C'è una tendenza del giornalismo, iniziata con Maurizio Costanzo ("barone" Mediaset e piduista) e dal Corriere alla fine degli anni '70, a discutere di questioni private: i capelli, le tensioni di coppia ecc. per distogliere l'ettenzione da qualsiasi impegno sociale o politico che possa dar fastidio. Qui un testo illuminante di Blondet:
LA PRIMA PRIVATIZZAZIONE
Ricordate? Ci sono stati gli anni della contestazione globale, della rivoluzione immaginaria e permanente, studentesca e operaia. “Dieci, cento, mille Vietnam”. E poi gli anni di piombo. Le Brigate Rosse, e tutti i “contigui” ad esse: intellettuali, giornali, politici, intere fabbriche. Gli scioperi, i cortei minacciosi. Gli attentati, il sangue, le scritte d’odio sui muri lividi. “Hazet 36, fascista dove sei?”. “Ucciderne uno per educarne cento”. Gli anni del libretto di Mao. Di Lotta Continua. Gli anni del “né con lo Stato né con le Br”. E il Pci vicinissimo al governo, quasi chiamato dai pavidi, partito marxista “ragionevole” perché difendesse i pavidi dal marxismo estremista. L’onda sembrava travolgente, inarrestabile. I più si preparavano, rassegnati o baldanzosi, a entrare nel socialismo reale.
Poi, di colpo, il Riflusso. Da un giorno all’altro, il Disimpegno. Tutti a casa. Com’è stato possibile? Com’è avvenuto? Noi ce lo ricordiamo, abbiamo conservato qualche ritaglio di giornale, preso appunti. Possiamo persino dirvi la data precisa.
Da noi, il Ritorno al Privato fu proclamato il 13 settembre 1978. Quel giorno preciso il Corriere della Sera pubblica con rilievo, e in prima pagina, la lettera di un lettore: che si dichiara cinquantenne, agiato borghese, e innamorato infelice di una donna troppo più giovane di lui. Inclina, per questo, al suicidio; ma prima chiede un consiglio, un conforto del Corriere.
E il Corriere diretto allora da Franco di Bella, affiliato (lo sapremo poi) della P2 risponde. In prima pagina. Con un corsivo anonimo. In cui si osserva che dopo anni di contestazione, assemblearismo e speranze rivoluzionarie, la gente è stanca e delusa. “I giovani per anni hanno provato ostinatamente a gestire il privato nel collettivo”, dice l’anonimo. Al grido di “il privato è politico”, i gruppi protestatari hanno cercato di convincersi e convincerci che tutti i problemi personali (amore, sesso, solitudine, acne giovanile) erano in realtà frutti della società repressiva, e tutti si sarebbero vanificati quando si fosse cominciato a “vivere il comunismo”. Ora però qualcuno (nella fattispecie, l’innamorato cinquantenne) ritrova il coraggio di parlare dei suoi fatti intimi come di dolori privati ancorché in pubblico e non come contraddizioni politiche. Finalmente. Non a caso l’araldo della nuova stagione è un cinquantenne: uno che, per anagrafe, “non ha fatto il ‘68”.
È un ritorno, come sospetta subito qualcuno, al Potere Grigio? Fatto sta che il fenomeno è subito registrato, con la parola che lo definisce: il Riflusso. Immediatamente, i giornali più potenti vi riconoscono “un grosso fatto di costume”. Definito “grosso”, il “fatto” va ingrossato, e non manca il metodo per farlo. Si mobilitano le Grandi Firme per discutere, dibattere, pronunciarsi pro e contro il Riflusso. Lo scopo è: parlarne per farlo esistere.
Il Corriere pubblica a valanga lettere di altri lettori, che rispondono al cinquantenne innamorato con consigli, parole di conforto, resoconti di “esperienze personali”. Pochi giorni dopo, un altro “grosso fatto”: il Corriere ripubblica una lettera intima, stavolta di un adultero di Cinisello Balsamo.
Non c’è che dire, è proprio il Riflusso. Ormai se ne scoprono dappertutto i segni. Infuria la febbre del sabato sera. “I nuovi giacobini dopo Marcuse hanno scoperto John Travolta”, come dice un altro titolo del Corriere. I “giovani” (quelli cioè che non hanno fatto il ‘68 per tenerezza di età) disertano le assemblee e affollano le balere: si apre a Milano, con capitali del Psi di Craxi, una discoteca con duemila posti, il “Club 54”. Mauro Rostagno, uno dei fondatori del Movimento all’Università di Trento con Renato Curcio e Mario Boato, ricompare vestito di mussola color zafferano: è diventato un seguace di guru Rajneesh. Professa una nuova religione che contempla l’uso del sesso etero e omo, di spinelli, e il dogma: “Io sono l’unico Dio di me stesso”.
