Autore Topic: Gli impresentabili: bugie interessate sul trattamento degli indios nel '500  (Letto 570 volte)

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Offline Vicus

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Prosegue la nostra esposizione di opinioni impresentabili con le

Bugie interessate sulla conquista spagnola

Intervista a Franco Cardini
L'ANNO DI CELEBRAZIONI del 5° centenario della scoperta dell'America è stato caratterizzato da una ridda di voci, polemiche e rivelazioni sensazionalistiche più o meno infondate e tra loro contraddittorie.
Abbiamo chiesto ad uno studioso serio come Franco Cardini, un aiuto per orientarci in quella selva intricatissima e piena di trappole che la storia della scoperta dell'America è stata fatta diventare.

Cosa pensa uno storico di tutte le polemiche, spesso pretestuose, e dei luoghi comuni pseudo-storiografici sulla scoperta dell'America, messi in giro in quest'anno di celebrazioni?

lo credo che lo sforzo lodevole, che oggi va tanto di moda, di cercare di capire le culture altre da noi e che ha portato agli sviluppi del cosiddetto indigenismo e quindi al piangersi addosso su quel che è successo nel Cinquecento in America, si debba fare anche sulle culture che siamo abituati a considerare nostre. Noi pensiamo che i nostri padri del Quattrocento-Cinquecento fossero gente che pensava più o meno come noi, e quindi quando pensavano cose che a noi sembrano aberranti, allora concludiamo che si trattava di fanatici. Ma la realtà è un'altra. La realtà è che quella non era gente che pensava come noi. Il loro stesso esser cristiani era diverso dal nostro. è quindi inutile e pretestuoso chiedersi come potevano i cristiani del Cinquecento attuare degli stermini. Il genocidio no, perché quello non c'è mai stato, e chiamarlo per lo più olocausto è solo una buffonata giornalistica.

Lei sfata il primo dogma della pseudostoriografia imperante: dappertutto si strologa e si scrive con sicurezza apodittica di questo genocidio...

C'è stato un crollo demografico; ma si sa bene che è stato determinato fondamentalmente da alcune malattie infettive. Per fare un genocidio ci vuole una volontà sistematica di distruzione, cosa che non c'entra assolutamente nella conquista spagnola del Nuovo mondo. Né avrebbe potuto esserci dal momento che non c'era nessuna ragione per sterminare gli indios. Ci possono essere stati anche degli eccidi per motivi di tipo religioso, ma sono episodi che conosciamo e se si mettono insieme tutti gli episodi più cruenti narrati da Las Casas, si arriva a qualche centinaia di morti. Cose ampiamente studiate e documentate. Il bello è che attualmente si sta verificando una buffissima cosa, e cioè che gli studiosi seri dell'argomento, da Pierre Chaunu a Marcello Carmagnani, che non è certo sospetto di simpatie filocattoliche o filoispaniche, ammettono che il genocidio non c'è stato, che anzi la corona spagnola è sempre stata profondamente garantista nei confronti degli indios, e che semmai quello che succedeva è che la corona spagnola non sempre riusciva a farsi ubbidire.

Ma allora sulla conquista ci sono state raccontate montagne di bugie?

Mentre gli studiosi sono talmente d'accordo su questi fatti che non se ne parla nemmeno più, esiste però un sottobosco semiculturale attivissimo, assolutamente propagandistico che rinfocola artatamente i vecchi luoghi comuni della propaganda inglese e americana fra Settecento e Ottocento. E in prima linea c'è paradossalmente il coccodrillismo cattolico. Purtroppo, infatti, gli ambienti cattolici di media cultura sono preda di una sorta di disinformazione sulla storia autentica del cattolicesimo e perciò permeabili a tutte le parole d'ordine propagandistiche che vengono dal mondo laico. Sono assolutamente incapaci di reagire e di verificare. Di verificare perché sono ignoranti, di reagire perché hanno paura di passare per fanatici e reazionari. lo non ho mai sentito come da certi cattolici ripetere pedissequamente tutti i luoghi comuni che i manuali di storia di infima qualità raccontano loro sulle crociate e l'Inquisizione.

