di noi, solo il cielo sopra di noi. Immagina tutte le persone vivere per oggi. Immagina che non ci siano paesi. Non è difficile da fare, niente per cui uccidere o morire e anche nessuna religione.” Il perfetto programma radical chic di una civilizzazione irresponsabile, estenuata, autoreferenziale, preda dell’odio di sé, nichilista.

Ha agito nel tempo un potente apparato culturale sostenuto da gruppi sociali di vertice, chinato esclusivamente sulle identità marginali. Negli ultimi decenni quelle identità sono diventate un terreno cruciale di scontro metapolitico. I diritti delle donne, degli stranieri, della comunità gay e di qualunque altra minoranza sono in cima ai programmi di tutti i partiti che si dicono di sinistra. Si tratta, sempre, di diritti – e capricci- di ceti abbienti, post borghesi: i radical chic, ammettiamolo senza timore, hanno sbaragliato il campo. Sono loro a dettare l’agenda politica e soprattutto quella dei costumi. Tom Wolfe e Montanelli, Raymond Aron in Francia, hanno suonato l’allarme invano. Nessuno si è levato in piedi per contrastare l’egemonia velenosa del radicalismo post borghese.

Luca Ricolfi, sociologo attento ai movimenti sismici della società, afferma che la sinistra – rimandiamo ad altra occasione il dibattito sull’equivoco significato del termine e del suo deuteragonista minore, destra – resiste e detta il passo per un’unica ragione, la formidabile capacità di travestimento, di assumere come un camaleonte o uno Zelig ogni ruolo  [anche di difensore dei diritti maschili?] e cavalcare qualsiasi cambiamento. I “radical chic” di Wolfe sono i vincitori di mezzo secolo di kulturkampf, guerra culturale. La vecchia alta borghesia proprietaria comprese in anticipo che l’opinione pubblica post moderna, per essere governata e mantenuta sotto il tallone dei suoi interessi, doveva essere sedotta con parole d’ordine volte al cambiamento continuo, alle novità, al mito del progresso, all’effimero. Spazzare i residui dei principi di ieri – patria, famiglia, religione, lavoro, diritti e giustizia sociale, ordine morale e civile –  avrebbe reso più agevoli le immense operazioni di ristrutturazione antropologica necessarie per perpetuare il potere nelle solite mani.

In Italia, maestro fu Giovanni Agnelli [si dice tossicomane ed LGBT]. Dopo aver letteralmente deportato in Piemonte migliaia e migliaia di famiglie ex contadine come mano d’opera per la Fiat, alle prime crisi – la “congiuntura” di fine anni 60 – fu bravissimo a scaricare i costi sul bilancio pubblico, realizzando un’intesa di lungo periodo con la sinistra politica, che stava abbandonando il mito comunista, e con i ceti intellettuali di ascendenza marxista, a cui vennero affidate la direzione dei giornali, della televisione, le più importanti cattedre universitarie e la guida delle istituzioni culturali. All’epoca, la destra – e con essa la DC, occupata a difendere con i denti camere di commercio e casse di risparmio – non capì la portata strategica, storica, dei mutamenti di cui i gruppi “radical chic” erano banditori, limitandosi a deprecare o a criticare gli aspetti più ridicoli. Un’attitudine difensiva, pigra, impaurita, a cui la politica avversa alla sinistra non forniva rimedi né progettava alternative. I radical chic hanno trionfato per assenza dell’avversario, impegnato in ritirate strategiche, battaglie di retroguardia, pesca delle occasioni elettorali, pago, negli anni 80 dell’individualismo liberista di Reagan e della signora Thatcher.  La destra ha difeso egregiamente i quattrini (ahimè, quelli altrui!) ma ha perduto per k.o tecnico il controllo della cultura di massa.

L’esito è drammatico, e si condensa nel trionfo del politicamente corretto, ovvero il proibizionismo delle parole e dei pensieri, e nel nuovo vangelo, il razzismo antirazzista di cui vediamo il dilagare in questi giorni, con il caso di George Floyd.  Mezzo secolo fa, la New York ricca e bianca finanziava comunisti di pelle nera in feste con abiti alla moda, commentando le novità della controcultura underground mentre sorseggiava cocktail serviti da impeccabili camerieri in livrea messicani, neri o asiatici. Oggi impone con successo di inginocchiarsi in memoria di una vittima che era però anche un pregiudicato pluri recidivo, volgarizzando un’idea perfettamente razzista, a parti rovesciate. Il poliziotto assassino, nella semplificazione emotiva, rappresenta tutti i bianchi maschi sfruttatori e violenti di ogni luogo e di tutti le epoche, il male assoluto, uniti contro Floyd, simbolo di tutti i neri di ogni tempo.

