Autore Topic: Sesso ludico, ovvero del comunismo sessuale e sue conseguenze  (Letto 236 volte)

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Offline Vicus

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Sesso ludico, ovvero del comunismo sessuale e sue conseguenze
« il: Maggio 23, 2024, 23:56:25 pm »

Come sempre Fabrizio fa interessanti riflessioni anche quando sbaglia. Per esempio sul binomio stimoli-frustrazione, che rincitrullisce e tiene (letteralmente) per le palle gli uomini.
Possiamo aprlarne all'infinito ma il comunismo sessuale è un'utopia non realizzabile che scardinerebbe la società dalle fondamenta, come capì l'Unione Sovietica che abbandonò subito l'idea di abolire la famiglia.
Inoltre il comunismo sessuale è la sintesi perfetta tra capitalismo e comunismo, come vedremo. Come ho già detto per capire la modernità bisogna studiare le antiche eresie:

La multinazionale dell’effimero (di M. Blondet)

Volete capire quale progetto cela l’improvvisa conversione di George Soros al solidarismo? Volete vedere il modello della società che ci prospetta, quella del social-capitalismo fabiano? Basta passare una settimana al Club Méditerranée. Diverse estati fa, capitò anche a me. Mi lasciai convincere da un dépliant con smaglianti foto a colori; ma soprattutto, credo, da descrizioni di vari conoscenti in cui traspariva - fatto degno di nota - una sorta di entusiasmo mistico per quell’esperienza.

Per me l’esperienza fu frustrante, per poco ovvii motivi che cercherò di spiegare. Da allora mi è restata l’impressione che il Club Méditerranée (questa “industria delle vacanze e del divertimento a tempo pieno”, come si legge sui giornali specializzati) sia l’incarnazione di un’idea, di un desiderio immemoriale, attestato nella letteratura. Il Paese dei Balocchi, per esempio. Nelle Avventure di Pinocchio, si racconta che per giungere a quel fantastico paese Pinocchio, Lucignolo e i loro compagni che han marinato la scuola affrontano, nella carrozza dell’Omino di Burro, quel che ha tutte le caratteristiche di un viaggio organizzato o di un volo charter. “Stavano male, stavano pigiati, non potevano respirare: ma nessuno diceva ohi!, nessuno si lamentava... Non sentivano né i disagi, né gli strapazzi, né la sete né il sonno”. Nel Paese dei Balocchi, si sa, le giornate “si passano baloccandosi e divertendosi da mattina a sera”; Pinocchio vi trascorre mesi “di cuccagna”. Finché un brutto mattino, “con sua gran maraviglia, sente spuntarsi un bel paio d’orecchie d’asino e diventa un ciuchino, con la coda e tutto”.

La trasformazione dell’uomo in bestia in un contesto non dissimile si ritrova in un testo assai più antico e augusto: nell’Odissea, là dove parla della reggia di Circe la maga. Essa sorge “in luogo aprico d’ogni parte”. In quel luogo così fascinoso, potremmo dire così turisticamente privilegiato, la maga attrae i compagni d’Ulisse, apparecchiando loro “le carni infinite e il dolce vino”. “Sedere ella li fece, e a loro intrise/ cacio farina e fresco miele e vino/ di Pragmo... Lo diede a bere, e bevvero, e con verga/ li batté, li rinchiuse nei porcili;/ già di porci essi avevano la testa, corpo setole e voce”.

Non ho dubbi che qui, con una chiaroveggenza che parrà inverosimile solo a chi misconosce le facoltà profetiche dei poeti, si alluda proprio al Club Méditerranée. Omero offre un’indicazione inequivocabile: l’abbondanza del buffet, e il vino gratis a volontà, che sono due delle più note e reclamizzate attrattive del Club. Ma entrambi i testi ne denunciano, concordi, il risultato finale della sua frequentazione: l’asinificazione, o la porcificazione umana. Esagero? No. Pur con tutta la sua dozzinalità, il Club Méditerranée è - vuol essere - l’incarnazione nella società dei consumi di un sogno antico, anzi di una visione connaturata all’uomo: il Giardino delle Delizie.