Ma, allora, come inquadrare, al di là del propagandismo e della diceria, il problema della conquista?

E' successa una cosa molto semplice: la corona di Spagna espandendosi sull'America ha preteso di espandersi con quei caratteri di controllo e di dirigismo tipici della monarchia spagnola. Solo che questo si è urtato fin dall'inizio con la volontà dei coloni, cioè di quegli spagnoli che avevano deciso di trasferirsi in America e di fare una vita agiata sfruttando le conquiste coloniali. In questo, in fondo, il mondo spagnolo del Cinquecento non ha inventato tipologicamente nulla. Infatti, per esempio, le repubbliche marinare che avevano le colonie oltremare facevano la stessa cosa, solo che lo facevano in piccolo.

Applicando delle categorie ermeneutiche ed antropologiche, la cortina di fumo ideologico alzata sulla scoperta dell'America può quindi diradarsi...

Certamente, solo così riusciamo a capire che il regno Spagna, ed in parte quello del Portogallo, hanno cercato di gestire una realtà nuova, la realtà di grandi civiltà che non avevano quello che in tutto il Medioevo si credeva fosse indice di civiltà: il contatto con Dio e la Rivelazione. Gli spagnoli uscivano da un mondo in cui il fulcro di tutto era il Dio di Abramo perché anche gli ebrei, anche i musulmani erano compartecipi di questa realtà. Cosa c'era fuori? è dall'antichità che si sa dell'India, dal tempo di Marco Polo si sa della cultura cinese ma in fondo queste culture sono paganesimi poco chiari agli occhi dell'Europa occidentale. Sono realtà lontane, quasi mostruose. Con la scoperta dell'America ci si trova di fronte ad una dimensione totalmente altra, ad uomini che naturalmente sembrano buoni, ma non hanno nessun rapporto con una realtà rivelata. Vedono la vita, la morte, la natura, la famiglia, la sessualità in un modo completamente diverso. Tutto questo porta a reagire in modo tradizionale: si mandano dei soldati, dei missionari, dei coloni e si cerca di tenere il più possibile stretti contatti di questi con la madre patria, che non è soltanto, si badi bene, uno stato, ma anche una religione.

Ci sono delle differenze tra il colonialismo spagnolo e quello inglese ed olandese sul Nuovo mondo?

La differenza fondamentale tra la Spagna e il resto del mondo che ha fatto la realtà coloniale sta nel fatto che il regno spagnolo resta un regno cattolico, in cui conta il rapporto filiale tra il re e i sudditi. Nel resto dell'Europa è successa invece un'altra cosa: la Riforma. Così il mondo iberico, restando cattolico, rimane integrazionista verso gli uomini del Nuovo mondo, mentre le potenze riformate, abbandonando il principio della responsabilità verso i sudditi vecchi e nuovi, permettevano ai loro coloni di fare quello che volevano degli indios, imponendo solo delle rendite di tipo economico: l'appalto totale!

Quindi, come ha osservato Max Weber, l'etica protestante realizza lo spirito del capitalismo?

Sì, certo. Basta esaminare il conflitto tra due modelli differenti: quello spagnolo e cattolico che non riconosce un primato all'economia ed il modello inglese-olandese riformato che invece lo riconosce. Per esso, infatti, l'economia è la cartina di tornasole per stabilire se, fino a che punto e in che misura si ha successo. E se si ha successo, questo vuol dire che si è in grazia di Dio. Quindi che si è degli eletti. Ed allora chi rifiuta il Vangelo, chi resta attaccato alle sue tradizioni, e le sue tradizioni gli impediscono di crescere, di vivere materialmente meglio, è un nemico di Dio. è un non toccato dalla grazia. E questo è il meccanismo con il quale, per esempio, i quaccheri hanno distrutto le tribù indiane nel nord America. La differenza tra i due modi di colonizzazione si desume anche dagli esiti. Esiste oggi un mondo in America latina che è profondamente meticciato. Questa civiltà meticcia è il risultato di una fusione fisiologica ma anche culturale. Invece i coloni del nord non si sono mai fusi con gli indiani. Hanno respinto questi ultimi verso ovest, poi li hanno massacrati. Quello che resta è questa vergogna civica che sono le riserve. Mi chiedo, allora, come una cultura del genere possa poi scandalizzarsi tanto per il nazismo e il comunismo. Certo se l'unico principio è quello delle libertà individuali, allora non c'è da indignarsi. Però procedendo con una logica di molta minore libertà individuale ma di molta maggiore responsabilità comunitaria, la monarchia spagnola non avrebbe mai accettato di veder ridotti i propri sudditi a un livello di prostrazione come quello degli indiani e dei neri d'America, senza intervenire dirigisticamente dall'alto.

