- Bibliografia? tutte affermazioni interessanti ma un po' apodittiche e difficili da discutere se decontestualizzate
Se la storia occidentale percorre un cammino suo proprio, essa si radica in un sostrato antropologico universale archetipico che ha subito, nella storia e preistoria europea, una particolarizzazione. Tutta l'umanità deve rapportare gli archetipi del maschile e del femminile al numinoso. La scena del sacro è sempre occupata da figure maschili e figure femminili, siano esse divinità o loro simboli, allegorie, figure, funzionari.
Le forme della tradizione e del sacro, Mircea Eliade -
Trattato di storia delle religioni, Mircea Eliade -
Dizionario delle religioni, Mircea Eliade
Il sacro dà la dimensione del tabù: il sacro è l'inviolabile, ciò che è precluso a pubblico e privati. Al sacro si associano di conseguenza i divieti, scritti e non scritti, consci e non consci, espliciti e non espliciti, dati dalle leggi, dai costumi, dalle consuetudini, dal modo in cui pensiamo e selezioniamo cosa è giusto pensare e cosa no: violare queste disposizioni morali significa violare lo spazio sacro, sconfinare nel territorio della divinità. Si diventa homo sacer e si espone la comunità al pericolo della vendetta divina. L'homo sacer è abbandonato a se stesso, dagli Dei e dai mortali, e incarna una figura confusa fra l'eroe e il plebeo: il suo è un atto di guerra alla divinità, una invasione del sacro, e il suo valore dipende solo dal suo successo o dal suo fallimento nell'opera di conquista, che dovrà portare a compimento da solo, senza la protezione del popolo dalla divinità.
Homo Sacer, Giorgio Agamben -
La religione a Roma, John Scheid -
Totem e Tabù, Sigmund Freud -
Il tramonto dell'Occidente, Oswald Spengler -
La Libido, Simboli e Trasformazioni, Carl Gustav Jung
Se oggi non si mette in discussione il femminile è perché fare questo significa infrangere i confini del sacro. Per alcuni è semplicemente impossibile pensare un femminile diverso, perché farlo significa scavare a fondo nella propria anima e rompere legami simbolici radicati in estrema profondità. Forse potrebbe essere persino pericoloso farlo, ma bisogna perlomeno esaminare la possibilità. Nel mondo greco-romano la divinità femminile e quella maschile si distinguono sensibilmente: gli Dei maschili sono uomini d'eccellenza. Le loro qualità sono date dal potere che esercitano: si identificano in base ai loro attributi. Così per esempio la folgore di Zeus determina il suo comando e la trottola di Dioniso coincide con il suo moto ipostatico-estatico (Dioniso non è che l'Uno di Plotino, figura presa dai Misteri). Le divinità femminili sono invece caratterizzate dal loro essere donne. Non è la bellezza a fare di Afrodite la Dea della bellezza, ma il suo essere donna, così come non sono i comportamenti mascolini a fare di Atena la Dea della sapienza, ma il suo essere donna.
La tesi secondo la quale le divinità femminili sono caratterizzate dal possesso di attributi, mentre le divinità maschili sono caratterizzate dall'identità con i loro attributi è mia originale o di chiunque l'abbia scoperto prima di me senza che io ne fossi a conoscenza. Nel post cerco di argomentare questa tesi attraverso un tentato rigore logico e infatti le tue repliche vertono proprio su questo punto.
