La sconfitta di Simonedi Marina Valensisefonte: Il Foglio (di un po' di tempo fa)
E' stata l'esempio, il modello, il riferimento per milioni di donne che volevano diventare libere, emancipate, moderne. Ha aperto la strada all' eguaglianza e alla coscienza di sè. Ha lottato per il diritto alla contraccezione e la depenalizzazione dell'aborto, gettandosi nella mischia e rischiando di persona, come una virago pronta al martirio. Ha criticato il matrimonio come istituzione e ha denunciato la tirannia della natura che imponeva alle donne un destino di sottomissione: "Donna non si nasce, si diventa" era la sua parola d'ordine. E' diventato lo slogan del suo saggio più famoso, "Le Deuxième Sexe", un libro messo all'indice dal Vaticano, per traformarsi nel messale delle femministe votate alla rivolta e nel talismano di milioni di donne desiderose di una vita libera, anzi liberata, e finalmente autonoma.
Eppure, per Simone de Beauvoir l'essere donna non ha mai rappresentato un problema. "Non mi ha mai dato fastidio. Non ha mai contato molto" dichiarò senza complessi quando si mise a scrivere sulla condizione femminile, conquistando una gloria universale. E la cosa più straordinaria, a rileggerne la biografia scritta senza partigianerie da Danièle Sallenave ("Castor de guerre", Gallimard, 604 pagine, 25 euro) è di scoprire che Simone, figlia, compagna, filosofa, amante, è riuscita a vivere mettendo in scena la sua liberazione, astratta, volontaria e feroce, sino a farne il tema di un'opera - fine ultimo della sua vita - ma non ha mai rinunciato a sè stessa, non ha mai abdicato alla sua natura femminile. Anzi ha continuato, suo malgrado, a subirne il giogo. Certo, non si è sposata, non ha avuto figli, o meglio non ha voluto sposarsi e nemmeno avere figli. Ma non si è mai atteggiata a qualcosa di diverso da una donna. Ha predicato e praticato per tutta la vita l'eguaglianza, senza mai sfuggire alla differenza dei sessi. Ha negato la natura, ma in fondo nessuno è riuscito a esaltarla meglio di lei, che ha sempre evitto l' indifferenziazione di genere, il retaggio più deleterio del trionfo delle sue stesse idee.
L'istinto alla rivolta l'aveva respirato in casa sin da piccola. Perchè di rivolta bisogna parlare per capire il destino che attendeva questa ragazza della buona borghesia francese, venuta al mondo nel gennaio del 1908 in una stanza laccata di bianco sul boulevard de Montparnasse.
Suo padre è un avvocato, che però avrebbe voluto fare l'attore e alle aule di tribunale preferiva il palcoscenico, tanto da conoscere a menadito tutto il repertorio teatrale e contentarsi di recitare in costume con la moglie, durante le vacanze, pur di respirare il dramma.
Georges Bertrand de Beauvoir è un anticlericale scettico, un dandy con vocazione aristocratica. Viene da una famiglia di proprietari terrieri e disdegna il successo fondato sul lavoro. Per lui, infatti, esistono solo qualità irriducibili al merito, come il fascino, l'intelligenza, l'estrazione di rango. Dandy a caccia di dote, ha fatto un ottimo matrimonio sposando la figlia di un banchiere di Verdun, Francoise Brasseur, che invece è una tipa tranquilla e molto pia, prodotto conforme a un'educazione repressiva. All'inizio tra i due c'è anche passione. Poi però lei comincia a cedere in silenzio allo spirito caustico di lui. "Mai vista mia madre stupirsi di qualcosa" dirà Simone, la figlia primogenita che guarda sua madre come allo specchio su cui si riflette l'immagine negativa da aborrire.
Poi però, dopo i primi anni di passione, tra i genitori qualcosa si spezza. Scoppia la Grande guerra, lui parte per il fronte e la famiglia subisce un dissesto: Il nonno bancbiere fallisce, bancarotta fraudolenta. E la dote di sua figlia evapora nel nulla. Insicurezza, risentimento, e un'affezione cardiaca esplosa in guerra faranno il resto.
