Embè, oh, non sono solo...
Vabbè, non condivido tutto, ma niente non è, considerando la tendenza tipica di tantissimi italiani (specie se di sesso maschile) a prendersi a martellate sui genitali, di fronte a qualsiasi persona proveniente dal famoso "estero".
https://www.tempi.it/blog/paola-egonu-e-razzista/Paola Egonu è razzista
Rodolfo Casadei 10/02/2023 - 10:07
Paola Egonu è razzista. Chiunque dica: «L’Italia è un paese razzista», è un razzista. Perché fa esattamente ciò che un razzista fa: generalizza. Il razzismo consiste esattamente nella generalizzazione di specifiche esperienze personali negative, nell’attribuzione a un intero gruppo umano degli atti cattivi o degli orientamenti ingiusti di uno o più singoli riconducibili a quel gruppo. Se subisco un furto per opera di un immigrato e dico: «Gli immigrati sono dei ladri», sono razzista, perché attribuisco a un’intera categoria ciò che è responsabilità di un singolo. Se sperimento un pregiudizio da parte di qualcuno causato dal colore della mia pelle, e formulo contro l’intero paese di cui costui ha la nazionalità l’accusa di razzismo, sono razzista.
L’Italia è un paese razzista? No
L’Italia è un paese nel quale i pregiudizi razziali, etnici, religiosi, politici, culturali, generazionali, ecc. sono diffusi? Sì. Come in qualunque altro paese del mondo. Perché ogni paese è abitato da esseri umani, e gli esseri umani spesso si accontentano dei propri pregiudizi. Per pigrizia, per il trauma di un’esperienza spiacevole, per sentirsi al sicuro all’interno di un gruppo che si definisce per contrasto a uno o più gruppi variamente individuati. Ma questo non è razzismo. Si parla di razzismo quando sono in vigore leggi razziali, norme che stabiliscono diritti e doveri dei cittadini in forza di presunte razze in base alle quali li si è classificati. Era razzista l’Italia delle leggi razziali del 1938, erano razzisti gli stati segregazionisti degli Stati Uniti fino all’entrata in vigore del Civil Rights Act nel 1964, era razzista il Sudafrica prima della liberazione di Nelson Mandela nel 1990: ho fatto in tempo a vedere con i miei occhi a Johannesburg, a Pretoria e a Soweto le panchine riservate ai bianchi e quelle destinate ai neri, le carrozze dei treni segregate per razza, ecc., al tempo del mio primo reportage internazionale.
Quei tre viaggi in Nigeria, il paese dei genitori di Egonu
Tre volte in vita mia sono stato in Nigeria, il paese dei genitori di Paola Egonu, che fino a 14 anni ha avuto la nazionalità di quel paese essendo nata in Italia da genitori nigeriani. Un paese di extraterrestri, l’ho sempre definito con gli amici, perché vi succedono cose fuori dal comune per il peggio come per il meglio. Coi ricordi di eventi bizzarri e/o crudeli ci potrei scrivere un libro intero. Una volta – una decina di anni fa – ho preso un volo interno da Lagos a Jos, che si trova nel nord del paese. Per molti anni l’aeroporto internazionale Murtala Muhammed di Lagos ha costituito una trappola per i passeggeri stranieri: alcuni hanno visto sparire nel nulla migliaia di dollari consegnati incautamente ad agenti addetti al controllo della valuta, altri si sono accorti tardivamente che il passaporto gli era stato riconsegnato (intenzionalmente) privo del visto di ingresso, e quindi si trovavano clandestini nel paese e ricattabili al momento del viaggio di ritorno (o mi paghi una mazzetta, o ti arresto per immigrazione clandestina), molti hanno versato bustarelle di decine di dollari o pagato multe fantasiose per portarsi a casa modesti oggetti di artigianato, considerati reperti archeologici dai finanzieri nigeriani perché privi del nulla osta all’esportazione da parte del Museo etnologico di Lagos (che era sempre chiuso il giorno prima del volo per l’Italia, e che a sua volta chiedeva soldi per rilasciare la certificazione).
A me è capitato di essere fermato all’ingresso della sala d’imbarco del volo per l’Italia da un sedicente agente della Dea nigeriana, che voleva perquisirmi portandomi presso il suo commissariato, in quanto mi sospettava di essere un corriere internazionale della droga. Mi salvò la funzionaria della nunziatura apostolica che mi accompagnava, la quale aveva insistito con mia grande sorpresa per restarmi a fianco lungo tutto il corso delle procedure aeroportuali, e che mostrando il tesserino diplomatico ridusse a più miti consigli il superpoliziotto nigeriano. Il quale non avrebbe cercato droga o documentazione compromettente nei miei bagagli o sulla mia persona, ma qualcosa da sottrarmi in cambio del mio rilascio. Tutto questo è finito insieme alla dittatura militare nel 1999: col ritorno al regime civile il terminal internazionale del Murtala Muhammed è diventato un aeroporto come tanti altri, il personale è onesto e rispettoso, e una gradevole femminilizzazione del personale ha accompagnato il processo di normalizzazione.
