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di Roberta Aledda. Ricevo da un lettore sulla mail territoriomaschile@gmail.com uno spunto interessante: uno studio pilota anglosassone sulle conseguenze che la “mascolinità tossica” ha sugli uomini e sulla società in generale. Attribuire caratteristiche negative al genere maschile che esiti ha sullo sviluppo dei maschi? Influisce sul modo con il quale la società entra in relazione con loro? Ha delle conseguenze sulla vita professionale e relazionale degli uomini? Influenza il modo in cui pensano a se stessi? A queste domande prova a dare una prima risposta una ricerca pubblicata nel mese di giugno 2020 su Psychreg Journal of Psychology a cura di John Barry, Rob Walker, Louise Liddon, & Martin Seager. Prima di vederne le conclusioni, facciamo un passo indietro. Il termine e il concetto di mascolinità tossica implicano che essere maschi possa portare con sé un’accezione così negativa, talmente invisa da essere tossica. Si badi bene, qui non si tratta di una semplice critica a un modo di essere, si attribuisce a un intero genere la caratteristica del dannoso, del velenoso, del mortale, del contagioso. Qualcosa di tossico è qualcosa di pericoloso, da cui stare lontani per evitare una potenziale contaminazione. Di tossicità infatti si può morire.Non esiste una vera e propria definizione di mascolinità tossica quanto piuttosto una lista di stereotipi che definirebbero l’uomo “affetto” da questo male incurabile come dannoso per se stesso e per la società. Il maschio, vittima anch’esso dell’oppressione patriarcale, è rimasto intrappolato in convinzioni e comportamenti sessisti, misogini e omofobi. Per spiegarcelo meglio (posto che quando manca una definizione chiara ed univoca di un concetto, solitamente “gatta ci cova”), dappertutto ci vengono forniti degli esempi: il maschio tossico non mostra le sue emozioni, non ha bisogno dell’aiuto di nessuno perché perfettamente in grado di cavarsela da solo, è rabbioso e aggressivo, ritiene che i rapporti di coppia siano competitivi e non cooperativi, che non sia possibile capire una donna, e via così con un elenco di banalità da sbadiglio immediato. Ci si sveglia però di soprassalto quando si sente che la mascolinità tossica porta con sé anche la convinzione che l’uomo non sia interessato alla genitorialità, sia perfettamente in grado di abbandonare una compagna incinta perché incapace di assumersi responsabilità, non sia propenso ad essere parte attiva della vita dei figli. Ma non è colpa sua: queste idee malsane derivano da secoli di patriarcato, di violenza dell’uomo sull’uomo perché si mostri sempre forte, virile, risolutivo e determinato. Anche a voi sta andando la saliva di traverso?mascolinità tossicaIl collegamento con il tasso di suicidi.Faccio mia, allora, la definizione utilizzata nella ricerca citata: la mascolinità tossica è la costellazione di tratti maschili socialmente regressivi atti a sostenere il dominio, la svalutazione delle donne, l'omofobia e la violenza sfrenata. La Toxic Masculinity è diventata nel linguaggio quotidiano la causa di violenza e aggressione sessuale degli uomini verso le donne. Nel 2018 la Oxford University Press elegge “tossico” come parola dell’anno e il termine Toxic Masculinity è secondo solo a “sostanze chimiche tossiche”. La parola dell’anno viene scelta per identificare e fotografare le preoccupazioni, gli humors della società, sono quei termini e quei modi di dire che hanno maggior probabilità di avere un significato culturale duraturo. Questo significa che “mascolinità tossica” è quel modo di dipingere, identificare, immaginare gli uomini da parte della comunità più ampia mettendo in evidenza le caratteristiche negative di una minima percentuale per descrivere il tutto. Quella che dovrebbe essere un’eccezione e come tale, se non ignorata quanto meno trascurabile, diventa l’unico tratto distintivo di un’intera categoria. Ma come può mai sentirsi una parte della società quando la sua appartenenza ad un genere