Autore Topic: Così ti "festeggio" l'8 marzo  (Letto 719 volte)

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Offline Vicus

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Così ti "festeggio" l'8 marzo
« il: Marzo 08, 2023, 22:58:12 pm »
8 marzo – Festa della Donna

O meglio, “Giornata internazionale della donna”. E così domani dovremo sorbettarci i soliti discorsi vuoti, sfilate, magari anche qualche “flash mob”, che fa sempre tanto “in”. Cortei, banalità, ripetute con noia e ascoltate con doppia noia.

E così comunque da dopodomani non cambierà nulla per le donne, costrette a credere che “realizzarsi” voglia dire snaturarsi, che abortire sia un sacro diritto, che addirittura sia d’obbligo essere brutte. Costrette a credere che dedicarsi alla famiglia, ai figli, al marito, sia un’inaccettabile schiavitù. Guardate un po’ le donne che vanno per la maggiore, in politica, nello spettacolo. Si direbbe che la bruttezza sia diventata un valore aggiunto, così come alle donne ormai in età avanzata viene vietato di invecchiare e vediamo signore ultraottantenni trasformate in pagliacci televisivi, alla ricerca di un’eterna giovinezza che si traduce solo in un odierno squallore.

Alle donne è stato insegnato che conservare la propria purezza fino al matrimonio è ridicolo. Anzi, lo stesso matrimonio è ridicolo.

Dal disastro sessantottino in poi, alle donne è sempre più vietato essere donne. Devono essere sfruttate ben bene, ma tutto in nome di una libertà stralunata e di un “progresso” che ha distrutto femminilità e famiglia. E quindi devono essere felici, sorridere come ebeti e continuare ad essere usate e commercializzate.

Deo gratias, non sono tutte così.

Vorrei proporvi due esempi femminili che sempre mi hanno colpito.

Primo esempio – Le suore violentate in Congo

Congo ex-belga. Anno 1961. Da un anno il Congo era indipendente. Quello sventurato Paese si trovava nel caos politico e amministrativo. Il Belgio gli aveva dato l’indipendenza, ma senza curarsi delle condizioni in cui lasciava l’ex colonia.

Lo scatenarsi di antichi odi tribali fu favorito e fomentato dai cinici interessi di nazioni e gruppi di potere occidentali. Il Congo, ricchissimo di risorse agrarie e minerali faceva gola a molti. Per diversi anni quell’infelice Paese fu teatro di guerre senza esclusioni di colpi tra le varie fazioni politiche e tribali locali, sostenute e rifornite di armi, mentre la popolazione civile pativa la fame e le scorrerie dei vari gruppi armati.

Non è certo qui il luogo per fare la storia dell’infinita guerra civile congolese.

Basti ricordare il sacrificio dei nostri tredici militari dell’Aeronautica, giunti in Congo, a Kindu, in missione di pace e trucidati da soldataglia locale, convinta che essi venissero a fornire armi e appoggio a gruppi rivali. Era l’11 o il 12 novembre 1961. La data precisa dell’eccidio non fu mai stabilita, per il caos nelle comunicazioni e il rimpallo di responsabilità tra le diverse “autorità” locali, che non seppero o non vollero impedire l’eccidio.

In quel terribile clima, avvennero molti episodi di cieca brutalità.

Uno di questi, anni fa, fu ricordato da un bravissimo giornalista cattolico.

In un convento di suore, che continuavano la loro missione in Congo, portando aiuto, spirituale e materiale, a tutti quelli che ne avevano bisogno, fece irruzione un gruppo di armati. Di quale fazione? Non si sa. Si sa che, purtroppo, questi uomini, molti dei quali ubriachi, dopo aver distrutto ciò che potevano distruggere e rubato ciò che ritenevano di valore, violentarono anche gran parte delle religiose. E poi, esaurita la loro furia bestiale, se ne andarono.

Come Dio volle, le suore riuscirono a continuare la loro attività caritativa, né vollero lasciare il Congo. Ben presto si constatò che dodici di esse, tra le vittime di violenza, erano incinte.