Hyeronimus Bosch ha dipinto questo giardino immaginario, il Paradisus Voluptatis, accanto al Paradiso celeste e al Paradiso terrestre, come un terzo “luogo” distinto dagli altri due: è il luogo del vizio felice, dove si pecca senza portarne pena. Il Giardino di Bosch - il quadro è esposto al Prado - è abitato da uomini e donne nudi e ammaliati. Due amanti nudi sono racchiusi in una bolla diafana, altri si bagnano in acque perlacee, o navigano su foglie e fiori, volano sul dorso di pettirossi o aggrappati a spore trasparenti, in mezzo a una natura stregata che sembra piegarsi a mille metamorfosi solo per compiacere i sensi e i desideri.

Soltanto una sottile atmosfera d’assurdo avverte chi contempla la pittura che il Giardino di Delizie non è che l’immagine rovesciata di un altro dipinto di Bosch: l’Inferno. Nel Giardino la scena è solo più sfumata e imprecisa, come filtrata attraverso occhiali rosa, sicché Giardino e Inferno si rivelano come lo stesso luogo, ma visto con gradi diversi di acutezza. La stessa natura, magica e strana nell’uno, resta “viva” nell’altro: ma ora è una vitalità macabra e beffarda. Gli alberi, adesso stecchiti o cavi, hanno forme umane; l’aria magica e strana s’è mutata in un livido vento di demenza; le creature fatate son diventate mostri da incubo, uccelli-ragno, topi-grillo; un orecchio tagliato, enorme, percorre la scena. Non succede nulla di veramente tremendo nell’Inferno di Bosch, anzi è in corso qualcosa come uno sconcio divertimento collettivo, ma ogni cosa dà i brividi. Non c’è dubbio: il Giardino delle Delizie è per Bosch l’Inferno visto dall’aldiquà, attraverso lo sguardo del peccatore ottenebrato dalle sue voglie.

Le regole del Paradisus Voluptatis sono state dettate una volta per tutte dagli gnostici libertini del secondo secolo, specie da Carpocrate ed Epifane, anche se Fourier le ha perfezionate a metà del ‘700. Il Giardino delle Delizie, per costoro, è la società futura: da costruire attraverso la trasgressione volontaria delle leggi umane. Sono infatti le leggi e le morali, secondo gli gnostici, ad aver introdotto artificialmente nella società l’ineguaglianza, il “mio” e il “tuo”, il duro dovere; trasgredendole, si ricostituisce la perfetta indistinzione dello stato originario. Per gli illuminati di tutti i tempi infatti “l’uomo nasce buono” - buono in tutte le sue tendenze, che non occorre temperare - “ma la società (la legge) lo corrompe”. Perciò nel Paradisus Voluptatis vige il comunismo: non corre moneta, tutto appartiene a tutti e soprattutto le donne, che sono in comune; il sesso non è limitato da alcuna norma. L’uomo, finalmente “liberato”, ritrova la sua “felicità naturale” nel seno di una natura ecologicamente pura ma complice fino alla ruffianeria: Fourier giunge a sostenere che, quando il Nuovo Mondo Amoroso sarà finalmente restaurato, le amare acque del mare si muteranno in bibita al lampone. Le leggi umane inducono, con la proprietà privata, la penuria: cancellare quelle leggi comporterà dunque, logicamente, il ritorno dell’abbondanza. Ognuno avrà “secondo i suoi bisogni”, fossero pure infiniti. Scorreranno fiumi di vino e di latte. Nella ritrovata felicità, lavoro e gioco, dovere e piacere non si distingueranno.

Se ora scendiamo di livello (bisogna scendere i ripidi gradini che separano l’utopia dalla realtà) constateremo che quel che il Club Méditerranée si sforza di offrire, dietro pagamento di cospicua tariffa settimanale, è proprio l’esperienza del paradiso gnostico.

L’ambizione del Club è quella d’essere un’utopia concreta”: così disse monsieur Gilbert Trigano, in una memorabile intervista sul mensile Successo. Gilbert Trigano: “capelli neri, occhiali spessi sul naso forte, un entusiasmo comunicativo”, ha scritto di lui Epoca: “È l’inventore, il presidente, il direttore generale della più originale fabbrica di vacanze del mondo: il Club Méditerranée. Governa cento villaggi turistici, cento “chiese” aperte ai credenti d’ogni razza: 75 mila letti vegliati da un calcolatore elettronico e profumati, ogni mattina, da due milioni di croissant. 600 mila adepti l’anno”. La descrizione può essere aggiornata aggiungendo che Trigano, oggi ritiratosi dagli affari con un capitale miliardario, si definisce un ex-comunista; ma per il resto va bene. È il ritratto dell’Omino di Burro adatto al nostro tempo tecnologico e finanziario.