Quando il padre di Simone torna dal fronte è un uomo vinto. Rifiuta di rimettersi la toga, lascia lo studio legale e inizia a vivacchiare di lavoretti mal pagati, trascinando la famiglia nel baratro. Primo segno di declassamento, la casa. Addio al piano nobile su boulevard de Montparnasse, la famigliola, marito, moglie e due figlie, trasloca nella vicina rue de Rennes, ma a un piano alto, dove l'urbanesimo haussmaniano relega le classi meno abbienti, i ceti popolari. Svanito il senso di sicurezza, l'aura di privilegio, i codici della belle epoque che si intravedono nelle vecchie foto di famiglia scattate a Meyrignac, nel parco della tenuta paterna, fra pizzi e crinoline, ghette e redingote. E' "Il mondo di ieri", descritto da Stefan Zweig. Travolto dalla guerra, scompare all' improvviso anche dal Limousin dove Simone ha le sue radici, per lasciar spazio al mondo nuovo, libero, sfrenato, dove nessun ventenne sogna più di atteggiarsi a vecchio, mentre sono gli adulti ormai che inseguono la gioventù.
Il padre di Simone in questo mondo è un naufrago, un paria, un declassato. Compensa l'amarezza e il senso di fallimento con l'alcool e la debauche. Passa la notte fuori e la mattina, appestato di fumo rientra in casa, dove la foto dell'ultima fiamma troneggia in bella vista. La moglie fa finta di niente e soffre in silenzio, scaricando la frustrazione sulle figlie, sottoposte a disciplina puntigliosa. Non sa fare altro. Passiva e remissiva, è una donna prigioniera del suo ruolo di moglie, ostaggio delle convenzioni borghesi. Nel suo sguardo c'è il vuoto, avverte la figlia scrutandone le vecchie foto di ragazza: "I suoi occhi non esprimevano niente".
Dunque vietato protestare. Vietato ribellarsi. Fedele e sottomessa, la madre di Simone coltiva un sorta di espiazione, come se la sua stessa vita fosse l' eterno altro da sè, l' ancora di salvezza di un uomo, da assecondare anche se va alla deriva, perche così impone il decoro borghese.
Per Simone diventerà il modello dal quale rifuggire per essere libera. E del resto, nel suo caso, è il dissesto economico, prima che la rivolta, ad aprirle la strada della libertà. Niente soldi per la dote, ammette il padre amareggiato. Dunque, bisogna mettersi a studiare, trovarsi un lavoro.
Simone, che sin da piccola scriveva racconti di fate per la sorella minore, si scoprirà un' alunna modello, anche se di una scuola cattolica e privata, perche la madre di scuola laica, libera e repubblicana, non vuole nemmeno sentirne parlare. Ed è lì, a scuola, nelle aule del cours Desirs (le stesse che trent'anni dopo frequenterà Andree Mallah, la madre di Sarkozy) che Simone de Beauvoir consuma il suo distacco da Dio e dalla religione, scoprendo il fascino dell' ateismo. "Se avessi creduto in Dio non avrei consentito ad offenderlo". Da privatista, supera la maturità in tutte le materie, latino, filosofia, matematica. Diplomata a pieni voti, si iscrive alla Sorbona. Sceglie filosofia, perche è una che "vuole andare "all' essenziale". Tesi in tempi record su Leibniz, e subito dopo il concorso a cattedra per i licei, che vince come seconda classificata a soli ventuno anni.
Il primo in classifica è Jean-Paul Sartre, uno dei compagni di studi usciti dalla Normale i cui nomi vent'anni dopo brillerano nelle biblioteche di mezzo mondo, Nizan, Merleau-Ponty, Hyppolite, Gandillac.
L'educazione sentimentale di Simone de Beauvoir, la sua formazione intellettuale, avviene con loro e grazie a loro. E anche qui, niente di più femminile dell' atteggiamento di Simone. Simone ignora le altre ragazze. Le sue compagne non le vede nemmeno. Si erge al centro della combriccola di normalisti come un' ape regina, imperiosa, sovrana, sicura di sè, certa del proprio valore e dei suoi obiettivi.