Come faceva la tanto bistrattata Isabella di Castiglia?

Infatti, Isabella non ha favorito la rovina e il massacro degli indios. Anzi, nel suo testamento afferma che anche gli indios, in quanto uomini, hanno diritto alla libertà e alla proprietà che sono diritti naturali che non si possono togliere a nessuno. Affermare che Isabella è responsabile dei massacri degli indios vuol dire inoltre ignorare grossolanamente i parametri cronologici, poiché Isabella è morta nel 1504 e i massacri non erano ancora iniziati...

Che ruolo ha avuto la famigerata leggenda nera nella demonizzazione della Spagna e dei cattolici?

La leggenda nera nasce dalla propaganda inglese ed olandese, che durante le guerre della seconda metà del Cinquecento si sforza di presentare la Spagna come luogo del liberticidio, dell'oppressione religiosa e della repressione sessuale, e la monarchia spagnola come basata sulla superstizione per eccellenza cioè quella papista. Questa leggenda è ripresa dal movimento illuminista francese che è debitore della rivoluzione cultural-scientifica inglese della metà del Seicento e anche della propaganda di Cromwell. Infatti l'illuminiamo ha ripreso per le sue polemiche contro il cattolicesimo una serie di luoghi comuni della propaganda cromwelliana, senza chiedersi da dove venissero. Il cristianesimo cromwelliano era di gran lunga più lugubre di quello cattolico. Cromwell è stato un grande massacratore di comunità cattoliche irlandesi e scozzesi, anche se ciò è ignorato dai cattolici. Le stesse rivolte creole contro gli spagnoli fra il Settecento e l'ottocento sono state appoggiate da francesi e inglesi, i quali però non hanno riferito che la ragione di tale rivolta era che la monarchia spagnola continuava una gestione di tipo dirigistico delle colonie, il che impediva lo sfruttamento schiavistico degli indigeni. E lo schiavismo, mantenendo bassi i prezzi di produzione, costituiva uno degli elementi portanti del liberalismo. Ecco perché lo schiavismo si deve considerare un portato del protestantesimo e del liberalismo e la guerra di liberazione dalla Spagna dell'America latina, appoggiata dall'Inghilterra e poi dagli Stati Uniti, era volta ad affidare l'America latina al libero gioco di domanda, offerta, produzione, consumo.

Ma la storia, si sa, la scrivono i vincitori…

Intervista tratta da Il Sabato, num. del Meeting 1992, pp. 5/12.
« Ultima modifica: Marzo 26, 2022, 21:07:25 pm da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Vicus

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Re:Gli impresentabili: bugie interessate sul trattamento degli indios nel '500
« Risposta #1 il: Marzo 24, 2022, 23:51:52 pm »
E in Nordamerica, dove i nativi furono quasi completamente sterminati?

Alce Nero, Buffalo Bill, Toro Seduto abbracciarono il cattolicesimo grazie alle missioni di gesuiti e francescani e... al miracolo di una suora che non uscì mai dal suo convento

di Marco Respinti
Chi di noi non ha mai giocato, da piccolo, a cow-boy e indiani? L’incontro-scontro fra i “visi pallidi” e i “pellirosse” fa parte delle "idee ricevute" di tutti noi, ma, come la maggior parte delle "idee ricevute" di cui abbonda la cultura dominante, anche questa si fonda su generalizzazioni e stereotipi, se non addirittura su pregiudizi ed errori. La complessa storia di quel rapporto non può infatti prescindere dall'epopea eroica che fu lo sforzo di evangelizzazione profuso dai missionari, specialmente gesuiti e francescani.

