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Claudio Risé fa il punto su "La Verità"
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Vicus:
Pubblico con molto piacere questo articolo di Claudio Risé, sia per il livello elevato come di consueto, sia per l'evidenza che gli è stata data da uno dei maggiori (anche in senso qualitativo) quotidiani italiani:
Se vogliamo una società più sana meglio ripartire dalla figura del papà
Il delitto di Catania è un fatto brutale e ingiustificabile, che a un livello più profondo però rivela in che modo l’amore paterno resti un sentimento cardine. Nonostante le enormi pressioni per distruggere il maschio.
di Claudio Risé, da “La Verità”, 30 luglio 2022
Forse lo smantellamento della famiglia che ha caratterizzato l'Occidente postmoderno volge verso la fine, generando le immagini inquietanti e crudeli, di “pura violenza” che costruiranno i miti di domani (i quali, si mettano il cuore in pace i "politicamente corretti", gradevoli non saranno mai. Come diceva De André: "dalla m*rda nascono i fior"). Di nuovi miti, portatori di nuove trasformazioni, c'è tuttavia gran bisogno, se non vogliamo finire arrostiti da qualche atomica lanciata da Presidenti ormai senili.
L'ispiratore di un nuovo mito familiare, dopo lo strabollito Edipo che ha consumato il Novecento e l'inizio del terzo millennio, potrebbe essere un catanese quattordicenne di cui si conosce per ora solo l'iniziale del nome: M. Nome adatto a un'epoca dove uno dei prodotti culturali di maggior successo e capacità di interpretazione del proprio tempo è stato forse il film Matrix, dei fratelli Wachowski. Che come Fight Club e le altre significative opere sulla condizione maschile contemporanea, è una riflessione sui risultati dell'assenza paterna e sulla società matrizzata.
Intendiamoci: si tratta di un ispiratore non consapevole, autore per altro di un gesto spaventoso come l’omicidio della madre. Di fronte a un atto come questo possiamo senz’altro reagire immergendoci nell’indignazione, affidarci ai commenti più banali sui brutti tempi che corrono, signora mia, e sul degrado morale della gioventù. Oppure possiamo forzarci e andare a fondo, calarci nelle profondità dell’orrore, entrare nell’oscurità per poi riemergerne con una scintilla capace di rigenerarci. Scegliamo dunque questa seconda via, la più difficile. È, a ben vedere, la via della Croce: solo nel momento di massima sofferenza, dove il buio è più denso, possiamo infine trovare la luce. Ebbene, dove sta la luce in questa vicenda? Forse per molti sarà – comprensibilmente – difficile da cogliere, dolorosa persino da osservare. Ma la luce, nella brutta storia di M., è il padre. Ecco: l’amore per il padre è l’ancora di salvezza dalla disgregazione della famiglia e della società intera. È l’unica cosa a cui appigliarsi nell’abisso che altrimenti circonda questo giovane siciliano. Nella sua brutalità, il gesto di M. ci indica che solo in una maniera possiamo uscire dalle tenebre che ci circondano: ricostruendo a partire dal padre.
M., suo malgrado, ci consegna appunto un mito nuovo che ribalta quello di Edipo. Direte: lo fa nel sangue, nella morte! Sì, è vero, ed è orribile. Ma – lo accennavamo – è dai sacrifici cruenti che i nuovi miti si edificano, è a partire dall’abisso che si può risalire, è dalla Croce che inizia un cammino positivo. A differenza di Edipo, M, catanese del popolare quartiere San Cristoforo, il padre non solo non lo ammazza, ma gli vuole bene, lo pensa in continuazione e non vede l'ora di riabbracciarlo. Perché il padre di M non è lì con lui, a casa, è assente come la maggior parte dei padri occidentali di ieri, ma in Italia anche di oggi, di cui parlo nel mio ultimo libro Il ritorno del padre (San Paolo editore, 2022). Anzi il padre di M è addirittura in prigione da 4 anni, accusato di cose gravi; ma evidentemente non ancora giudicato, se siamo ancora a accuse e processi. Questo particolare, è vero, non sembra interessare i cronisti; quel che conta è che il padre è un galeotto: alla faccia dello stigma e della dignità della persona. Interessa però noi perché il mito, la storia simbolica va presa nella sua interezza: testo e sottotesto. Per esempio nell'Edipo freudiano non si bada mai al fatto che Re Laio, il padre di Edipo, avesse prima tentato di stuprare un giovane sacerdote del tempio di Apollo. Che naturalmente è invece un particolare importante, quanto se il padre di M abbia subito regolare processo, o no. Comunque: "ti amo, leone mio, a presto fuori", scrive al padre questo figlio, incurante dell'attuale società androfobica e piuttosto repubblicana anche verso il Re della foresta. Il fatto è che quel padre imprigionato è tutto ciò che ha: "sei la mia forza", osa scrivergli nella società dell'impotenza obbligatoria (o della forza autorizzata solo se usata contro se stessi, come nell'attuale "virtuoso" conflitto internazionale). Non spaventiamoci poi troppo per la prigione: di galere per i padri ce n'è tante. Ad esempio uno dei motivi più frequentemente citati dal fenomeno della Grande dimissione che ha spinto migliaia di padri e di persone nel mondo a lasciare il lavoro è il non poter passare abbastanza tempo con i propri figli. La famiglia ha una storia assai più antica delle procedure di lavoro che l'attuale società industriale propone.
Il padre comunque, che anche se in galera è la forza del maschio primogenito, non basta; non è onnipotente. È l'aspetto maschile, dinamico, del fare (qui, secondo le cronache, vendeva automobili rubate), ma c'è anche la madre. E la madre, Valentina Giunta, 32 anni, se ne vuole andare, portandosi via il figlio minore, 10 anni. Anche lui, a dire il vero, aveva scritto "uguale a te, papà" su un video postato su TikTok, ma a 10 anni con la mamma non si discute. La donna passa da casa - sembra - per prendere le sue cose. E M., la uccide, con quattro coltellate. Di fronte a questo gesto possiamo ovviamente restare atterriti. Ma possiamo anche – e forse dobbiamo – sforzarci di intravvedere una via di salvezza. L’amore e l’attaccamento al padre non sono le cause di questa violenza: sono la soluzione. Non è continuando a criminalizzare la violenza maschile che si impediranno altri orrori di questo genere, ma al contrario cercando di salvare la figura paterna dal materno perverso che oggi domina ovunque, e che spesso è la causa prima della violenza sulle stesse donne. È rimettendo al suo posto il padre, accompagnandone e sostenendone il ritorno sulla scena che possiamo sperare di fermare la dissoluzione totale a cui altrimenti siamo condannati.
Nella storia di M. dobbiamo avere la forza di andare oltre la cronaca nera e lo sdegno un tanto al chilo. Perché questa non è, naturalmente, solo cronaca nera. È storia che condensa in una narrazione forte e scabrosa la storia di un'epoca. Come l'Edipo di Freud (con notevoli confusioni, come notò subito Bronislaw Malinovski e l'antropologia), cercava di raccontare le nevrosi sessuali che accompagnarono la fine dell'Impero asburgico e il vuoto spirituale del novecento occidentale, poi continuato fino ad oggi. Un'epoca, la nostra, di decadenza profonda, ma forse ormai agli sgoccioli. Dal profondo del buio, se abbiamo il coraggio necessario, possiamo scorgere il chiarore dell’alba.
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