I testi degli autori antichi li avevamo già (conservati dai monaci pur essendo testi pagani, il che smonta certi miti sull'oscurantismo cattolico). Un pensatore che non ha idee originali di rilievo, non può essere considerato un grande pensatore. Comunque l'oggetto del topic è il divario tra Bruno e la leggenda creata su di lui a scopi propagandistici nell''800.
Mi piace discutere con te di questo argomento. Vorrei risponderti punto per punto. Penso che anche concentrandoci su aspetti un po' più approfonditi possiamo contribuire a demistificare Giordano Bruno in ogni senso.
Una cosa è conservare un testo, commentarlo e servirsene, un'altra interpretare il testo per restituire ad esso il proprio significato e tramandare quest'ultimo attraverso un pensiero originale. Il sostrato da cui attinge GB è senz'altro antico, ma lui compie due innovazioni: 1 - cambia il modo in cui l'uomo europeo moderno guarda alla propria antichità: per fecondità e profondità speculativa è paragonabile a un Nicolás Gómez Dávila, ma con quattrocento anni di anticipo, per acume filologico supera ancora molti dei filologi contemporanei; 2 - riscopre i pensieri antichi, ma tenta un superamento in grande stile: Platone e Aristotele non potevano accettare un universo infinito, ma Bruno capovolse le loro dottrine. Se, come gli antichi avevano compreso, il mondo è un'immagine che indica l'essere di qualcos'altro, allora il compito del mago conduce a un universo infinito, perché il compito del mago è discernere, conoscere, portare allo scoperto ciò che è nascosto: questo significa però che ogni volta che il nascosto viene portato allo scoperto cessa di essere nascosto e diventa qualcos'altro, entra a far parte del mondo e perciò rimanda necessariamente a un ignoto ulteriore. Oggi chi si approccia agli autori classici con rigore filologico e filosofico sa che in questa catena di rimandi c'è sempre un ignoto definitivo e ciò significa che Platone e Aristotele avevano ragione su Bruno: l'Universo è finito. Ciò non toglie però che l'innovazione bruniana fosse basata su fondamenta talmente solide da rinnovare completamente il concetto di infinità, dando vita a quello che poi verrà chiamato il concetto della buona infinità, che prende piede in Kant e Hegel e culmina in Severino, oltre a dominare il nostro modo di vedere il mondo naturale, la realtà storica, politica e sociale. L'argomento di Bruno è il seguente: se ogni cosa del mondo rimanda metafisicamente a qualcosa che si sottrae al mondo nascondendosi, allora ad ogni scoperta del mago corrisponde un ampliamento della conoscenza del mondo che rimanda a un ampliamento ulteriore, fungendo da visuale su una positività infinita, senza mai giungere a un ignoto definitivo. In Severino questo concetto avrà drastiche conseguenze.
Non ho detto che Bruno negasse il mondo sensibile. Ma già per Platone la realtà era espressione (traduzione in atto) di concetti (le idee), mentre per Vico non si potevano formulare principi astratti e generali se non partendo dall'osservazione della realtà.
Questo ha importanti ripercussioni sul pensiero moderno, ormai giunto a forzare la più evidente realtà per adattarla alle sue ideologie (es. il gender).
E' un lungo percorso culminato con la fenomenologia, secondo cui (Heidegger) il reale non è ciò che più conta: la realtà emerge da un «fondo» (Bestand) di possibilità non realizzate che sono state oscurate o messe da parte dall'azione e acquistano "realtà" nella coscienza soggettiva (cd. disvelamento). Heidegger usa l'indicazione di Husserl «il possibile precede il reale».
Queste visioni fislosofiche che mettono al primo posto le "idee" fanno pendant con le tecnologie elettroniche che rendono incorporea l'esperienza.
Heidegger identifica la libertà come libertà dai vincoli materiali, raggiungibile tramite la sottomissione alla tecnologia elettrica: «Se ci apriamo autenticamente all'essenza della tecnica, ci troviamo insperatamente richiamati da un appello
liberatore» . (La questione della tecnica, p. 26).
L'uomo perde i suoi riferimenti corporei ed umani e si trasforma in idea, in software infinitamente malleabile da algoritmi. L'esatto contrario della libertà vagheggiata da Heidegger.
