Risponde il Forum degli Incel:
Sui propagatori d’ansia, sui mestieranti dell’allarmismo, sull’illogicità di un certo modo di “fare informazione”, sulla creazione a tavolino (con o senza malafede), di fenomeni inesistenti.
Il mondo è grande, si sa. Le persone interagiscono, parlano, si aggregano in maniera più o meno formale, in modalità multiple.
Io “sono”. Io sono chi? Io sono cosa, precisamente? Seguitemi per 5 minuti in questo ragionamento perché ora parlerò di me, ma questo discorso, in linea di massima, può valere per ognuno di noi qui, al di là delle sfaccettature personali.
Prima di tutto, un segreto di Pulcinella: al giorno d’oggi, per ognuno di noi, è necessario specificare “chi sono” nella vita reale e “chi sono” on-line. A volte le cose coincidono, altre volte no. E non sempre, e non per tutti. E, tuttavia, nonostante queste ulteriori specifiche, non è detto che le cose siano come sembrano, almeno apparentemente. Una persona è una persona in un dato momento, in un altro può essere completamente diversa, tutt’altro individuo.
Allora io sono, nella vita reale, prima di tutto una persona con i suoi valori, le sue idee, il suo bagaglio di vita, i suoi errori, i suoi successi. Poi sono un cittadino. Un ateo, un sostenitore Airc, un orfano, un matto certificato, un lavoratore a periodi alterni, un ragioniere, un laureato, un ciclista, un automobilista, un terrone, un ex tossicodipendente, una persona affabile ed educata. Affabile ed educata, si, è vero, poi magari mi telefonate a casa alle 14 per vendermi contratti telefonici e vi mando a quel paese, da maleducato e scontroso quale (anche) sono. E sono molto altro.
Iniziate a capire quanto stupide ed insensate siano le etichette riferite ad una persona? Si?
Bene, allora scriviamolo con più precisione: non sono stupide ed insensate le etichette, ma sono stupide le persone che etichettano una persona, perché è questo ad essere insensato. Figuriamoci la stupidità di chi pretende di etichettare non una persona, ma gruppi di persone indefiniti ed indefinibili, per definizione. I Supersayan della stupidità. Pesi massimi, insomma.
Il discorso si complica ulteriormente sul “chi sono io” on line: uno, nessuno, centomila.
Se mi collego al sito dell’Agenzia dell’Entrate con la mia utenza e password, per esempio, potete stare sicuri che “io” sia proprio “io”. Anche voi, beninteso.
Ma chi sono io, quando agisco nel completo anonimato sul web (per modo di dire… formalmente almeno)? Quando lascio un commento su di un sito? Quando interagisco con altre persone, quando mi relaziono in tutti quei contenitori dove non è necessaria una reale autenticazione, dove non c’è alcuna misura della veridicità dell’identità? Sono, in quel caso, un perfetto sconosciuto, un estraneo e tali considero tutti i mie interlocutori: estranei e potenziali mentitori. Io stesso potrei essere un troll, in questo esatto momento, nessuno lo saprebbe mai. Ognuno di noi, qui, potrebbe essere altro rispetto a quello che dice, un utente un troll, nessuno escluso. Ha senso etichettarci?
La forzatura dell’etichetta, che già è una stupidità a prescindere, è applicabile on line, per logica spicciola, a persone quantomeno identificate senza dubbio: posso dire che l’associazione, dei “Tal dei tali” che si batte per i diritti dei gatti persiani (faccio per dire), realmente esistente, e che ha un sito web dove scrivono i suoi soci regolarmente tesserati, è composta da persone fanatiche che detestano i cani (se per assurdo dai loro discorsi emergesse questo), e comunque con tutte le riserve del caso. Ma cosa posso dire di un gruppo di persone del tutto eterogenee, che si ritrova su di uno spazio virtuale dove è possibile registrarsi e scrivere con una semplice email anonima, dove si legge di tutto e di più, dalle battute al black-humor, alle lamentele e dove il comune denominatore (quando anche ci fosse), è un’avversione generalizzata NON verso il sesso femminile, si badi, ma sulla disparità di trattamento che la società riserva ai 2 sessi?
Una persona ragionevole non direbbe proprio nulla, e passerebbe oltre esattamente come quando per strada sente un gruppo di sconosciuti parlare: chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Ma ragionevole, evidentemente, non è chi scrive articoli tipo questo
www.wired.it/internet/web/2020/06/...mo/?refresh_ce= (che è uno tra i tanti), oppure i vari sociologi che scomodano la loro formazione per interrogarsi seriamente sulle vuote chiacchiere da forum. Ah, gli studi, quando servono!
Attenzione: non sto dicendo che non siano avvenute, oltreoceano, stragi compiute da pazzi psicopatici, ma da questo a generalizzare usando eventi di cronaca per ricondurli ad un’etichetta con cui si pretende di catalogare una moltitudine di persone diverse, che interagiscono esclusivamente on-line, allora si sta mettendo in atto una caccia alle streghe sciocca, miope, ottusa e, questa si, inquietante.
Se noi non fossimo on-line, ma ci incontrassimo casualmente tutti i giorni di mattina (perché magari prendiamo gli stessi mezzi pubblici e aspettiamo insieme sulla stessa banchina), e ogni mattina parlassimo insieme per dieci minuti sviluppando nel tempo un argomento comune… saremmo amici? Saremmo “responsabili” l’uno dell’altro? No, resteremmo persone che si incrociano, niente più e niente meno. E se tra di noi vi fosse un matto latente, che un giorno perde le staffe e in nome dell’argomento comune (la pesca, la caccia, la politica o quello che vogliamo), compie una strage… saremmo responsabili? Saremmo, noi, terroristi? Ovviamente no. E allora perché questi “signori” parlano concretamente di possibilità di atti terroristici e non parlano, invece, della possibilità che un matto possa interagire in questi luoghi per poi far esplodere la sua follia, e anche con le dovute precisazioni: qui come in qualunque altro luogo virtuale, e puntualizzando che una rondine non fa primavera, e che un pazzo non rende "terroristi" tutte le persone che hanno avuto la sfortuna, loro malgrado ed inconsapevolmente, di interagire con lui (quando anche fosse, un remoto, simile, scenario)?
Perché parlare di terrorismo con tanta noncuranza è fare allarmismo a buon mercato. Il terrorismo è una cosa vera, seria, grave, e va trattato con la serietà che il fenomeno esige. Ma parlarne a vanvera (per vendere una copia in più? Per un click? Per farsi intervistare in qualità di esperto? Perché, oggi, non si è più in grado di raccontare la realtà senza ricorrere al sensazionalismo? Poco importa), presuppone o aprire la bocca tanto per darle fiato inutilmente, o un modo di fare meschino, da stigmatizzare. Delle due l'una, e nessuna è invidiabile.
Si può parlare di terrorismo, quando si ha la certezza di una realtà organizzata e di una volontà di un gruppo di persone di agire con quel fine. Ma così, con evidenza, non è.
Per non tirarla troppo per le lunghe, in via preventiva e per quanto riguarda il Forum degli Incel, concludo respingendo ai mittenti (giornalisti, sociologi e professori vari che si sono alternati nel tempo cavalcando tali amenità), qualunque fantasiosa supposizione. Qui respingiamo fermamente violenza, terrorismo, e soprusi di ogni genere contro persone e animali. I matti in circolazione, invece possono essere un nostro fardello solo nella misura in cui lo sono per tutte le altre persone libere, che fanno 4 chiacchiere senza conoscersi realmente.