Autore Topic: L'altra faccia dello sport femminile: l'aborto sistematico  (Letto 946 volte)

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Offline Vicus

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L'altra faccia dello sport femminile: l'aborto sistematico
« il: Agosto 27, 2021, 10:18:03 am »
Ecco il vero volto delle onnivincenti e rappresentative atlete. Considerate che per ogni atleta olimpionica ce ne sono molte altre che praticano sport a livello professionale, e moltiplicate:

OLIMPIADI E ABORTO: L'ALTRO VOLTO DELLO SPORT FEMMINILE

I sorrisi delle atlete vincitrici in alcuni casi nascondono una triste realtà: l'aborto è il prezzo da pagare per la vittoria

Nel bel mezzo delle Olimpiadi di Tokyo, guadagnare un posto sul podio rappresenta la ricompensa per gli atleti dopo anni di sacrifici e allenamenti [le atlete si "allenano" fino a 30 anni e oltre, con buona pace del periodo fertile]. Tuttavia, la soddisfazione e il trionfo mostrati dai sorrisi degli atleti vincitori nascondono in alcuni altri casi una triste realtà: l'aborto è, in molte occasioni, il prezzo definitivo da pagare per la vittoria. Una realtà che, come ha raccontato Margaret Brady su Verily Magazine, è più che radicata nella categoria femminile dello sport d'élite.
Quando ha raccontato per la prima volta la sua testimonianza, l'olimpionica Sanya Richards-Ross (nella foto) ha detto che nel 2008, «ero letteralmente in cima al mondo. Ero la promessa d'America. Avevo più di otto sponsor tra i principali marchi nazionali, l'amore della mia vita al mio fianco e nei 400 metri ero imbattuta. Ero la grande favorita per vincere l'oro alle Olimpiadi». Tuttavia, il giorno prima della marcia per i Giochi di Pechino, l'atleta sapeva che tutto stava andando a rotoli mentre si dirigeva ad una clinica per aborti, l'ultimo posto in cui avrebbe voluto essere in un momento del genere. «Sapevo di essere a un bivio. Tutto quello che ho sempre voluto sembrava essere alla mia portata. Il culmine di una vita di lavoro era davanti a me. All'epoca, sembrava che non ci fosse alcuna scelta... Tutta la sofferenza che ha accompagnato quel momento mi aveva lasciato così insensibile che ricordo a malapena gli strumenti freddi che mi hanno sfiorato la pelle», racconta nel suo libro, Chasing Grace. Durante i Giochi, nei secondi prima di raggiungere il traguardo, l'atleta si sentiva vuota e disperata, e i suoi sentimenti di vergogna e di colpa le hanno impedito di raggiungere l'oro olimpico per un più che amaro terzo posto. «Ho preso una decisione che mi ha distrutto», ha confessato.

Verily include anche il caso di Brianna McNeal, vincitrice dell'oro olimpico ai Giochi di Rio 2016, accusata di aver falsificato una nota medica dopo aver saltato un test antidoping nel gennaio 2020. L'atleta, incinta. si è trovata tra l'incudine e il martello sotto la pressione delle imminenti Olimpiadi e ha deciso di abortire prima di uno dei test antidoping. Quando il rappresentante anti-doping si è presentato a casa sua, McNeal era traumatizzata, nel suo letto, con una sindrome acuta post-aborto e non ha sentito la chiamata. Volendo dimostrare di aver saltato il controllo per giusti motivi, McNeal ha presentato come prova la nota medica ricevuta dopo il suo aborto, ma vedendo che la clinica aveva sbagliato a inserire la data, l'ha corretta da sola. Questo è stato sufficiente per l'Unità di integrità atletica per sanzionarla e proibirle per 5 anni le competizioni.
La Richards-Ross afferma che non conosce «un altro atleta [donna] che non abbia abortito, e questo è triste». Per lei la pratica diffusa dell'aborto nel mondo sportivo femminile è dovuta alla disinformazione che circola già dalle università sull'impossibilità di gravidanza per le atlete che hanno perso il ciclo mestruale a causa dell'esercizio estremo. Ma anche, a una cultura dello sport che incoraggia a «fare tutto il necessario per esibirsi ai massimi livelli».

UN PROBLEMA CHE INIZIA NELLE UNIVERSITÀ
Tuttavia, gli ostacoli allo sviluppo della cultura della vita nello sport iniziano nelle università stesse. Il sistema di borse di studio per i giovani atleti è fondamentale per poter far decollare la propria carriera. Come ammettono centinaia di atlete e dirigenti universitari, gli accordi di borsa di studio non lasciano spazio a dubbi sulla maternità. Quello della Clemson University avverte le atlete che «la gravidanza che si traduce nell'incapacità di competere e di contribuire positivamente al successo comporterà la modifica della borsa di studio», ed è accertato, dal canale televisivo americano ESPN, che almeno sette atlete d'élite sono state costrette ad abortire per mantenere la borsa di studio. Un caso simile è quello di Cassandra Harding. All'Università di Memphis, la gravidanza delle atlete che accedono alla borsa di studio implica «l'immediato licenziamento e il mancato rinnovo della borsa di studio». Cassandra, che non ha potuto abortire per aver scoperto troppo tardi la sua gravidanza è stata immediatamente espulsa.
Per alcune olimpioniche l'industria sportiva offre solo una via d'uscita: l'aborto

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Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.