Qui comunque gli spunti sono presi da:
La nascita della filosofia, Giorgio Colli -
Eraclito, Giorgio Colli -
Filosofia dell'espressione, Giorgio Colli, opere che stanno alla base della mia interpretazione degli attributi divini maschili e femminili. Dopodiché:
Totemismo ed esogamia, Frazer, che secondo me come testo mira alla radice di questa differenza fra il maschile e il femminile, Differenza (à la Luce Irigray) che alberga in un totemismo matrilineare ancestrale. Volendo riprendere il binomio freudiano, al maschile in un tale contesto sarebbe dovuta spettare la funzione sacer-dotale del tabù, mentre sappiamo che storicamente avvenne il contrario: il primo ruolo sacerdotale a Roma fu affidato alle Vestali. Come sviluppato ne
Il ramo d'oro di Frazer, sulla base della cui descrizione iniziatica si basa la svolta mistico-filosofica de
La nascita della tragedia di Nietzsche e il coronamento del suo periodo filologico, la figura maschile è implicata in una sacralità differente, analoga a quella dell'homo sacer. Il maschile accede al sacro attraverso il sacrificio, che è un far-sacri-se-stessi attraverso l'azione eroica, che spesso è tragica in quanto coincide con la violazione del sacro, con la profanazione della pax deorum - si veda ad esempio l'
Edipo Re di Sofocle in cui il motore della vicenda è il parricidio, atto sanzionato con la maledizione, l'abbondono al divino. L'attributo divino maschile è una trasfigurazione (qui vedere i primi scritti filosofico-filologici del giovanissimo Colli) dell'eroismo sacrificale in divinità (Dioniso sbranato e squarciato). Il secretum custodito dal sacrario violato è proprio la verità sulla struttura totemica dell'universo: vedere il
Perì physeos di Parmenide, specialmente la seconda parte, che anticipa di duemila anni e mezzo la dottrina dell'eterno ritorno di Nietzsche e la sua interpretazione dinamica (la volontà di potenza) dell'Universo. Questa Verità, che illumina l'essenza dell'essere (cfr. Heidegger,
Eraclito e
Sull'essenza della verità), illumina la visione dell'intreccio del maschile e del femminile nella trama che compone il Totem dell'umanità e di tutta l'esistenza universale, che si dirama come Yggdrasill, la vita ascendente. Parmenide è il primo (e uno degli ultimi) a muovere un passo critico contro l'interpretazione matrilineare della vita universale, opponendovi una neutralità dell'essere. Sarebbe interessante vedere come questa sorta di "inferiorità" del maschile, contro cui Parmenide mosse la sua critica (in un certo senso fu un sostenitore della parità dei sessi), sia ripresa sotto mentite spoglie nella teoria "queer" dalla Butler in poi. Parmenide opponeva un essere neutro ai generi maschile e femminile, mentre Butler oppone un genere neutro ai sessi, probabilmente alludendo di rimando a un essere sessuato femminile. In fondo la questione è la scoperta del ruolo della paternità nella riproduzione, il gesto di tracotanza filosofica che viola la sfera del sacro: di lì proviene il celebre agonismo greco, di lì proviene il peculiare rapporto di parità fra i sessi presso i greci e di lì provengono la loro vocazione filosofica e la vocazione imperialistico-religiosa dei romani. Non si tratta di ricondurre il mondo classico a complessi edipici, ma di riconoscere che in quei canoni culturali, anzi
nel canone classico, si esprimono caratteri tipicamente maschili, perché maschile è la visione del mondo e della società organizzata che portano in sé. Curioso è il fatto che Platone, il quale non era certo femminista, fu promotore letterario della parità dei sessi ne
La Repubblica.
In che senso le divinità femminili sono tali in base al loro essere donne? Le loro virtù non sono divinizzate in quanto tali, ma in quanto antropomorfizzantesi in una donna. La donna, che è simbolo della materia, è archetipicamente posta come personalità accogliente, come anima disposta ad essere plasmata secondo caratteri stabili e fissi, necessari. L'uomo moderno non a caso vede nella materia la disposizione originaria delle leggi della natura. Non a caso nella mitologia greca al di sopra delle divinità troneggiano le moire, divinità femminili che sono le stringenti leggi del destino e della necessità e del caso: sono le figlie di Zeus che legano il suo governo alla necessità, Ananke. Sicché le virtù di Era, di Afrodite, di Diana o di Atena sono collegate al fatto che esse rappresentano tutte il continuum del femminile-materia nei suoi differenti momenti: non sono le loro virtù, ma hanno le loro virtù. Il divino non consiste nel femminile d'eccellenza, come invece è nel divino maschile, ma con il femminile in quanto tale. Nel divino si manifestano solo i momenti cosmici di un femminile che è divino alla radice. I primi pensatori greci intitolavano le loro opere "perì physeos", circa la nascenza, ossia l'essere in quanto tale secondo la sua interpretazione fisiologica e fisica: ma il termine physis, nascenza, ha una radice indoeuropea che è comune al latino foemina e indica la nutrice, la natura (o natura naturans), cioè il femminile divino, corrispondente all'archetipo della Grande Madre.