LA «SIGNORA VESTITA DI AZZURRO»
Straordinaria è per esempio la vicenda rievocata dallo scrittore Vittorio Messori sul Corriere  della Sera nell'aprile 2003.
Quando i missionari francescani spagnoli che risalivano la Costa Occidentale americana giunsero, ai primi del 1600, nei territori degli attuali Stati di Texas, Arizona, New Mexico e California s'imbatterono nei bellicosi Apache, Navajo e Comanche, che li decimarono. Nel 1622 partì allora una seconda spedizione, guidata dal francescano portoghese Alonso (o Afonso) de Benavides (1578?-1635). Identico cammino, identico incontro, ma esito stavolta prodigiosamente diverso. I frati, che avevano eretto una missione fortificata, furono subito visitati dagli indiani Xumana, anch'essi decisamente aggressivi, ma non vi fu scontro: piuttosto, i pellirosse chiesero d'inviare sacerdoti nei loro villaggi per amministrare i sacramenti. Inaudito. Che ne sapevano quei "selvaggi" di preti cattolici e acqua benedetta? Gli indiani risposero che li aveva inviati una «Signora vestita di azzurro», la «Dama Azùl» dei resoconti spagnoli. Mistero fitto. D'improvviso gl'indiani videro una stampa, colorata a mano, appesa a una parete della missione, e ripeterono: «Dama Azúl!». Era il ritratto di una suora concezionista francescana, vestita del saio blu del suo ordine. Ma il mistero non era affatto risolto. Quando i missionari giunsero ai villaggi indiani furono accolti da una processione gremitissima, con croci ornate di fiori; ma, per quanto sbigottiti, ciò che li sbalordì davvero fu scoprire che i nativi, mai incontrati prima da alcun europeo, erano già catechizzati. Mancavano loro solo i sacramenti. La «Dama Azúl»... a quel punto qualcuno pensò a Marìa de Jesús, suora appunto concezionista, che però stava lontanissima, nel convento spagnolo di Agreda, dov'era entrata a 12 anni e da cui non si era mai mossa. Al secolo Marìa Fernàndez Coronel y Arana (1602-1665), è oggi famosa per La mìstica ciudad de Diós, una sorta di biografia profetica della Madonna diffusa in milioni di copie in ogni lingua. I missionari pensarono a lei perché l'arcivescovo di Città del Messico, reduce dalla Spagna, diceva che certi scritti della suora descrivevano l'America Settentrionale come se ella l'avesse visitata. Quando padre de Benavides la incontrò ad Agreda, suor Marìa — oggi venerabile — gli disse che Dio aveva esaudito la sua richiesta: quella di essere missionaria. Gli Xumana furono solo una delle diverse tribù del Sudovest statunitense che i missionari incontrarono già perfettamente istruite nella fede.