Afferma Vico: "Altra proprietà della mente umana ch'ove gli uomini delle cose lontane e non conosciute non possono
fare niuna idea, le stimano dalle cose loro conosciute e presenti. Questa degnità addita il fonte inesausto di tutti gli errori presi dall'intiere nazioni e da tutti dotti d'intorno a' principi dell'umanità."
Questo passaggio della Scienza Nuova è fondamentale: "Apparisce questo lume eterno, che non tramonta, di questa verità, la quale non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i princìpi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana.
Lo che, a chiunque vi rifletta, dee recar maraviglia come tutti i filosofi seriosamente si studiarono di conseguire la scienza di questo mondo naturale, dei quale, perché Iddio egli il fece, esso solo ne ha la scienza; e trascurarono di meditare su questo mondo delle nazioni, o sia mondo civile, del quale, perché l'avevano fatto gli uomini, ne potevano conseguire la scienza gli uomini."
L'uomo non studia né mette in discussione i suoi prodotti sociali e tecnici, che considera dati e inevitabili come fossero elementi naturali, mentre sono creazioni del suo intelletto. Che può errare, specialmente quando nell'intervenire sul tessuto sociale non parte dall'osservazione della realtà, ma da idee personali e preferenze ideologiche. Ciò porta ad utopie ed aberrazioni, significativamente moltiplicatesi negli ultimi due secoli.
"È necessario che vi sia nella natura delle cose umane una lingua mentale comune a tutte le nazioni, la quale uniformemente intenda la sostanza delle cose agibili nell'umana vita socievole, e la spieghi con tante diverse modificazioni per quanti diversi aspetti possan aver esse cose.
Questa lingua è propia di questa Scienza, coi lume della quale se i dotti delle lingue v'attenderanno, potranno formare un vocabolario mentale comune a tutte le lingue [NB: le tecnologie sono linguaggi] articolate diverse" (Scienza nuova, p. 60).
Bruno "negava" il mondo sensibile nella misura in cui ne risolveva il senso nell'infinità, ma lo affermava nella misura in cui quest'infinità era proclamata positività infinita. Ancor più del mondo sensibile egli "negava" in questo senso il mondo delle immagini, il mondo della mente. L'opposizione di Bruno contro tutte le fazioni religiose dell'epoca sta in questo: egli risolveva il sovrannaturale nel mentale e attribuiva al mentale la funzione principale dell'immaginare. Il regno delle immagini era il sostrato sottile entro il quale era possibile scorgere le ombre delle idee, ossia gli archetipi junghiani - fu anche anticipatore di Jung -: esso faceva parte dello stesso mondo sensibile, non era altro che una rappresentazione più primitiva o più semplice di quella imitazione dell'ideale che caratterizza lo stesso mondo sensibile ad un grado di maggiore presenza, ma minore corporeità. Il grado più profondo di imitazione è anche quello più astratto, ossia il grado della ragione e che è scienza della materia-Dio in quanto scienza delle cause e delle leggi, che sono rispettivamente astrazioni per ipotesi corroborabile e controllo, e astrazioni per generalizzazione di regolarità: tutto questo riguarda il mondo materiale, in Bruno interpretato metafisicamente secondo uno schema che si deve in buona parte a Cusano, ma tradotto in termini del tutto diversi e innovativi, perché le leggi di contrazione ed espansione universali vengono qui prese in considerazione come lenti su serie e serie di concatenazioni causali.
Viaggiò per tutta Europa scappando dalla morte che lo inseguiva, perché il suo pensiero era un atto di autonomia e dissidenza politica e religiosa che, appena diffuso negli ambienti da lui frequentati, lo esponeva al rischio dell'accanimento da parte di intellettuali rivali e alla conseguente procedura penale inquisitoria. Scappò da tutti i posti in cui si era trovato perché cercando il potere di realizzare la sua visione fu visto come soggetto pericoloso, per il suo pensiero e soprattutto per la sua potenziale influenza, per la sua capacità di destrutturare le istituzioni collegate alla ricerca e alla conoscenza. Egli non aveva collocazione in alcuno dei grandi apparati collettivi di sviluppo della conoscenza e il suo pensiero era contrapposto, in numerosi punti fondamentali, a ciascuna delle fazioni in campo: la sua esistenza come studioso e intellettuale costituiva di per sé una minaccia, non perché venisse considerato un baciapile, ma al contrario perché veniva considerato un innovatore del mestiere di intellettuale. Il suo esempio era promozione alla ricerca libera e scevra dai pregiudizi legati ai meccanismi di potere interni alla società e rivendicava un anarchismo tale da suscitare il timore di un conflitto sociale e di classe: il metodo del libero pensatore dà accesso alla conoscenza anche a chi non si ispira ai parametri istituzionalizzati, e questo rompe il legame di subalternità culturale che le classi dominate hanno con la classe dominante.