Su questo punto oltre a diversi testi citati sopra, rimando a:
L'anima appassionata, Francesco Donfrancesco per la comprensione del nesso materia-necessità-divinità femminile e, di quelli sopra, un particolare riferimento ai temi di
Filosofia dell'espressione di Colli, in accordo alle pagine di Cuniberto.
La parte finale è il resto del mio ragionamento, i cui presupposti sono la storicità e l'evolvibilità dei rapporti simbolici "sacri". A supporto di tutta la mia tesi e della validità dei suoi presupposti voglio mettere
Homo ludens di Huizinga perché egli considera il gioco come primo autentico fenomeno antropologico pre-culturale e come elemento di contatto fra uomo e altri animali (potrebbe forse essere la cifra essenziale dell'animalità nell'uomo e nelle altre specie animali). Ebbene, come visto sopra la sfera del gioco appartiene a Dioniso: Dioniso che gioca a dadi è - mi si permetta questa comparazione analogica in stile metodologico tradizionale - l'evoluzione storica maschile del mito indoeuropeo di Lalita, la Dea-Cosmo che gioca la partita della manifestazione; in proposito consiglio di leggere
Il vortice estetico di Flavio Piero Cuniberto, ma anche
La foresta incantata dello stesso autore (ma vanno messi a confronto con metodo comparativo con i libri di Colli, di Heidegger e di Nietzsche suddetti), per spunti sulla comprensione del rapporto fra
mimesis platonica e lila indù. Ma se il divino e il gioco sono ambiti coappartenentesi, allora anche il rapporto col numinoso fa parte delle esperienze preculturali, proprio perché si tratta dello stesso e medesimo "gioco cosmico". Così come, però, il gioco si evolve storicamente (in fondo la
tecnica non è altro che l'evoluzione storica più imponente del gioco numinoso preculturale, dato che la tecnica non è frutto della cultura, ma domina gli stessi apparati di produzione culturale), allora anche il divino si evolve storicamente: e così arriviamo, dopo che Dio è morto, a
Un divino senza Dio di Enrico Andreoli. La caratterizzazione del numinoso come gioco preculturale spiega perché assegniamo al rapporto col divino un rango più alto di quello che assegniamo alla cultura, tendenzialmente.
Dunque in risposta alle tue domande:
- maschile e femminile sono esperienze primarie. La nostra psiche ragiona in base a questo dualismo che ha basi genetiche, biologiche, fisiologiche, etc. Ogni uomo è unico. OK, ma è una scemenza. Perchè se io partissi dal fatto che non ci sono due uomini uguali, non potrei neppure dire uomo, perchè "uomo" è il nome di un insieme che contiene elementi che devono avere qualcosa di uguale
- anche l'esperienza del sacro è una esperienza elementare. Chiaro che nel descrivere questa esperienza gli esseri umani usano aspetti della realtà riferiti per analogia al sacro. Ma noi dobbiamo essere capaci di risalire dalla modalità espressiva all'esperienza elementare
Il punto è che sia il maschile, sia il femminile, sia il sacro sono ambiti archetipici
risultati da un processo evolutivo e ulteriormente evolvibili, ma questo riguarda anche la stessa logica, lo stesso pensiero, etc. (
Umano, troppo umano, Nietzsche). Dunque per come la vedo il punto è comprendere in che modo questi ambiti si evolvono e come si può intervenire nel processo di selezione naturale che conduce all'evoluzione di questi archetipi in una direzione o in un'altra.