Il razzismo attribuito per estensione a ogni bianco, del quale si ha l’obbligo morale di depurarsi ponendosi in ginocchio, vergognandosi di abusi non commessi, diventa attributo dell’intera struttura sociale, qualcosa che oltrepassa la capacità di ciascuno di pensare in una maniera o in un ‘altra. Il razzismo – ur-razzismo, parafrasando l’ur-fascismo di Umberto Eco – sarebbe dunque un attributo relativo alla pelle, una condotta, un’ideologia legata alla razza (bianca).  Tale antirazzismo è sottilmente razzista. Denuncia un’intera comunità umana, quella bianca “caucasica”, alla quale attribuisce pensieri e istinti a cui non può sfuggire, se non negando in radice la sua identità. E’ il vecchio incallito razzismo ribaltato in autorazzismo. Per sopravvivere e trovare l’indispensabile nemico, si veste del suo contrario e riemerge con forza sconosciuta, ma sempre con lo spirito equivoco del ricevimento nell’attico di Lenny a New York City.

Il mondo radical chic, nella sua azione distruttiva, ha compreso che l’uomo è un animale simbolico, un essere che “chiama le cose con un altro nome” e sa condensare le realtà più vertiginose in oggetti e termini semplificati. Può simbolizzare l’amore in un anello o la patria in una bandiera. Ha bisogno di immagini che lo sostengano e proteggano contro l’orrore del vuoto, horror vacui. Ha distrutto simboli venerandi che quasi nessuno ha difeso, sapendo bene che quando si abbattono i simboli che uniscono – da alcuni anni è il turno delle statue e delle opere d’ingegno degli esecrati maschi bianchi eterosessuali – i popoli non tardano a rispondere ruggenti, come mandrie invasate, al richiamo della foresta.

Il materialismo di quei ceti ha sporcato la vita quotidiana di tutti, mettendo a profitto la tossica lezione del marchese de Sade, il più coerente teorico del male del XVIII secolo, per il quale, se si vuole allontanare gli uomini dalle realtà spirituali, la distruzione dei simboli risulta ben più efficace delle stragi. Spogliati dei simboli- ciò che richiama i principi – gli uomini diventano ciechi di fronte alle realtà che questi rammentavano. Alla cecità, alle tenebre, tuttavia, si può arrivare anche attraverso un sovraccarico di luce artificiale.

Cinquant’anni fa, la ricca borghesia capitalista, avviata a diventare “post”, domò la rivoluzione – vera o presunta – delle Pantere Nere, avvolgendola nelle sue spire, cooptandola nei suoi valori di cartapesta, riassunti nel simbolo del dollaro. Così avvenne per la pseudo rivoluzione del Sessantotto. Ucciso il padre, destituita l’autorità, gettati nel fango i simboli, ha mantenuto il mito del Progresso e sostituito l’uguaglianza economica- obiettivo del vecchio marxismo – con l’equivalenza. Delle idee, delle razze, delle civiltà, dei sessi, di tutto, eccetto il portafogli. In mezzo secolo, poco più di due generazioni, ci ha messo letteralmente in ginocchio, persuasi a detestare ciò che siamo. Loro, i radical chic per convenienza di classe, continuano brindare nelle loro terrazze. Hanno cambiato in arcobaleno il colore delle livree dei servitori, regnano su un gregge istupidito, ma hanno – più di prima – il mondo in mano.

Un applauso amaro a loro, vincitori di una civilizzazione finita, maledizione a chi non ha alzato un dito per combatterli. Come sempre, guai ai vinti, noi.

https://www.maurizioblondet.it/cinquantanni-di-radical-chic/
« Ultima modifica: Giugno 16, 2020, 14:33:14 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Ottavia

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Re:La Questione Maschile sarà Radical Chic?
« Risposta #1 il: Giugno 17, 2020, 12:57:39 pm »
Lettura che non ho ancora fatto ma che ho adocchiato e pare in tema:

WHITE GUILT, di Emanuele Fusi

https://www.ibs.it/white-guilt-razzismo-contro-bianchi-libro-emanuele-fusi/e/9788885574182#nuovo-user-reviews