Che le idee siano concetti è una tesi tipica dell'idealismo tedesco, estranea a Platone e Aristotele come a Giordano Bruno. Nemmeno Kant e Heidegger sostengono questa tesi. La posizione di Heidegger, in particolare, che eredita l'insostanzialità del soggetto da Kant, è, dal punto di vista gnoseologico, decisamente oggettivistica. La coscienza soggettiva è al più accettabile in chiave insostanziale, kantiana, trascendentale, ma non ha un essere suo proprio perché l'esserci è un essere-nel-mondo che trascende il sostrato ontico-trascendentale del soggetto nel proprio essere esistenzialmente coessenziale al mondo. Il fondo delle possibilità non acquisisce realtà entro una coscienza soggettiva, ma nell'apertura di un esser-ci che mondeggia progettando il mondo nel proprio Ci: - nota a margine: con Heidegger siamo anni luce avanti rispetto al livello delle scuole psicanalitiche e psicologiche in termini di delucidazione dei problemi esistenziali dell'uomo, perché qui la radice dell'essere, il fondo spontaneo dello sviluppo dell'esserci umano, non è ciò che è racchiuso nell'interiorità soggettiva, ma l'estatica apertura del mondo in termini temporali, che spinge affinché l'uomo sia artefice del proprio destino e progettista del mondo. Questo sostrato, che per Kant è soggettivo-trascendentale, per Heidegger è progettuale, per Bruno è materiale, è in tutti e tre i casi la stessa cosa, ossia il piano della ragione umana: ma questo piano non è altro che il grado più astratto della realtà, ossia la materia pura e semplice. La "cosa materiale non sensibile" (così si chiamava nella filosofia tardo-scolastica), cioè il regno dei numeri, è la realtà che la scienza moderna considera essere il codice genetico del mondo fisico, ma il mondo dei numeri è un contenuto della ragione umana. Per inciso: le idee platoniche e bruniane non sono idee della ragione, ma sono realtà corporee, accessibili solo attraverso l'intelletto e non attraverso la ragione, che è l'imitazione del mondo sensibile, che è l'imitazione del mondo mentale delle immagini, che è l'imitazione di infiniti mondi fra quello delle immagini e quello delle idee. Anche in Kant e Heidegger la ragione non è altro che un agglomerato espressivo che rappresenta ciò che sfugge alla conoscibilità razionale. Per questa ragione la tecnica, in quanto mezzo che la ragione impiega per dominare la natura (e se stessa, come nel caso delle guerre psicologiche), viene messa in luce come forza liberatrice: perché la realtà corporea (la realtà platonico-bruniana delle idee) resiste a ogni mutamento della realtà materiale, cioè astratta, e in quanto quest'ultima non ne è che un'espressione, così come la capacità di costruire artefatti - che come dici tu sono linguaggio - è la radice caratteriale della specie umana da un punto di vista biologico, espandere il flusso incorporeo della astrazione tecno-scientifica significa potenziare l'espressività del corpo.
La cosa interessante qui è che anche Vico era della stessa idea. A Vico, di cui tu citi passi decisivi, si deve lo sviluppo di quell'intuizione che origina da Gioacchino da Fiore e che culmina in Goethe e Nietzsche, ossia lo studio della storia come realtà organica, come un regno dello spirito organizzato secondo cicli temporali. Questo progetto culturale non è affatto alieno ai pensieri che tessono la tradizione proveniente da Bruno, al di là di opposizioni in superficie. Esso culminerà prima o poi (secondo alcuni è già culminato) in una critica della ragion storica, e risolverà il problema della realtà storico-sociale in termini di razionalità e ragione storiche.