Ne ha escogitati di trucchi, l’Omino di Burro, per rendere il Club “un’utopia concreta”. Nei villaggi del Méditerranée, com’è noto, ha vietato la circolazione di denaro; impone l’uso come moneta di puerili palline di plastica dai vari colori, che gli ospiti del suo Paese dei Balocchi portano al collo, unite in collanine, come il Buon Selvaggio del mito illuminista. Ma ha spinto la sua utopia assai più in là, fino al comunismo felice, alla negazione della proprietà privata: come dice monsieur Trigano, “l’importante non è che il Club sia proprietario della barca, ma che la barca esiste; e da quel momento essa diventa proprietà di ciascuno di noi, che se ne serve a suo piacimento... Molti uomini han perso la vita per conservare la proprietà. Noi invece abbiamo conservato la felicità perdendo la proprietà. E la cosa ci sta bene”.

I pasti del Club sono, come noto, pantagruelici; ciascuno può servirsi a volontà dei cibi e del vino. Ciò corrisponde a pratici motivi economici (quando una cosa è “a volontà”, se ne vuole di meno), ma monsieur Trigano offre una spiegazione più profonda: “Mentre la società attuale basa i suoi principi sulla razione - di burro, di pane, di lavoro, di festività - l’ambizione del Club consiste nell’accontentare il bisogno. Noi diciamo: prendete pure ciò di cui avete bisogno. Perché abbiamo fiducia nell’uomo, e sappiamo che prenderà solo quello che gli serve”. Per questo, fra l’altro, i bungalow dei villaggi Méditerranée non hanno lucchetti (e i furti sono all’ordine del giorno perché l’Uomo Nuovo, come si sa, tarda a nascere). Ma l’assenza di serrature nelle capanne in cui gli ospiti dormono ha una necessità ideologica profonda: è anche, e soprattutto, l’invito a “mettere in comune” i corpi. È questo principalmente ad attrarre legioni di uomini-massa nei villaggi-vacanza: l’incredibile facilità di rapporti sessuali “liberi e senza problemi”. Tutta quanta l’organizzazione del Club sembra fatta per condurre a quel fine: in mezzo a una natura che è, come attestano i dépliant, “magicamente selvaggia”, ossia sapientemente ravviata per offrire angoli appartati e nascondigli, nella nudità (“paradisiaca”) di ognuno, non occorre più di uno sguardo d’intesa per correre una facile avventura: tutti in fondo sono lì per questo. Come dicono i dépliant, si possono passare le giornate “con il solito amore o con un nuovo flirt”.

Così fin dal principio l’umanità ospite del Club diventa quel che devono essere le creature del paradiso gnostico: “veri adulti”, usciti di minorità, per cui non valgono più le costrizioni etiche che reggono la società normale; ma nello stesso tempo questi adulti, regrediti allo stadio dell’irresponsabilità infantile, pargoleggiano. Il Club dei Balocchi pullula di “divertimenti organizzati” a tutte le ore del giorno e della sera: dattilografe e ragionieri, carampane e giovanottini, vi partecipano ridendo, battendo le mani, ruzzando come bambinelli. Come dice Trigano, “Questo fa nascere il massimo senso di libertà”. Ma naturalmente questa “libertà” è tutta iscritta nella schiavitù del collettivo, delle leggi non scritte che reggono la mistica della società delle vacanze. Il divertimento, per così dire, è coatto, anche se la coazione è desiderata dagli ospiti. Quel che viene distrutto e reso impossibile è infatti qualcosa di prezioso, che però le anime volgari sfuggono e temono: la vacanza come solitudine meditativa, come agio di pensare a se stessi e alla propria vita, come pausa da riempire di introspezione.


