In curriculum, parole, atti e costumi, Fräulein Schlein sembra la caricatura di una schiatta iperborea, di un’elite iperurania.
È talmente caricaturale nella sua impermeabilità alla vita umana media da sembrare fabbricata in un laboratorio populista per sputtanare ciò che oggi si fa passare per “sinistra”.
Ci si aspetta che da un momento all’altro chieda alla plebe perché non mangino brioches.
Va da sé che qualcuno con il “personal shopper” sia in sintonia con la gravidanza surrogata: se manco lo shopping vuole farsi da sé, figuriamoci nove mesi di gravidanza e un parto.
Il problema qui è che purtroppo Fräulein Schlein fa parte di quel ricorrente fenomeno sociale per cui ad un certo punto un
ceto economicamente superiore è talmente iperbolicamente lontano dalla vita comune e dalla quotidianità dei più da fantasticare, nella propria bolla autoreferenziale, di “capire i poveri” e di “rappresentare il popolo”.
E può costruirsi col pongo personaggi fantastici, storie affascinanti dove l’imperante fascismo viene abbattuto, dove migranti plaudenti la incoronano regina, dove il progresso vince sulla superstizione, le liberaldemocrazie occidentali impongono nell’entusiasmo generale la propria superiore pacifica civiltà ai popoli arretrati, dove tutti i primat* superior* vivono in pace ed armonia con il vivente tutto, nutrendosi di proteine sintetiche e respirando, ma poco.