ALCE NERO, LA CONVERSIONE CENSURATA
Un'altra storia, bella come una fiaba ma vera, è quella di Alce Nero (1866-1950). Siamo a tre secoli dalla «Dama Azùl», lo scenario è il Dakota, molto più a nord, e quel famoso Sioux è l'esempio più calzante delle bugie caricaturali diffuse per decenni sugli indiani.
Il suo primo "biografo", il poeta John G. Neihardt (1881-1973), pubblicò nel 1932 il famoso libro Alce Nero parla (tradotto in italiano da Adelphi), un "vangelo" per "indianisti", hippie e antioccidentalisti vari che raccoglie le "memorie" amare di un vecchio "stregone", il quale, sopravvissuto al massacro di Wounded Knee (quando, nel 1890, i cavalleggeri sterminarono i pellirosse), rimpiange i giorni dell'"antica religione". Ma è un falso, e tace l'essenziale della vita dell'indiano. Il fatto, cioè, che Alce Nero si fosse convertito al cattolicesimo, cambiando vita. La verità la racconta l'antropologo Michael F. Steltenkamp in un volume del 1993, portato in Italia dal sociologo delle religioni Massimo Introvigne e pubblicato da noi con il titolo Alce Nero, missionario dei lakota (a cura di PierLuigi Zoccatelli, Mondadori, 1996). Nel frattempo, Steltenkamp ha pubblicato un secondo libro, Nicholas Black Elk: Medicine Man, Missionary, Mystic (University of Oklahoma Press, 2009), ha riscoperto la fede, è stato ordinato diacono nel villaggio in cui visse Alce Nero, è diventato sacerdote e poi gesuita, oltre che antropologo di talento.
Alce Nero fu battezzato come Nicholas Black Elk (i soprannomi degli indiani vengono trasformati in cognomi) il 6 dicembre 1904, nella riserva di Pine Ridge, nel South Dakota. Questa era stata fondata nel 1888 da gesuiti tedeschi e svizzeri nientemeno che su richiesta di Red Cloud-Nuvola Rossa (1822-1909), il noto capo Sioux. Fervente catechista, legatissimo al Rosario e devotissimo al Sacro Cuore di Gesù, Alce Nero era un grande organizzatore d'incontri e ritiri spirituali, usava mettere a nanna i nipoti cantando Messe Solenni in latino e quando morì, come ha testimoniato un antropologo presente al fatto, si verificarono prodigi celesti. Insomma, da «buono di Wakan Tanka», come lo ha definito Steltenkamp, il famoso Sioux è diventato un «soldato di Cristo», come ha detto sua figlia, Lucy Looks Twice Black Elk, la principale fonte d'informazione sulla sua conversione. Nella riserva di Pine Ridge funziona ancora benone la scuola cattolica intitolata dai gesuiti a Nuvola Rossa e fondata come Missione dei santo Rosario nel 1888.

IL LEGGENDARIO COW-BOY
Nel vecchio West il cattolicesimo conquistò anche William Frederick Cody (1846-1917), notissimo come Buffalo Bill. Corriere, da giovane, per il "leggendario" servizio postale Pony Express, volontario nel "mitico" Settimo Cavalleggeri, soldato "nordista" nella Guerra Civile (1861-1865), decorato dal Congresso americano, nella maturità fece la guida per l'esercito nelle praterie dell'Ovest "infestate" dagli indiani. Quando vinse una gara di caccia al bisonte, si guadagnò il famoso soprannome, e tra il 1868 e il 1872 polverizzò ogni record abbattendo da solo più di 4mila bisonti, un po' per sfamare gli operai della Kansas Pacific Railroad che costruivano la ferrovia del West, un po' per sgomberare il campo ai lavori. Per più di un motivo acerrimo nemico degli indiani, nel 1876 si vantò di avere tolto Io scalpo a un Cheyenne per vendicare il generale George Armstrong Custer (1839-1876), caduto nel famoso scontro con i pellirosse a Little Bighorn.
Da ultimo, nel 1883, creò il "Buffalo Bill Wild West Show", un circo con cui girò il mondo recitando se stesso e scritturando le star del vecchio West: il capo Sioux Sitting Bull-Toro Seduto (1831-1890), la maliarda Calamity Jane (Martha Jane Canary-Burke, 1852-1903) e anche il nostro Alce Nero. In Italia, sfidò persino i butteri dell'Agro pontino.
Cody era massone, iniziato nella Platte Valley Lodge No. 32 di North Platte, in Nebraska, il 5 marzo 1870, e giunto fino al 32° grado del rito scozzese nel 1894. Questo spiega il suo funerale celebrato con rito massonico. Ma appena il giorno prima della sua morte, don Christopher Walsh, della cattedrale dell'Immacolata Concezione di Denver, in Colorado, lo aveva conquistato a Cristo, battezzandolo nella Chiesa Cattolica. E non fu affatto una conversione spuria e tardiva, dovuta magari alla terribile malattia ai reni che lo consumava. Nel 1890, in Italia con il suo circo, Cody aveva ricevuto una benedizione speciale da Papa Leone XIII (1810-1903), restandone affascinato, e al suo fianco era stata a lungo un fior di cattolica come la moglie Louisa Frederici (1843-1921) - ma il nome viene riportato con numerose varianti -, sposata dal cow-boy nel 1866 e madre dei suoi quattro figli. Louisa era nata in una fattoria del Midwest, ma era di origine italiana; la sua famiglia è tutt'oggi ricordata per la costruzione della prima parrocchia cattolica di tutta la contea di Jefferson, nel Missouri. A coronamento, è bello ricordare che il 5 aprile 1906, al tempo della terza venuta in Italia del "Wild West Show", La Stampa di Torino scrisse in prima pagina che «per chi nol sapesse, buona parte degli indiani che seguono la tournée di Buffalo Bill sono cattolici». Tanto che l'istituto delle Missioni Cattoliche di Roma aveva provveduto a fornire loro un confessore, il padre maltese Joseph Strickland (1864-1917), dei gesuiti di Fiesole, già missionario fra i pellirosse.