Non così il terminal dei voli domestici. Almeno fino alla mia esperienza di dieci anni fa, che scoprii essere stata condivisa da altri stranieri. Quella volta non c’era con me la coraggiosa funzionaria della Santa Sede, e l’autista nigeriano mi aveva abbandonato sulla soglia del terminal. Appena messo piede dentro alla struttura vengo avvicinato da tre elementi, tutti con la divisa del personale dello scalo, che chiedono contemporaneamente di controllare biglietto, passaporto e bagaglio a mano. Nella concitazione quello interessato al passaporto me lo sfila di mano, e dopo averlo sbirciato a malapena mi fa capire il vero motivo di tanta foga: «La tassa d’imbarco è di 50 dollari e la deve pagare a me». In realtà la tassa d’imbarco è l’equivalente di 50 centesimi di dollaro, ma c’è poco da discutere: il mio passaporto ora ce lo ha in mano lui. Chiedo un attimo di privacy, pesco una banconota da 50 dollari nella mazzetta che tengo nascosta sul corpo, e pago con fare indifferente la cifra con cui sono stato taglieggiato.
Quel volo Lagos-Jos
Tutto quello che hai raccontato fino a qui non c’entra niente col razzismo o con forme di pregiudizio, direte voi. È vero, quelli sin qui narrati sono semplicemente exploit di ladri e truffatori che hanno approfittato della divisa e della mancanza di controllo da parte dei loro superiori (o più probabilmente della loro complicità) per estorcere denaro a soggetti che valutavano allo stesso tempo abbienti e deboli: un bianco in un aeroporto africano è quasi certamente un soggetto privo di difese e provvisto di liquidità. Con eccezioni: quelli che sono accompagnati da una funzionaria della nunziatura apostolica, per esempio.
La storia a sfondo razzista che voglio raccontare è un’altra, e riguarda il volo Lagos-Jos di quel giorno. Eravamo un centinaio di passeggeri a bordo, presumibilmente tutti africani tranne due. Dico presumibilmente per non incorrere in accuse di stereotipo razziale: gli altri passeggeri avevano tutti le caratteristiche morfologiche degli africani. Magari fra loro c’erano statunitensi o brasiliani, non posso esserne certo, per questo dico: presumibilmente. Certamente non eravamo africani io e il passeggero cinese seduto al mio fianco. Perché le cose sono andate proprio così: in un aereo su cui salivano un centinaio di persone, gli unici due non-neri presenti sono stati alloggiati uno di fianco all’altro. Il tizio presumibilmente cinese non ha spiccicato parola per tutto il viaggio, non ha risposto nemmeno al mio “good morning”, per cui devo di nuovo ricorrere all’avverbio “presumibilmente”: i tratti somatici erano quelli dei cinesi. Il nostro apartheid alla rovescia è stato un film muto.
La Nigeria è un paese razzista? No
Se mi chiamassi Paola Egonu adesso scriverei che sono stato vittima del razzismo e che la Nigeria è un paese razzista. No, la Nigeria non è un paese razzista, è un paese come tutti gli altri paesi africani, cioè un posto dove bisognerebbe incidere all’ingresso le parole di Dostoevskij ne I fratelli Karamazov: «Qui il diavolo combatte con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo». Perché in Nigeria ci si imbatte nei sacrifici umani dei pastorelli fulani decapitati nei festival vudù quando scendono a sud e nelle famiglie cristiane dove un coniuge assiste amorevolmente l’altro che lo ha infettato e che ora sta morendo di Aids; nelle stragi dei contadini cristiani per mano dei nomadi fulani che massacrano anche i neonati al seno della madre, e nelle équipes miste cristiano-musulmane della diocesi di Jos che rischiando la vita fanno la spia per prevenire le violenze interreligiose che causerebbero decine di morti; nei terroristi Boko Haram che fanno esplodere le autobomba contro le chiese e nei giovanissimi scout cattolici che si sacrificano per impedire gli attentati, facendo quello che polizia ed esercito non fanno. Che peccato che tu non sia nigeriana, Paola Egonu. Sai quante cose avresti imparato, sai quante lezioni di vita avresti ricevuto. Sai quante stupidaggini eviteresti oggi di dire.
In merito aggiungo che non si è mai visto un paese razzista che permette a una discriminata di parlar male del paese che la ospita.
Quando mai un paese razzista invita una discriminata a una trasmissione come Sanremo, permettendole di guadagnare
25.000 euro a serata ?Quando mai nell'Alabama di 130 anni fa i negri potevano diventare famosi e ricchi ?
Perché non bisogna dimenticare che la tipa in questione è diventata famosa e ricca grazie all'Italia.
E come mai la suddetta Egonu, che oggi gioca in Turchia, non spende una parola di condanna nei confronti di un paese che in quanto a rispetto dei diritti umani lascia a dir poco a desiderare ?
Fprse perché quando ti offrono fior di quattrini* diventa tutto bellissimissimo e meravigliosissimo ?
*
Un milione di euro l'anno.Quanti, fra di voi, hanno mai visto un milione di euro ?
Io mai.
Chi è che se la passa meglio, la
discriminata Egonu o la quasi totalità dei
razzisti italiani ?