preciso influenza negativamente ogni ambito della sua vita?Sembrerebbe una domanda retorica con una risposta scontata, se non fosse che a nessuno importa delle conseguenze che questa convinzione ha sulle nuove generazioni. Stiamo crescendo dei giovani convinti di avere un marchio infame per il solo fatto di essere uomini, colpevoli di appartenere alla parte marcia della società e senza poter fare alcunché per potersi affrancare da quest’onta. Tutte quelle caratteristiche positive di protezione, equilibrio, forza, determinazione, galanteria, proattività, resistenza, tipiche dell’uomo sembrano essere scomparse, relegate su uno sfondo nero o peggio ancora, considerate strumenti utili solo al facile rimorchio e alla conquista di una donna dopo l’altra. Non sembra esserci via di scampo: si nasce maschi tossici e se si prova a dimostrare di avere in realtà delle qualità, si viene tacciati per bugiardi, poco autentici, costruiti. Lo studio britannico trova delle correlazioni inverse tra la positività mentale e rischio suicidario: più gli uomini considerano se stessi in termini di mascolinità positiva meno corrono il rischio di avere idee legate al suicidio e pensieri depressivi. Quando l’uomo pensa a se stesso come persona buona, felice, ricca di qualità, apprezzata dal prossimo maggiore è la sua autostima, migliori sono la sua salute psicofisica e il suo agire nel mondo. Pensare bene di se stessi comporta un maggiore impegno nella vita di relazione e di società: l’opinione altrui conta nella costruzione di un’identità sana ed equilibrata. Allora se partiamo da questi presupposti, diventa più semplice “leggere” alcuni fenomeni sociali anche di cronaca recente.maschilità tossicaIl termine "mascolinità tossica" è un insulto.Quando i media, la scienza, la psicologia, la politica divulgano la convinzione che la parte maschile dell’umanità è tossica, violenta, bruta sta contribuendo alla costruzione di un’identità malata, problematica, disagiata di intere generazioni di ragazzi. Chi si sente ripetere continuamente di “essere sbagliato” crescerà con la convinzione di esserlo davvero e tenderà a mettere in atto tutti quei comportamenti in linea con tale credenza per non deludere ulteriormente le altrui aspettative. Una narrazione corrotta darà vita a storie nere. Spesso sottovalutiamo quanto è potente l’influenza che l’opinione pubblica esercita con le sue pressioni: il 92% dei partecipanti alla ricerca pilota di sesso maschile (e l'87% delle partecipanti di sesso femminile) ha concordato sul fatto che l'idea di "mascolinità tossica" cambia il modo in cui si considerano tutti gli uomini. Siamo madri e padri di ragazzi arrabbiati perché non hanno più modelli maschili positivi con i quali confrontarsi, non sanno più come comportarsi con il prossimo, si sentono sempre e comunque giudicati in quanto maschi e non per le loro reali azioni. Siamo mogli, sorelle e zie di giovani che sempre più rifuggono da una società che non li apprezza, che li condanna, che ha paura di loro. Il progressivo ritiro in se stessi degli uomini sta impoverendo le nostre comunità, privandole di energie positive, di sicurezza, di idee nuove, di protezione, di bellezza.Il termine mascolinità tossica è un insulto non solo per gli uomini ma anche per le donne: sottolinea la nostra incapacità di confrontarci senza pregiudizio col sesso maschile, di essere obiettive nel riconoscere qualità e pregi altrui, di assumerci una parte di responsabilità nel fallimento educativo e formativo delle nuove generazioni. Allora forse è il caso di ripensarla questa narrazione, di raccontare ai nostri amici, allievi, padri che essere maschi non è un marchio d’infamia, non è una vergogna, non è tossico. Essere maschi ed essere femmine deve identificare una appartenenza biologica priva di connotazioni aprioristiche negative per gli uni e positive per le altre. È questa la vera sfida che ci aspetta: creare una nuova narrazione in cui uomini e donne sono necessari gli uni alle altre e complementari nella loro unicità.