IL GRANDE CAPO INDIANO
Qualcuno peraltro scommette che a "contagiare" Buffalo Bill sia stato Toro Seduto, assai probabilmente battezzato prima di lui. I dettagli della vicenda non sono chiari, ma si sa che i Sioux onoravano i "manti neri" (i missionari gesuiti). Molti capi li invitavano a predicare agl'indiani perché palese era il bene che tutti ne traevano. Tra i grandi amici di Toro Seduto vi fu il celebre gesuita belga Pierre-Jean De Smet (1801-1873). S'incontrarono nel 1848, quando l'indiano aveva 17 anni e il missionario 47, e si frequentarono per circa due decenni. Toro Seduto ebbe stretti contatti anche con Martin Marty (1834-1896), monaco benedettino svizzero incontrato nel 1877: fu il primo sacerdote cattolico dislocato in pianta stabile nel Dakota nordoccidentale, fondò la missione di Fort Yates e fu autore di un dizionario della lingua Sioux, traducendo pure testi e documenti cattolici. Divenuto nel 1889 Il primo vescovo del Dakota, è noto come l'«apostolo dei Sioux».
Pur nella mancanza di prove definitive della sua conversione, agli atti restano il quotidiano The New York Times del 13 aprile 1883, che annuncia il prossimo battesimo di Toro Seduto (parlando inoltre di migliaia d'indiani della zona già convertiti), e una popolare foto che lo ritrae con un grande crocefisso al collo. Forse è vero come qualcuno dice: Toro Seduto - caduto in uno scontro a fuoco con la polizia decisa a impedire quella rituale danza degli spiriti che la legge vietava in quanto sovversiva - morì battezzato, ma non ricevuto ufficialmente nella Chiesa Cattolica. Aveva infatti (all'indiana) due mogli (come riportava The New York Times il 28 settembre 1883), e forse non regolarizzò mal questa sua posizione.
Una storia ancora tutta da esplorare, insomma, quella delle missioni agli indiani d'America, il cui sigillo più bello viene dalla tragedia di Little Bighorn, quando il 25 giugno 1876 la follia dl Custer portò a uno scontro senza speranza con Sioux, Cheyenne e Arapaho. Quel giorno cadde infatti anche il capitano Myles W. Keogh, irlandese, classe 1840, veterano antirisorgimentale di Castelfidardo e Ancona, prigioniero a Genova, volontario nella Compagnia di san Patrizio degli zuavi pontifici, insignito dal Papa della Medaglia Pro Petri Sede e della Croce dell'Ordine di san Gregorio. A Little Bighorn fu l'unico che gl'indiani non straziarono. Il guerriero che stava per mutilarne il cadavere vide pendergli dal collo un ciondolo raffigurante l'Agnello di Dio e, affascinato, si fermò.

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