La vita del Club, con i suoi piacevoli obblighi comunitari, bada a tenere gli ospiti al disotto di tutto questo: non solo il divertimento obbligatorio si espande anche nella notte, con volonterosi e scialbi spettacolini, cui tutti assistono o partecipano, su un palcoscenico improvvisato. Non solo si è chiamati a tavola, all’ora di pranzo e di cena, da insulse canzonette diffuse a tutto volume dagli altoparlanti (e tutti accorrono infantilmente felici). Persino a tavola è impossibile incontrare per due cene consecutive le stesse persone: i gentils organisateurs (“GO” nel gergo del Club: da pronunciare alla francese, geò), animatori e sorveglianti a un tempo, stanno attenti a che nessuno si sieda ogni sera alla stessa tavola. Il pretesto di questa rotazione è di moltiplicare le occasioni d’incontro; il risultato reale è però quello di impedire ogni contatto che non sia superficiale, il nascere di amicizie non banali che condurrebbero alcuni a “fare parte a sé”, rompendo il totale controllo del collettivo e, forse, finendo per creare un nucleo di resistenza al rimbecillimento totale.

A tavola ogni volta con sconosciuti, la conversazione si avvia invece su binari innocui. Sempre i soliti: ci si chiede a vicenda da dove si viene, si evita di approfondire tutto ciò che potrebbe far discutere (non si può discutere tra ignoti). E, infine, si pone la domanda-chiave: “Lei è già stato al Club? In quali villaggi?”.

Si scopre così, in questi malinconici conversari, che gli ospiti del Club sono ben più (o molto meno) che vacanzieri spensierati: sono membri della setta. Nel Club si trova gente che da trent’anni non passa le vacanze se non nel Club. Che ha girato tutto il mondo per vedere sempre e solo lo stesso orizzonte di bungalow, di tavole imbandite, di “animazioni”. C’è chi confronta con accigliata competenza la cucina del villaggio in Costa d’Avorio con quella del villaggio di Marrakesh. C’è chi conosce gli animatori dei vari villaggi per nome, e ne parla con tenero entusiasmo. C’è addirittura chi si reca di nuovo nello stesso villaggio per ritrovare lo stesso animatore. Gli adepti usano, com’è d’obbligo, un gergo loro proprio: gli ospiti paganti dei villaggi devono essere chiamati gé-em (da Gentils Membres), gli animatori del Club gé-o, e tutti, di qualunque nazionalità siano, si sforzano di parlare un francese goliardico e bambinesco, dicono la bagnole per l’automobile, dicono le boulot per dire la vita di tutti i giorni, dicono faire zizi per far l’amore. Chi parla con più disinvoltura degli altri questa lingua per bambini acquista una sorta di autorità: è un iniziato. E tutti lo invidiano perché, da semplice GM, può essere scambiato per un GO, e i GO professionali lo trattano come uno di loro.

Sì. ha ben ragione il fondatore Trigano - ama atteggiarsi a filosofo - quando dice che il Club, più che un’impresa commerciale, è una “filosofia”: “Il grande sbaglio di tutte le religioni è quello di voler convincere la gente che ognuna è migliore delle altre. Noi non abbiamo religioni”. Nel Club, aggiunge, “non esistono preti, leggi, principii”. Se non uno: l’eguaglianza. “II fatto che l’uomo si trovi al Club fa sì che egli sia totalmente eguale agli altri”. E nell’uguaglianza ciascuno può godere delle cose senza possederle. Il Club “non è una religione, è una festa”. Ciò non toglie che si configuri come un corpo mistico: “Esisto perché mi trovo nel Club, non perché ‘ho’ il Club. È il Club che ci ha”.

Trigano, come si vede, rivela ambizioni di riformatore sociale: “Mi chiedo se la nostra formula potrebbe uscire dal contesto delle vacanze. Credo di sì. La civiltà attuale si basa su un grande errore. Si deve lavorare per tutta la vita per mettere da parte qualcosa per la vecchiaia, e si sciupa tutta la gioventù per preparare la morte. Noi invece diciamo che non vi può capitare niente; di conseguenza non occorre star lì a mettere da parte. Se avete un problema, il Club è qui apposta per risolverlo. Io penso che il giorno in cui le cose verranno modificate e scomparirà l’istituzione dell’eredità, se la società darà la certezza di una vecchiaia felice, il nostro modo di pensare e di agire cambierà. Non dovremo più combattere per mettere da parte, per accaparrare, per conservare ...Io credo che il grande equivoco del nostro tempo consiste nel fatto che si vive in un’epoca tesa ad “avere”, mentre lo scopo è solo quello di “essere”. “Avere” non conta nulla, dal momento che prima o poi dovrò andarmene senza portarmi via niente. È importante, invece, che io abbia “vissuto” durante la mia esistenza”.