Ai compagni di Lotta Continua che lo attaccano, parlando di “stronzificazione dell’esperienza mistica”, Rostagno non si sottomette: “Non c’è più il partito che ti dice cosa devi fare”, avvisa. Rifiuta pertanto di “fare autocritica”. Nelle scuole, del resto, il movimento è ormai in minoranza, ora accade talvolta che gli estremisti di sinistra non riescano a “gestire le assemblee”, né a raccogliere forze sufficienti (dieci contro uno) a negare la “agibilità politica ai fascisti”, più precisamente ai “travoltini”, sospettati di essere gli eredi dei “sanbabilini”. I “giovani” hanno dimenticato Che Guevara, leggono Tolkien.
Occorre interpretare gli eventi, prendere posizione. Comincia l’ammucchiata giornalistica: sul ritorno al privato, le parti vengono rapidamente assegnate. “Pro” il Corriere della Sera, “contro”, con preoccupazione, l’Unità; “pro” Alberoni, “contro” Asor Rosa. Se infatti il Riflusso è il contrario dell’Impegno, e l’Impegno non può essere che di sinistra, allora il Riflusso è di destra. Perciò è contro, sia pur con distaccata ironia, anche L’Espresso: “Qualcuno comincia a chiedersi con una punta di allarmismo: dopo l’amore e la quiete domestica, quali valori farà riscoprire il privato? Le previsioni sono catastrofiche: la verginità, il nonno, la tomba di famiglia...”1.
Son previsioni presto superate. Panorama ha pronto uno scoop: pubblica la lettera di una sposina che racconta come il marito, e talora la suocera, la sculaccino col battipanni; e tuttavia, anzi proprio per questo, si dichiara felice. La notizia allarma subito i rotocalchi femminili: sono in pericolo “le conquiste del femminismo”? Il Riflusso colpisce “la lotta delle donne”? Le lettrici, di colpo, temono di farsi sorprendere fuori moda. “Donna è bello” non si porta più? La polemica è al colmo, quando si sparge la voce che la lettera della sposina sarebbe, in realtà, una burla letteraria: se ne indica l’autore in Alberto Arbasino, che l’avrebbe scritta e spedita per godersi di nascosto il putiferio. Arbasino smentisce, il sospetto rimane.
Il quotidiano Lotta Continua, che vive i suoi ultimi mesi, accusa lo sbrindellarsi del “movimento”: “Siamo arrivati al punto che parecchi compagni spacciano eroina, troppi si bucano, altri vanno a rubare, espropriando troppe volte anche qualche povero cristo qualsiasi; il riprendiamoci la vita viene inteso come il ritorno all’interno di se stessi, a farsi i fatti propri o al ritorno alla coppia, vivendo tutto ciò distaccatamente dal resto dei compagni”2. Imperdonabile.
Come mai? Le Grandi Firme di Corriere, Espresso e della Repubblica aprono il dibattito: sarà stato l’influsso dei nouveaux philosophes? Di certo c’entra qualcosa la circostanza che la Cina, seppellito Mao, ha cominciato a importare Coca Cola e a mettere fra parentesi l’ideologia, rivelandosi al mondo per quello che è: non il paradiso comunista, ma un inferno devastato dalla Rivoluzione Culturale. In Cambogia, il “comunismo integrale” di Pol Pot s’è palesato come un genocidio capace di sterminare un terzo della popolazione in due anni. L’eroico Vietnam del Nord, divenuto seconda potenza asiatica per armamento, ha invaso il Paese “fratello”. È il crollo dei miti, constata il Corriere: “I giovani sono orfani”.
Già. Ma quelli che vengono indicati come sintomi certi del Riflusso, in realtà esistevano già da tempo. Adulteri e innamorati infelici che scrivono alle “poste del cuore” dei giornali non sono mai stati rari; il volto disumano del comunismo era scoperto da anni; e almeno dal 1977 Lotta Continua ha dovuto cominciare a pubblicare una rubrica di “corrispondenza coi lettori”, in cui sempre più spesso - con dispetto dei compagni più duri e puri la lagna del privato (“Sono innamorato di una compagna che non mi vede nemmeno...”) aveva la meglio sull’ideologia.