"Il razzismo contro i bianchi al tempo della società multietnica In queste pagine è richiamato, senza filtri, il più controverso tabù dell’Occidente multietnico: il razzismo contro gli europei e i loro discendenti. Che sia auto-inflitta dalle élite culturali della sinistra progressista o perpetrata nei bassifondi delle periferie più desolate, questa forma di discriminazione colpisce quotidianamente milioni di individui, ai quali viene contestato un gravissimo “peccato originale”. Dalle metropoli americane alle banlieue parigine, dalle fattorie del Sud Africa ai fiordi della Scandinavia, dalle aule parlamentari ai salotti televisivi, dalle cattedre universitarie alla stampa patinata: la cronaca degli eventi, rigorosamente censurata dai media mainstream, assume i tratti di un’ecatombe silenziosa. Emanuele Fusi compie un viaggio nei meandri di questa isteria progressista che - dietro la maschera dei “diritti civili” - cela una pericolosa tentazione auto-razzista, pronta a ridisegnare i parametri della democrazia e ad operare evidenti cortocircuiti culturali: buona parte degli attacchi in questione, infatti, proviene da un’intellighenzia occidentale che appartiene al medesimo ceppo delle sue vittime. L’autore passa in rassegna gli interventi di moltissimi esponenti impegnati in questa feroce opera di masochismo: accademici e opinionisti di sicura fama, giornalisti ed esponenti politici di primo piano, magnati della finanza internazionale e stelle dello spettacolo. Quella in atto - a giudicare dai curriculum dei protagonisti - è una forma di razzismo autorizzata e “politicamente corretta”, che nessuno denuncia e condanna. Il “pensiero unico” - in linea con l’omologazione planetaria tesa a sradicare ogni forma di identità - sembra porci dinanzi ad una programmata estinzione."

Offline Vicus

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Re:La Questione Maschile sarà Radical Chic?
« Risposta #2 il: Giugno 17, 2020, 13:58:18 pm »
Potrei intervistare l'autore, l'oicofobia è strettamente connessa con la QM.
Potrebbe aggiungere che questo razzismo si traduce anche in una discriminazione feroce a livello professionale e che negli USA i maschi bianchi muoiono a migliaia per dipendenza da oppiacei, una vera emergenza nazionale.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Duca

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Re:La Questione Maschile sarà Radical Chic?
« Risposta #3 il: Giugno 17, 2020, 15:11:43 pm »
Non ho capito se il primo articolo l'ha scritto Blondet o Pecchioli :hmm: comunque poco importa, il contenuto è ottimo.

Offline Vicus

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Re:La Questione Maschile sarà Radical Chic?
« Risposta #4 il: Giugno 17, 2020, 16:18:27 pm »
E' di Pecchioli, ha proprio centrato la questione.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Vicus

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Re:La Questione Maschile sarà Radical Chic?
« Risposta #5 il: Giugno 17, 2020, 17:50:46 pm »
Commento di un utente:

La questione maschile sara' radical chic?
Bella domanda niente affatto peregrina  anzi dal "respiro" se vogliamo epocale visto che la q.m è oggi chiaramente sotto la minaccia di voler essere omologata "all'opposizione p.corretta" parte integrante dello stesso pensiero unico, quell'opposizione totalmente formale e rituale  che fa del falso chiacchiericcio polemico la prassi per disinnescare nella società ogni "resa dei conti" culturale sulle questioni di principio.

Il problema e' che oggi ogni interazione sociale a tutti i livelli è stata irrimediabilmente politicizzata  tranne forse l'ambito q.m e pochi altri. Non esistono più in giro  moti di idealismo genuino e disinteressato anzi la sensazione e' che NON debbano piu esistere. Io ho una certa età  e quasi rimpiango i tempi della guerra fredda se non altro per il solo fatto che tutto nei suoi termini generali era sufficientemente chiaro e distinto:  una bella linea di confine due fronti opposti ognuno profondamente compenetrato nelle sue opinioni, dove la coerenza era tanto più onesta quanto lasciava spazio ad un solo esito possibile    ....o noi o loro.
Oggi non ci sono più ideali  perché non servono più a niente,  quello che conta e' solo la "prassi"   a cosa serve finalizzare e giustificare un moto riformista a un fine superiore fosse anche rivoluzionario se con il solo esercizio della prassi si ottengono nella società i cambiamenti che si vogliono.