Ha perfettamente ragione, Trigano, quando si vanta di essere riuscito “a rimanere visionario e socialista, sul piano delle idee, pur facendo il capitalista sul piano dell’impresa”. Quella che le sue parole hanno descritto è la società dei consumi quale aspira ad essere: totalitaria, sintesi suprema di capitalismo e collettivismo, una macchina sociale da cui siano stati espunti tutti quei “fattori di disturbo” (religione, amore per i figli e perciò previdenza, pensiero della morte) che fanno degli uomini qualcosa di più e diverso da semplici consumatori. È l’utopia post-capitalista, elaborata nei laboratori dove si sviluppa l’ideologia tecnocratica funzionale al grande capitale. La proprietà privata, di cui Trigano propugna l’abolizione con le sue conseguenze (l’abolizione del diritto di successione) è un ostacolo anche per i detentori del potere finanziario: perché ha valenze extra-economiche (affettive, ad esempio); perché comporta il senso della continuità familiare; perché può essere lasciata “improduttiva”, ossia sottratta al giro fruttuoso della speculazione; e peggio, perché la sua formazione implica il risparmio, l’immobilizzo di capitali. I grandi capitalisti sanno che non occorre essere proprietari di un’impresa o di un patrimonio; conta averne il controllo, il più possibile anonimo. La proprietà è un “bisogno dell’anima”, ha scritto Simone Weil, perché essa “è un prolungamento della persona”. Ma qui è proprio la “persona” che va distrutta, perché l’uomo possa esser ridotto a mero consumatore.


Il Club Méditerranée è dunque in vitro il modello della società post-capitalista che sogna il capitalismo più avanzato”. Una società dove nessuno dovrà più pensare a sé, perché il Collettivo (e coloro che lo controllano) penserà per lui e, nell’abbondanza del superfluo, ciascuno lavorerà nel Collettivo per avere il diritto di disporre dei beni collettivi; dove nessuno “avrà” qualcosa, mentre il Collettivo “avrà” tutti. È la società sognata da Marcuse, dove si può svolgere “un’esistenza piena di tempo libero sulla base dei bisogni vitali soddisfatti”. Nello stesso tempo è la società super-capitalista che assicura l’”uso razionale delle risorse finanziarie” (escludendo la proprietà privata, residuo di un passato oscurantista) e in cui, attraverso una rivoluzione tecnologica, “allargando il regno della tecnica, saranno rimessi al loro posto come tecnici anche i problemi relativi alla finalità, considerati a torto problemi etici e a volte religiosi”. E ancora Marcuse che parla: e come abbiamo visto, anche Trigano “rimette al suo posto” i problemi della finalità, persino quello - insuperabile - della morte, con una soluzione “tecnica”, nel segno di una secolarizzazione radicale: “Avere non conta nulla, dal momento che dovrò andarmene; importante è essere, aver vissuto durante la mia esistenza”.

Probabilmente per questo il Club Méditerranée ha influentissimi padrini. Nel 1957 l’impresa di Trigano rischiò il fallimento; per salvarla, si mobilitò un alto settore della finanza internazionale. Intervennero a sostenere finanziariamente l’Omino di Burro il banchiere Edmond de Rothschild (che nel 1974 avrebbe ospitato una sessione del Bilderberg nel suo sfarzoso Hotel Mont d’Arbois a Megève), il banchiere Alain de Gunzburg, il potentissimo Crédit Lyonnais, e l’Ifi, la finanziaria della famiglia Agnelli: tutti nomi e sigle rappresentati nella Commissione Trilaterale, dove appunto si progettano instancabilmente ingegnerie sociali nella convinzione che gli uomini e le società stesse non siano che epifenomeni del processo economico. Questi potentati finanziari, salvando il mercante-filosofo Trigano, hanno assicurato la prosecuzione di un esperimento sociale dal loro punto di vista di grande interesse. Per ora, limitato al tempo libero. Un giorno chissà.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.