I suoi amici la chiamano Castoro, giocando sull'assonanza inglese del suo nome, Beaver-Beauvoir, e un po' anche sull'affinità con la fisionomia di quel mammifero, sorriso serrato, incisivi compatti, zigomi sfuggenti. Simone però è un tipo tosto. Ama divertirsi, ma non cede facilmente. Lei stessa si ritiene capace di estremo rigore, grande coerenza e massima disciplina. Ha imparato, gioco forza, a declinare l'amore di sè in termini di serietà implacabile "Ce que je decouvre en moi, d'abord - scrive a diciannove anni nei 'Cahien de Jeunesse' per spiegarne il fascino misterioso - c'est un serieux austère implacable, dont je ne comprends pas la raison, mais auquel je me soumeu comme à une ecrasante et mysterieuse necessite".
E' da allora che la necessità per lei diventa legge, norma assoluta alla quale vincolarsi, piegandosi, per meglio rifuggirla, anche alla contingenza. Simone infatti ha le idee chiare. Sa benissimo cosa vuole fare da grande. Scrivere, diventare famosa come autore.
La sua vocazione precoce si nutre sin da subito di un'appetito di conoscere, di scoprire il mondo, di saggiarlo e di pensarlo. Un bel programma certo, per sfuggire al modello mortifero della soggezione materna. Permette soprattutto di resistere alla lusinga della maternità, che pure esiste certo, ma rischia di rivelarsi "incompatibile" con la vocazione alla scrittura, che esige "molto tempo" e libertà e quindi finisce per soccombere di fronte a una superiore missione, con cui si placa la ricerca della giustificazione esistenziale, della ragion d'essere. "Con la letteratura - pensavo - salviamo il mondo ricreandolo nella purezza dell' immaginario, e salviamo la nostra stessa esistenza; fare figli, invece, significa accrescere inutilmente il numero degli esseri che già sono al mondo, senza giustificazione". Un'altra presa di coscienza precoce anche se retroattiva.
Eppure, la giovinezza preme e con essa le illusioni di quell'età. Simorie avverte, infatti, che c'è un triplo problema da risolvere per conciliare essere e dover essere: vita, amore e felicità. Come si fa a mettere insieme l'amore e l'indipendenza? Come si fa a preservare la libertà, da innamorata prima e moglie dopo? "Un giorno forse mi sposerò - scrive il Castoro nel suo diario - Se non probabile è quantomeno possibile. La massima felicità che potrei avere nella vita sarebbe di sposare l'uomo che amo. Quando però ci rifletto sopra in modo spassionato, la cosa mi sembra spaventosa".
La soluzione la troverà nelle braccia di Jean-Paul Sartre, inventandosi un' alternativa destinata a un grande avvenire. Dei suoi compagni di studi Sartre, che lei all'inizio chiama Sarthe, è il più brutto, il più basso, persino guercio, ma è anche il più colto e divertente. Per lui, Simone lascia un cugino con cui per un attimo ha pensato di convolare, e dimentica l'inconcludenza di un amore di buona famiglia. "Jacques accetta il lusso e la vita facile, mentre per me ci vuole una vita divorante; io ho bisogno di agire, spendermi, realizzarmi, di darmi uno scopo, di scrivere un'opera. Non potrei mai accontentarmi di ciò che appaga lui". E infatti Jacques finirà male, alcolizzato, semicieco, quasi un barbone, incapace di dare un fine a se stesso e inventarsi un'esistenza.
Sartre invece è l'energia, la forza vitale, il fascino intellettuale. E' il sostegno e la competizione, il maestro e l' allenatore. Con lui Simone può dominare sentendosene dominata, può proiettare ogni sua aspettativa e rimanere sè stessa. In lui, scriverà, avevo scoperto "il mio doppio, in cui trovavo, portate all'incandescenza, tutte le mie manie". E infatti, è lei a lanciarsi per prima alla conquista, a tentare di concludere subito, mentre lui, frastornato dall'assedio, all' inizio si ritrae, e sembra persino resistere. Ma è ancora lei che insiste senza dargli tregua, e avanza nell' intento, finchè lui non capitola.
Le cose tra i due sono chiare sin dall 'inizio, però. Tanto lei è travolta e travolgente, quanto lui è freddo, distaccato, incapace di amare e abbandonarsi all'amore. "Vale proprio la pena di legarci tanto, se un giorno dovremmo lasciarci?" domanda lui a lei con qualche apprensione e una fifa matta che la passione prenda il sopravvento.