Viene dunque un sospetto. Il Ritorno al privato poteva essere proclamato, basandosi su sintomi ugualmente plausibili, due anni prima, o due dopo. Se è stato dichiarato il 13 settembre 1978, una ragione dev’esserci. Quale? Voci non controllate parlano, all’epoca, di un’indagine di mercato commissionata dalla nuova proprietà del Corriere, la quale avrebbe rivelato la crescente stanchezza del pubblico per le rivelazioni, le speculazioni, i retroscena del Palazzo. Proprio in base a quest’indagine, per venire incontro al nuovo mercato che si starebbe delineando, le teste d’uovo editoriali avrebbero progettato a tavolino il “nuovo quotidiano popolare”, subito definito “a larga diffusione”, la cui direzione è stata affidata a Maurizio Costanzo: un altro personaggio che solo dopo confesserà di appartenere alla P2. Il nuovo “popolare” si chiamerà L’Occhio e uscirà in autunno. E destinato a “questi famosi quarantenni di cui si parla tanto perché non hanno fatto né la guerra né la Resistenza né il ‘68”. In un’intervista3, Maurizio Costanzo ha spiegato che suo compito è fare “un giornale non ansiogeno”, che non presenti “le notizie sempre al negativo”, ma che “racconti fatti che colpiscono ed esprimono i sentimenti della gente”. Insomma, “faremo molta cronaca”, dice Costanzo. E aggiunge: “Non intendo occuparmi del Palazzo, lo si fa già troppo”.
Esiste la famosa ricerca di mercato? Al Corriere negano. Ma si sa che è stato il direttore piduista in persona, Di Bella, a insistere contro la perplessità dei suoi collaboratori più vicini a mettere in prima pagina la lettera del cinquantenne innamorato. L’ammissione è importante: c’è stata dunque una scelta precisa, probabilmente ben motivata.
Una rivista allora stampata dalla Federazione Nazionale della Stampa, allora egemonizzata da giornalisti comunisti, Numero Zero, fa il conto degli argomenti collegabili al Riflusso apparsi da qualche tempo sulla prima del Corriere: l’elenco, incompleto, è probante4. “Nel numero del 9 dicembre appare di spalla un pezzo su voci di ‘un tragico amore del Papa’” (Papa Wojtyla è considerato un araldo del Riflusso, essendo la religione il contrario dell’Impegno). 14 dicembre: in prima pagina il Corriere pubblica “ben tre pezzi di varietà, uno sul Natale ruggente, uno su un ricevimento a Palazzo Durini (che comincia così: “Novecento cuscini di raso...”) e un altro sulla febbre dei dischi volanti (“La spiegazione è dentro di noi”). 15 dicembre: si parla della “febbre dell’oro al self service del lingotto”. Quattro giorni dopo: un articolo sui regali di Natale. Pochi altri giorni, e il 22 dicembre ecco: “Senza calcio feste diverse”. 29 dicembre: “Coraggio, fra poco le feste sono finite”.
Ma c’è di più. Il 17 dicembre, il Riflusso vien coniugato al femminile: “Le risate e le lacrime della donna a 40 anni”. Il 30, il Corriere s’interroga: “Si può violentare la moglie?”. Il 17 gennaio: “Quando la donna non può fidarsi neppure sotto le lenzuola di casa”. Il 25 e il 27, il Corriere rilancia in prima pagina la lettera della sposina sculacciata, pubblicata da Panorama. Poco dopo, ampio rilievo alla storia di Peppineddu, contadino siciliano “con un harem: aveva sette mogli”. Il Corriere si domanda: Peppineddu “è un erotomane, uno sfruttatore, o un uomo che ha capito il vero senso della vita anche se in modo grezzo?”. Il 6 marzo il critico letterario del giornale, Giulio Nascimbeni, commenta in prima pagina (“Nel nome di Rabelais”) l’evento della sera prima: alla tv il comico Benigni ha cantato una canzone di tema escrementizio, La ballata del corpo sciolto. È il Riflusso, il Riflusso. L’8 marzo il Corriere fa una scelta rivelatrice: relega all’interno la notizia di un corteo di 50 mila femministe a Roma, mentre sbatte in prima pagina il seguente titolo: “Tornano donne oggetto e casalinghe soddisfatte”. Tra gli argomenti considerati simbolici del Riflusso, non manca “La nuova moda del diavolo”, che il Corriere annuncia il 12 gennaio con un sottotitolo che Numero Zero giudica “molto serio”: “Incremento d’interesse per le pratiche pertinenti l’area del demoniaco”.
