Un amico, vi giuro persona colta e imbevuta di cultura di destra, e intelligente (vi assicuro), dopo la partita di calcio mi ha mandato questo tweet esultante:
“Sconfitti gli scismatici. Gli imperialisti. La demoplutocrazia massonica”
Gli ho risposto che confermava quel che dicono di noi gli inglesi: che
perdiamo le guerre come fossero partite di calcio, e le partite di calcio come se perdessimo una guerra. Mi ha replicato piccato, senza nemmeno accorgersi che era lui ad attribuire alla partita un valore di vittoria bellica: contro la demoplutocrazia massonica, addirittura contro gli scismatici, cosa che gli inglesi sono da Enrico VIII.
Sono naturalmente
vittorie fantastiche, oniriche, che riflettono una profondissima frustrazione: la sofferenza di essere un non-popolo, che trova una (immaginaria) unità solo a negli stadi internazionali, e invece si divide e spacca in tutte le cose importanti.
Basta pensare a come ci si spacca sul fatale e pericolosissimo, per la libertà di pensiero, ddl Zan; senza possibilità di mediazione. Per contro, la vittoria calcistica viene interpretata da certi media come un altro successo del nuovo governo Mario Draghi, come un merito di Mattarella. Delirio. Ma ha un motivo.
Il motivo lo disse Metternich, descrivendo – come noto senza nessun intento spregiativo, ma descrivendo una situazione di fatto – nella celebre frase:
«La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle».
Si consideri qui la seconda frase: si chiamava Italia, allora, una qualificazione linguistica. Più precisamente: era una unità linguistica mantenuta dalla classe colta, quella specifica classe che sta come un velo sottile al disopra del popolo italiano: i letterati. Come tutti – come i napoletani istruiti, come i veneziani, come i romagnoli colti eccetera – Alessandro Manzoni si esprimeva quotidianamente in dialetto milanese; come per Cavour, il francese gli era più consono e consueto; solo che volendo scrivere il romanzo “nazionale”, sentì il bisogno di “lavare i panni in Arno”, stare a Firenze per imbeversi della ricchezza linguistica che i colti hanno scelto come “lingua comune”, avendola imparata sugli scritti di Dante e ancor più di Petrarca.
Insomma l’Italiano non è come lo spagnolo la lingua di Madrid, la capitale politica, la lingua di quelli che prendono decisioni, armano caravelle, muovono i tercios, assegnano encomiendas; è la lingua dei letterati. Inetti all’azione, che quando si occupano di politica, sono soggetti a mode libresche, invariabilmente venute dall’estero. Quando scriveva Metternich, la moda dei giovani ricchi e colti italiani – Manzoni compreso – era il “patriottismo”, idea di cui gli intellettuali dell’epoca erano tributari della Massoneria francese – che l’aveva instillata con specifiche operazioni propagandistiche allo scopo di spaccare l’unione di “trono ed altare” (lo stato pontificio, gli Absburgo a Vienna, i Romanov in Russia) – ; non un’idea autoctona italiana, né aspirazione del popolo italiano – quello che parlava i dialetti locali e andava Messa con fede. Al patriottismo, il popolo è stato estraneo fino all’epoca del fascismo (che attuò la “nazionalizzazione delle masse”); una nazionalizzazione in parte melodrammatica, ossia recitata e posticcia, che non resse alla guerra vera – che non è un coro dell’ Aida.
Oggi, fateci caso, assistiamo allo stesso fenomeno. Oggi l’ultima moda della classe colta progressista è la “lotta all’omotransfobia”, alla teoria del gender e del cambiamento di sesso trans, cascame ideologico che viene esclusivamente dagli Usa ed è stata adottata come dottrina ufficiale dall’eurocrazia, che la impone con la persecuzione all’Ungheria – e a chiunque vi si opponga. Esattamente come allora la moda-patria non veniva “dal basso”, da una pulsione basale dei popoli italiani, così oggi non è il popolo che chiede questi “nuovi diritti” per gli LGBT; non ha capito nemmeno cosa sono. Il popolo è solo passivamente soggetto all’impostura pandemica, soggetto alle armi di distrazione di massa di cui l’eurocalcio è il principale – per qualche giorno.
Non vede l’abisso verso cui l’ha portato la gestione di Speranza e Draghi della “pandemia”: la disoccupazione per milioni di loro, e l’imminente crack del sistema pensionistico, che è finanziato dai lavoratori attuali coi contributi sociali, che i disoccupati e gli irregolari non pagano più. Sentite mai affrontare questo tema dalle TV? No, si parla di calcio e di pandemia, di variante D e del calcio.
E il colto di destra, in fondo, che sente oniricamente vendicato sulla perfida Albione, in fondo non fa che aderire alla “penultima moda”.
Triste, anzi abissale la sorte di un popolo che ha una simile “classe colta” che segue le mode ideologiche e gliele impone.
https://www.maurizioblondet.it/infelice-il-paese-che-ha-questa-classe-colta/