Una sola tra loro scelse di abbandonare la vita claustrale. Le altre portarono a termine le loro gravidanze e lasciarono i figli in stato di adottabilità nei Paesi europei dove erano state temporaneamente trasferite per partorire.

Erano spose di Cristo e seppero essere fedeli a quell’Amore così grande, il cui esempio luminoso sono le braccia di Nostro Signore spalancate sulla Croce, in un abbraccio di infinito Amore. Un amore così grande da superare ogni ostacolo, un Amore che solo Nostro Signore ha potuto dare e che solo una donna può imitare, accogliendo in sé stessa il miracolo della vita, anche se l’atto generativo fu brutale e violento.

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Secondo esempio – breve biografia di Rosalia N.

Rosalia N. è morta pochi anni fa, quasi centenaria.

Lombarda, era nata nel 1919, in una famiglia che per l’epoca poteva definirsi se non benestante, perlomeno in grado di vivere decorosamente. L’avevano battezzata Rosalia, per volere della madre, siciliana di origine, devota della Santa.

Era la settima di nove figli. Studiò fino alle Scuole magistrali e per qualche anno fece la maestra.

Aveva ventiquattro anni quando conobbe Andrea T., di tre anni più vecchio di lei. Era un bravo giovane, con un impiego sicuro. Andrea iniziò a frequentare la famiglia di Rosalia e i genitori lo presero in simpatia. Rosalia ne fu molto felice perché, seppur maggiorenne, non avrebbe nemmeno pensato di sposare un uomo che non piacesse ai suoi genitori.

Nei primi quattro anni di matrimonio Rosalia mise al mondo tre bimbi. Lasciò l’insegnamento, perché tre bambini sono un bell’impegno e da allora la sua vita fu fatta di quotidiane cure ai figli e alla casa. Poi negli anni ne nacquero altri quattro e mentre i primi si facevano grandi, ricominciava il lavoro per i più piccoli.

La giornata di Rosalia iniziava presto e si concludeva tardi. La casa, i figli, il marito, che quando tornava dal lavoro aveva ben il diritto a un sorriso e a una cena, assorbivano tutto il suo tempo.

Ma c’erano due momenti nella giornata che non cambiavano e che aveva saputo, con dolcezza, imporre anche ai figli e al marito: la preghiera al mattino appena svegli e la recita del Rosario prima di cena. Ogni giorno, per tutti gli anni della sua vita.

E alla domenica, ci si doveva vestire bene “per rispetto a Gesù” e andare alla Messa. Non si discuteva. Si faceva.

Sette figli, tutti educati alla Fede e al senso del dovere. Con non pochi sacrifici, Rosalia e il marito riuscirono a farli studiare tutti e tutti furono bravi a scuola e poi nel lavoro. Uno di loro, Luigi, entrò in seminario e fu ordinato sacerdote.

Arrivato a ottantatré anni, Andrea, il marito, se ne andò. Un’influenza diventò bronchite e poi polmonite. Lei gli tenne la mano fino all’ultimo, poi recitò una preghiera e da quel momento mise il lutto, per non toglierselo più.

Rosalia era rimasta sola, ma non era mai sola. I figli le avevano dato tanti nipotini e il figlio prete appena poteva, veniva a farle visita. Insomma, la sua casa non era mai vuota e lei aveva sempre un sorriso per tutti e il Rosario sempre stretto tra le dita.

Pian piano la vista le si attenuava e quando morì, nel 2017, era quasi cieca. Ma nessuno la sentì mai lamentarsi.

Ho conosciuto Rosalia N. una decina di anni fa, presentata da comuni amici. Mi accolse cordialmente, mi ringraziò della visita e mi raccontò la storia della sua vita, che ho cercato qui di riassumere.

Quando seppi della sua morte, pensai subito che andava Lassù, a raccogliere i frutti meritati di tutto il bene che aveva fatto.

Era una donna semplice, alquanto schiva, che aveva fatto della sua vita un capolavoro. Un capolavoro di Amore, da scriversi sempre con la “A” maiuscola. Una donna meravigliosa.

https://www.stilumcuriae.com/ricordiamo-alcune-donne-nella-giornata-internazione-della-donna-deotto
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.