Come mai nessuno di quelli bruciati sul rogo da calvinisti e protestanti è divenuto martire del libero pensiero? Magari i coevi di Bruno che avevano le stesse idee antitrinitarie? I protestanti non andavano tanto per il sottile con 7 anni di processo, una catasta di legna e via. E nessuno parla dei martiri cattolici che la regina Elisabetta faceva allegramente giustiziare.
Mi chiedo quanti cattolici, te compreso, caro Vicus, pur di non fare una fine del genere sarebbero disposti, non solo a rinnegare la loro fede, ma anche la loro madre
Chi sei per porre una domanda del genere, andresti sul rogo per difendere Bruno o ti metteresti a baciar pile come una pinzochera? Non possiamo sapere cosa faremmo, però sappiamo che mentre gli atei pensano che esiste solo la vita terrena, i cattolici sanno che il martirio risparmia qualsiasi espiazione, assicurando subito al cristiano più medio il paradiso come ai Santi. Forse questo pensò (per restare al Giappone) S. Paolo Miki dalla croce, o i suoi 25 compagni allo scintillare delle terribili spade dei samurai:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ventisei_martiri_del_Giappone"I carnefici li legarono con corde e anelli di ferro, poi li innalzarono contemporaneamente sulle croci, sotto le quali stavano dei samurai armati con affilate lance di bambù. L’ordine di esecuzione fu ritardato per accrescere il terrore del supplizio.
In quel frangente si levò improvvisa la voce di uno dei crocifissi, che iniziò a intonare il Benedictus; poi il tredicenne Antonio cantò il “Lodate, fanciulli, il Signore”, seguito da Luigi e Tommaso. Un francescano cominciò la recita delle litanie a Gesù e Maria, ripetute dalla folla, mentre
l’ufficiale responsabile dell’esecuzione iniziava a preoccuparsi per quanto avrebbe dovuto riferire a Hideyoshi riguardo a quell’impressionante testimonianza cristiana. Paolo Miki pregò per il perdono dei carnefici, esortò tutti alla conversione e
li invitò a guardare i volti dei crocifissi, che non mostravano timore della morte in ragione della fede in Cristo risorto. Infine arrivò l’ordine.
Il francescano Filippo di Gesù fu il primo trafitto con due colpi di lancia, l’ultimo fu padre Pietro Battista, che poco prima aveva amministrato il battesimo a una pagana muta, la quale riacquistò la parola grazie al contatto con la croce.
I fedeli si precipitarono a raccogliere con dei panni il sangue dei martiri, ma fu loro impedito di dar sepoltura ai ventisei, i cui corpi rimasero per settimane sulle croci con molte sentinelle di guardia.
Tra gli svariati prodigi che si verificarono sull’altura - dalle apparizioni ai globi di fuoco discesi sulle spoglie dei santi, fino agli uccelli rapaci che non osarono avvicinarsi ai loro corpi - numerosi testimoni videro muoversi, sessantadue giorni dopo la morte, padre Pietro Battista"
Mi pare compensino ampiamente il portoghese. Ma nessun rogo può fare di un ciarlatano opportunista un gigante del libero pensiero: ciarlatano era e ciarlatano è rimasto, "canonizzato" da ciarlatani come lui che ne hanno diffuso la mendace leggenda, come lui era uso cambiare fede a ogni passaggio di frontiera in un imbarazzante carosello che (dimmi che martiri hai e ti dirò chi sei) rende gli uni degni dell'altro.
Nell’anno 1846, a Verona, un seminarista quindicenne legge il racconto di questo supplizio e ne riceve la prima forte spinta alla vita missionaria: è
Daniele Comboni, futuro apostolo della “Nigrizia”. Di S. Daniele Comboni è poco nota una vicenda:
"Egli si trovava a Parigi, non ancora vescovo, nel dicembre 1868. A tarda sera del 22 dicembre vennero a cercarlo per un moribondo. Montato in una carrozza chiusa che era venuta a prenderlo, vi trovò tre distinti signori i quali, dopo qualche momento, armi alla mano lo bendarono. Un paio d’ore di giri e rigiri. Fermatisi, entrarono – egli sempre bendato – in una casa, dove percorsero stanze e stanze. Eccolo infine sbendato. Si trovava in un ricco salottino sfarzosamente illuminato. Venne fatto passare in una sala attigua: “Avete un’ora di tempo” gli dissero. […]. Una voce lo scosse: “Padre, sono io l’infermo che abbisogna della vostra opera”. Un ragguardevole signore stava là su una poltrona. “Fra un’ora debbo morire, disse costui, e vorrei che mi preparaste ad una morte cristiana. In breve vi dirò che io sono membro di una società segreta (la massoneria), nella quale fui promosso al 33° grado. Servii la società per 28 anni, quando venni designato a togliere la vita ad un prelato stimatissimo da tutti al che mi rifiutai assolutamente, pur essendo certo che tale rifiuto sarebbe costato a me la vita. La mia sentenza è pronunciata. Fra un’ora morirò. Mi saranno aperte le due vene della gola. Ho già fatto morire anch’io altri in questo modo, e Dio giustamente mi punisce. Il mio cadavere sarà buttato nella Senna”. […] “Come mai, replicò Comboni, i vostri compagni si sono presi la briga di condurvi il confessore?”. Costui replicò che ebbe un’ottima educazione religiosa da fanciullo, che aveva la moglie piissima e una figlia suora, e che fu accettato dalla setta per la sua alta posizione sociale, pur avendo egli posto l’esplicita condizione di poter ricevere il sacerdote in punto di morte. […]. Mentre il condannato faceva una fervorosa confessione, arrivò il termine dell’ora e tre uomini comparvero d’improvviso alla porta. […]. Inflessibili, senza una parola, vennero, lo legarono, uscirono. Tornarono con qualche traccia di sangue nelle mani e ammonirono il Comboni di non fiatare sull’accaduto, pena la vita, lo dovessero pur raggiungere nel centro dell’Africa. […]. Nuovamente bendato fu fatto risalire in carrozza, per un nuovo lungo cammino. Discesero. Poi silenzio, dopo un po’ si tolse la benda. Era solo in un giardino di aperta campagna, molto lontano da Parigi. Tre giorni dopo dai giornali lesse che alla Morgue di Parigi v’erano dei cadaveri non identificati. Vi andò, riuscì a stento a riconoscere, richiamato da una reliquia che gli aveva dato, il volto deformato della vittima. Ne fissò attentamente il collo e vi scorse due trafitture"