Una cosa soprattutto preoccupa i compagni redattori di Numero Zero: nel promuovere il Riflusso, il Corriere lo collega apertamente con il disgusto del Politico, il rifiuto dell’Impegno a sinistra. Lo dichiara il titolo dell’articolo del sociologo Alberoni che compare il 5 dicembre in prima pagina: “I nuovi giacobini dopo Marcuse hanno scoperto Travolta”. Lo ripetono altri titoli nei giorni seguenti. Il 12: “Così è finito il sogno nato negli Atenei”; il 31: “Si chiude l’anno del riflusso e della riscoperta del privato”; il 9 gennaio: “Non abbiamo più ritratti da appendere accanto al letto”; il 14: “Il deserto dei giovani Simboli infranti, smarrimento, riflusso”. E il 20, “Orfani”: un altro articolo che, come quello del cinquantenne innamorato, dà la stura al “dibattito”, con opposte prese di posizione del Corriere e di Repubblica, del Giornale e dell’Espresso, e con interventi di Bettiza e Moravia, Umberto Eco e Luca Goldoni, Zincone e Flores d’Arcais. Gli “Orfani”, s’intende, sono i sopravvissuti al maotsetungpensiero, i disillusi del Vietnam, i reduci del castrismo immaginario, i delusi dalla Cambogia, insomma (come spiega un titolo del 22) gli espulsi dai “paradisi perduti dell’ideologia marxista”. Per i quali Alberoni suggerisce l’ultimo motivo di speranza in un articolo del 22 marzo: “Ma l’amore è la prima rivoluzione”. Dove si spiega che, essendo l’innamoramento “un movimento collettivo a due”, il “tornare alla coppia” (ossia al Privato) ha la stessa dignità che partecipare allo “stato nascente” dei movimenti collettivi. Dunque bando ai rimpianti. Il Riflusso, proclama addirittura Alberoni, è il preludio “a un nuovo Rinascimento”.
Per il Pci e i compagni di strada, dunque, la promozione artificiale del Riflusso è un fatto indubbio. Numero Zero accusa cautamente la nuova proprietà del Corriere, ossia la famiglia Agnelli, di promuovere il Ritorno al Privato “contro la sinistra”. D’altra parte, anche negli anni del più rovente impegno, il Corriere “non ha mai colto fino in fondo la domanda di cambiare che viene dalla società”.
Il linguaggio di quest’ultima frase di Numero Zero va notato: è il linguaggio datato, che viene dall’ieri dell’Impegno, dell’egemonia, del consenso obbligato a Berlinguer, che il Pci si ostina a parlare col rischio di apparire senza speranza fuori moda. Ancor più scialbo, in quanto l’analisi appare incompleta per eccesso di prudenza. Il Riflusso, suggeriscono i giornalisti Pci, non è “spontaneo”; è promosso da “un complotto”. Ma sulla natura del complotto devono tacere, altrimenti finirebbero per gettare luce sulle radici del fatto sulla cui “spontaneità” non possono ammettere dubbi: il “consenso” ai comunisti, cresciuto negli anni passati, non è stato in larga misura promosso da quello stesso Corriere e dagli stessi personaggi che oggi fabbricano il Ritorno al Privato?
Allora, Lotta Continua ebbe meno prudenze. In quel periodo, essendo in Italia per delle conferenze Noam Chomsky, il linguista del MIT (Massachusetts Institute of Technology), il guru dell’estrema sinistra americana, lo intervista: e gli fa dire che il Riflusso è una creazione della Trilateral Commission, il Gran Consiglio del supercapitalismo. Secondo Chomsky; “l’ordine, come stabilisce testualmente la Trilateral, dipende dalla capacità di portare disfattismo e passività negli strati che si sono mobilitati. Ecco il perché della propaganda in atto, che vuole istillare nella gente egoismo e apatia al posto di ideali, speranze e volontà (...) anche qui in Italia è in atto il solito sforzo propagandistico, che va sotto il particolare nome di ‘riflusso’. Come in Francia e in Germania, c’è il tentativo di unificare tutti i media centralizzandoli da destra”5.
Detto così, certo, pare rozza fantapolitica. Eppure Chomsky ha in mente un testo preciso: il Rapporto sulla Governabilità delle Democrazie pubblicato fra i documenti della Trilaterale (Triangle Papers, New York University Press) pochi anni prima, nel 1975: dove, a pagina 114, si legge: “Il funzionamento efficace di un sistema democratico richiede una qualche misura di apatia e non coinvolgimento da parte di individui e gruppi”, e in cui, a pagina 152, si propongono metodi per il controllo dei mass media e degli “intellettuali orientati ai valori” (value oriented intellectuals), che devono essere invece sostituiti da technocratic policy oriented intellectuals, più adatti a capire le esigenze di una “democrazia efficace”. E non a caso, quando Chomsky rilascia quell’intervista, in Italia il Corriere della Sera è appena passato, con tutta l’editoriale Rizzoli, sotto la proprietà della Fiat: e il Corriere, con direttore P2, è abbiamo visto l’annunciatore del Riflusso.