Solo cinquant' anni dopo, e dopo un sodalizio a prova di bomba, ammetterà esplicitamente l' intima difficoltà a lasciarsi andare, il segreto di una sessualità non proprio orgasmica, e il gusto d' impadronirsi della sensibilità femminile: "J'etais un masturbateur de femmes plus qu'un colteur", confessa Sartre negli "Entretiens de 1974".
Lei però da giovane freme. Insiste per diventarne l'amante. Ma lui rifuta. Niente amanti, in senso classico. Niente fidanzamento in senso tecnico-borghese. Matrimonio nemmeno a parlarne, tutt' al più solo per scherzare. Per esempio, con un matrimonio morganatico, fatto con la mano sinistra (come quello dei re che non riconoscevano alla sposa alcun diritto di successione), magari solo per fingersi "Monsieur et Madame Morgan Hattick", andando a ballare al dancing della Coupole.
Lei capisce e se ne fa una ragione: ossessionato dall'idea del suo genio, lui ha paura di trovarsi incastrato, impedito, frenato da una donna. Alla fine, i due opteranno per un contratto a termine, due anni rinnovabili, durante il quale vivere "nella più stretta intimità possibile" e al termine dei quali ognuno è libero di andare per la sua strada, salvo poi ritrovarsi.
E' Sartre a trovare la formula: "Il nostro è un amore necessario; ci converrà conoscere gli amori contingenti". Così spiegherà il suo doppio, che non ha alcuna vocazione alla monogamia e a soli ventitre anni per nulla al mondo intende rinunciare al piacere della seduzione.
Comincia così lo strano intreccio tra l'ordine della necessità e il piano della contingenza, che ha incantato e intossicato molte generazioni di amanti, decisi a rifuggire l'insidia dell' abitudine e dell 'ipocrisia. Liberi e fedeli, legati ma indipendenti, uniti l'uno a l' altro ma autonomi e separati, i due hanno tenuto fede al patto, anche se a modo loro, anzi ciascuno a modo suo. Lei con tenacia e rigore, alternando sforzi disumani di volontà e un' autodisciplina maniacale. Lui con indolenza e un po' di lassismo, tipico da figlio unico viziato da madre adorante, e compiaciuto di poterlo esserlo fuori tempo massimo. Sempre pronto a glissare e a schivare, a mentire e a tradire, pur di evitare il conflitto, anche quando la passione fuori controllo lo spingeva fuori rotta. Perche spesso, i loro "amori contingenti" si intrecciavano tra loro due, in quell'allegra stagione di sfida alle convenzioni, di ricerca del piacere fine a se stesso, dove però la maieutica dell'eros poteva sempre servire a plasmare le giovani generazioni, come accadeva ai filosofi antichi.
Ci fu la storia con Olga, per esempio, che fu la prima avventura di un trio sentimentale. Olga Kosakiewicz, la figlia di una famiglia di russi bianchi in esilio, "un viso sciupato, invaso dai capelli biondi", era un'allieva del liceo di Rouen. In lei Simone aveva ritrovato se stessa adolescente, il desiderio di rivolta contro le convenzioni, e aveva deciso di plasmarne la libertà con un amore saffico.
Olga, però, si lega anche a Sartre e suscita in lui una passione gelosa, e non si sa fino a che punto platonica, provocando la rivalità di Simone, che per la prima volta si sente relegare in secondo piano. "Je n'allais pas lui abbandonner cette pIace souveraine que j'occupais moi, au centre de tout". Olga ispirerà il primo romanzo di Simone de Beuvoir, "L'Invitee", la storia di un menage à trois che alla fine si scioglie in un omicidio. Perchè anche l'amore spiegherà il Castoro obbedisce alla legge inesorabile della coscienza, teorizzata da Hegel nella "Fenomelogia della spirito": "Ogni coscienza di sè deve perseguire la morte dell'altro, perchè rischia la propria vita, perchè l'altro non vale per essa più di se stessa".
Alla fine, nella vita vera, Olga sposerà il famoso Bost, un altro amico della coppia, il quale però sua volta, nel 1937, diventa l'amante clandestino di Simone restando in funzione per dieci anni.