Cos'è la prassi? La prassi altrimenti nota come "mistica" del dialogo (magistralmente sviscerata da plinio correa de oliveira nel suo trasbordo ideologico inavvertito) è costituita dalla messa in opera attraverso il proposito dialogante di un processo subdolamente femmineo volto alla corruzione delle convinzioni ideali delle vittime designate guardandosi molto bene dal mettere in discussione le proprie di convinzioni, a riguardo e' illuminante ricordare quanto dissero stalin in russia e poi togliatti in italia ai propri "picciotti" comunisti: con i cattolici non bisogna mai coinvolgersi in discussioni a fondo sul merito delle cose perché se si “sbaglia” persona si e' fottuti su tutta la linea,  questa gente bisogna prenderla con l'amo della prassi rappresentata dal pragmatismo delle necessita contingenti la mistica della cosiddetta "giustizia sociale": dalle rivendicazioni sindacali ai diritti civili ecc (come oggi con l'omofobia il razzismocol tempo questo gli farà accantonare sempre piu i propri ideali al punto che a un certo punto in un processo autodistruttivo entreranno in conflitto con se stessi  e con le convinzioni alla base della propria stessa identità. E' solo questione di tempo, del resto sulle questioni di principio come si può pensare di trovare un punto d'incontro, la cosa a tutti i fini pratici non e' meno impossibile di quanto lo sia comunicare con gli alieni in un incontro ravvicinato del 3zo tipo e la conferma la si può trovare anche nei forum della q.m  tutte le volte che con gran difficoltà si arriva all'essenza dirimente delle sue cause prime  il dialogo va puntualmente  “in folle”, a meno che per l'appunto uno dei due non ceda di schianto..

Oggi ad essere istradata verso il "gulag" del p.corretto per ammansirsi e farsi rieducare al rigetto come fondamentalista e integralista di ogni asperita' culturale  e di ogni convinzione "troppo" radicata è tutta la cultura sociale del nostro paese (del resto gia ben predisposta di suo)  al cui interno è bene ricordare c'è pure la q.m
Secondo me bisogna rendersi conto che la "fregatura" non sta tanto nell'incognita data dal dialogo nella logica della dialettica hegel-marxista  ma dalla mancata presa di coscienza che tutto:  ambiente, tavolo, linguaggio, è truccato alla radice per farti perdere.  E' come illudersi di poter manifestare le proprie idee ai “tavoli” di  La 7 della Rai di Mediaset, rispettivamente dalla Gruber  da Fazio o dalla Palombelli semplicemente non ci puo essere alcun VERO dialogo possibile. Se sono arrivati con il p.corretto a rendere direttamente funzionale alla loro ideologia  il lessico  il linguaggio comune  dell'ormai ex lingua italiana  ( lingua che in quanto strumento comunicativo dovrebbe essere quanto di piu “neutrale” possibile)  come si puo pensare che tutto quello che ne deriva  scrivere  comunicare interagire  parlare  non sia inquinato alla radice da una specie di schifosa tara ideologica che tutto tende a mistificare culturalmente e a strumentalizzare ideologicamente;  come non pensare che se questa gente ha manomesso “le regole del giogo” alla  base di ogni forma i comunicazione  e perché le questioni di principio non gli interessano un ca**o  ma gli interessa per l'appunto solo disinnescare e fagocitare l'avversario

Questo e' il dramma dei tempi nuovi  in un apparente delirio comunicativo  di fatto oggi non si dialoga più, il confronto si riduce alla sterilizzazione culturale dell'avversario attraverso tutta una prassi di ammorbidimento di annacquamento di stemperaggio di smussatura di ogni spigolo ideale  facendo dimenticare  che proprio in quegli "spigoli" si situano molto spesso l'essenza dei principi delle idee  tolti di mezzo questi  e solo questione di tempo  basta piazzarsi sotto all'albero e il frutto della sottomissione del tuo avversario una volta "maturato" abbastanza cadra' da solo nella cesta
Non e' certo un caso che la q.m  per "interposti attivisti" sia oggi nel mirino di questa caustica prassi disgregatrice
Evidentemente si dà sempre più fastidio al sistema, perché esso teme (anzi ha il terrore) che, come sempre accaduto, da una sacca di autentico rigorismo ideale si possa coagulare una controcultura antisfascista che proprio perché espressione di ideali dal massiccio spessore morale  può mettere a rischio le magnifiche sorti progressive del moralmente "piatto" e artificioso pensiero unico.

Dispiace metterla su questo piano (o forse no!) ma penso che per la q.m a livello culturale  serve cominciare a “sanificare” l'ambiente  dotandosi di una vera e propria profilassi preventiva  in misura ugualmente proporzionale a quanto si viene ruffianati  dalle sirene  omo lgbt queer gender..ecc ecc  tanto bisogna trincerarsi nei propri principi  di fondo  prima che la q.m maschile faccia la stessa fine della Chiesa di Bergoglio. E' tempo che il movimento maschile si dia pochi ma assoluti principi non negoziabili e ci si barrichi dietro.
« Ultima modifica: Giugno 17, 2020, 22:17:30 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.