Qualcosa di vero può dunque esserci. Proviamo a seguire il ragionamento: nel 1978, il Centro dell’Impero decide che è ormai ora, diciamo così, di raffreddare le scorie roventi della contestazione, che coinvolgendo i gruppi sociali nella politica dalla protesta per il Vietnam in poi ha messo in pericolo la “governabilità” del sistema tecnocratico. Ma bisogna farlo senza mettere in pericolo quelle “conquiste del ‘68” che sono funzionali al sistema. Il ‘68 infatti è stata una rivoluzione culturale nel senso più profondo: non ha cambiato i rapporti di potere esistenti (anzi, il potere è sempre saldamente in mano a quelli nel Centro dell’Impero), ma ha rivoluzionato i costumi: in un senso che la tecnocrazia approva. La “conquista” centrale del ‘68 si identifica con la “rivoluzione sessuale”: la diffusione nel vasto cuore della società di quella “modernità” psicologica, totalmente secolarizzata, illuministica in senso libertino, che prima era privilegio di scarne élites laiciste. Il ‘68 non ha dato “il potere agli operai”, come vaneggiavano i suoi figuranti, ma ha dato alla società italiana l’aborto, il divorzio, la tolleranza per l’abuso delle droghe, le varie “libertà per i diversi”. Sono queste “le conquiste del ‘68” che il potere economico intende conservare: perché, spazzato via il senso comune (“cattolico”, in Italia), sono stati fatti cadere gli ostacoli morali alla trasformazione dell’uomo in “consumatore” edonista.
Il Riflusso garantisce che queste “conquiste” non vadano perdute: nel 1978, il Ritorno al Privato approvato non è ancora una richiesta politica, per esempio di “privatizzazione” della società civile dall’invadenza dello statalismo. I soli Ritorni al Privato che vengono promossi sono quelli che si esercitano nelle camere da letto (gli innamoramenti dei cinquantenni), o quelli che si esercitano nell’insignificante (la “febbre del sabato sera”). È proprio di questo che si compiace l’Espresso, quando in un sondaggio sulla “nuova morale”, può annunciare felice che sono mutati i confini tra le zone del bene e del male”.
In quegli stessi giorni, Giorgio Galli rassicura i compagni comunisti preoccupati dal riflusso: “Ma agli anni Cinquanta non si torna”6, perché gli italiani “sono arrivati alla filosofia politica occidentale anche attraverso la cultura ribelle del Sessantotto”; e “dieci anni di lotte coraggiose hanno convinto metà degli italiani che la sinistra ha diritto di governare”. Il messaggio poteva sfuggire, allora, agli ingenui. Pochi potevano capire che la “filosofia politica occidentale” che “la cultura ribelle del ‘68” aveva promosso, era in definitiva quella dell’America, intesa come l’Impero del Consumo e dell’Efficienza. Ma nel nuovo impero, si prometteva un posto alla “sinistra”: ossia al Pci, se rinunciava al suo populismo messianico. Era, sulle scorie normalizzate del ‘68, “l’incontro tra borghesia progressiva e comunismo” post rivoluzionario. Solo Augusto del Noce lo capì: la rivoluzione culturale aveva “esercitato un’azione dissolutiva che non distrugge le classi, ma porta al dominio di una nuova classe, quella che tratta ogni idea come strumento di potere”. Qual è questa nuova classe? Sono “i manager (che) possono presentare il loro dominio come una necessità tecnica della produzione, unico valore rimasto dopo la distruzione” di tutti i valori. Ai comunisti e rivoluzionari sessantottini, in via di diventare (non lo sapevano ancora, loro) i “democratici della sinistra”, la tecnocrazia offre un impiego: quello “di tenere in custodia un mondo in cui i valori si sono dissolti”7.
Più di tre lustri sono passati. Il Riflusso continua anche nel Nuovo Ordine Mondiale. Alla direzione del Corriere (e anche de La Stampa) ci sono intelligentissimi ex sessantottini, assai scanzonati quanto ai principii, ma molto ossequienti alla Proprietà. Dicono che Paolo Mieli ed Ezio Mauro vadano spesso a trovare Enrico Cuccia. E pendono dalle sue labbra.
Così, assai prima che si cominciasse a parlare di “privatizzazioni” delle industrie parastatali, dei telefoni, della previdenza sociale fu intrapresa la privatizzazione delle anime. Necessario preliminare alle altre.