Poi fu la volta di Bianca, un'altra impostura sentimentale, molto piu pericolosa, però. Bianca Bienenfeld è un' ebrea russa approdata a Suresnes. Nel 1937 allieva di Simone al liceo Moliere, si appoggia alla sua prof. come l'edera che cresce aggrappandosi a un cancello. Il Castoro l'accoglie nel suo harem, salvo infierire su di lei, quando Sartre, che dopo essersene invaghito a sua volta l'ha anche sedotta, decide di punto in bianco di troncare e l'abbandona al suo destino.
Sembra di rivivere le "Liaisons dangereuses" tra una Madame de Merteuil alle prese con cecile de Volanges, per interposto Valmont, che finisce per cedere alla torva legge della necessità. Ma ai tempi dell' occupazione il romanzo libertino è più perverso. E infatti il machiavellismo alimenta l'impostura sentimentale e il dogma libertario di due corruttori della gioventù, asserviti al proprio egoismo. Non solo perchè Bianca, in quanto ebrea, mollata dai due amanti corre un rischio mortale, ma soprattutto perchè solo cinquant'anni dopo capirà la verità di quanto ha vissuto. E infatti, soltanto alla lettura della corrispondenza inedita e del "Diario di guerra", scoprirà la doppiezza del Castoro, che credeva sua alleata, mentre ne era la principale rivale, essendo stata proprio lei, di comune accordo con Sartre, a decidere di porre bruscamente fine al trio facendo sparire Bianca dalla loro vita. "Elle est la seule personne à qui nous ayons vraiement fait du mal, mais nous lui en avons fait".
In realtà non fu la sola. Anche altri soffrirono, a causa loro. Anche altri patirono la mancanza di libertà in nome della liberazione. Soffrì Nelson Algren, per esempio, l'intellettale proletario, il grande amore americano del Castoro, conosciuto nel 1947 durante il primo viaggio in America, e da allora inseguito, corteggiato, blandito. "Oramai, starò sempre con te, per le strade i tristi di Chicago. sotto il metrò aereo nella camera solitaria, come una sposa amante col marito adorato. Non ci sveglieremo più, perchè non è stato un sogno, ma una meravigliosa storia reale che è appena iniziata" le scriveva lei rapita, dopo la conquista.
Ma dall' altro lato dell' Atlantico c'è Sartre, l'amore necessario, che a sua volta preme e spera. Simone? No, un' americana, Dolores Vanetti, detta "M", che Sartre riceve a Parigi mentre il Castoro è a Chicago, l'unica donna di cui Simone ebbe davvero paura. "Francamente, a chi tenete di più, a lei o a me?" chiedeva a Sartre. "A lei, ma è con voi che sto", rispondeva Sartre, il suo amore necessario.
Fu allora che tra i due iniziò un paso doble sul precipizio del contingente. Lui si imbarca all'improvviso sul Liberty ship per raggiungere l'altra. Lei ritorna a Parigi per passare l'estate con lui, ma si ritrova sola. Dolores è ancora lì e Sartre con lei. Algren intanto accetta a malincuore l'abbandono, il patto perverso dell'amore necessario, che fa di lui un escluso radicale, e protesta: "Non posso darti meno dell' amore che nutro per te".
Lei ritorna in America, per un viaggio in Messico con Algren, poi però l'abbandona di nuovo per ritrovare Sartre, il quale però nel frattempo è partito per il Midi con Dolores. Perduta e piena di rimorsi, il Castoro ripiega su Algren, se solo lui volesse, potrebbe ritornare a Chicago. Ma lui, ferito, stavolta rifiuta e la ferma con un telegramma. "No too much work", quattro parole che bastano a fare a pezzi la donna, l'amante, la sposa morganatica, l'innamorata dell'amore.
Ha conosciuto tutte le miserie e le pochezze di una midinette, attese e illusioni, il rimosso, proiezioni, le speranze e le delusioni. Le ha riversate in un'opera onnivora, forma onnisciente di egotismo oggettivato e avidità fine a se stessa, dove ogni attimo di vita vissuta, ogni persona, ogni sentimento rivive edulcorato e corretto e asservito all' idea astratta e vincolante.
"Voglio tutto" dichiarava Simone da ragazza. L'ha ottenuto, anche a costo di fallire l'essenziale se l'assoluto dell'autocoscienza confina col disumano. E l' imperativo della liberazione finisce per tradursi in una schiavitù a se stessi.
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