Autore Topic: Le donne italiane hanno la paga più "maschile"  (Letto 1361 volte)

0 Utenti e 1 Visitatore stanno visualizzando questo topic.

Online Cassiodoro

  • WikiQM
  • Affezionato
  • ***
  • Post: 1272
  • Sesso: Maschio
Le donne italiane hanno la paga più "maschile"
« il: Marzo 08, 2010, 13:22:31 pm »
Al primo posto in Europa
nella "parità" dei salari
MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
La sorpresa è nel confronto. Se si osserva il salario orario lordo medio di un italiano, e lo si paragona con quello di una connazionale, si scopre che da noi le donne hanno la busta paga più «maschia» d’Europa. Non te lo aspetti in un Paese che gli stereotipi amano dipingere sessista e macho. Invece il risultato batte i luoghi comuni, signore e signorine guadagnano appena il 4,9 per cento in meno. Soprattutto, sono più vicine delle colleghe del continente dove, sempre nella media, il divario retributivo è del 18%. Un numero che, secondo la Commissione Ue, segnala un problema «intollerabile e difficile da sradicare». In molti Stati più che in Italia dove, per una volta, non siamo lontani dall’equilibrio virtuoso.

Sospiro di sollievo che non azzera i problemi. Ce ne sono a livello europeo per quanto riguarda la remunerazione del lavoro e la parità di genere, e a quello nazionale per un «gentil sesso» in recupero, ma ancora in ritardo rispetto al resto dell’Ue, per accesso all'occupazione o al semplice uso delle tecnologie informatiche. La Commissione spiega in parte il primato italiano col peso più basso di «lavoro rosa» sul totale: «Quelle che hanno un impiego - si nota - sono le più preparate».

È dunque una vittoria a metà in una gara in cui sono pochi a uscire col sorriso. «Sono molto preoccupata per il fatto che il divario salariale fra uomini e donne sia diminuito di poco negli ultimi 15 anni e in alcuni paesi sia addirittura in aumento», accusa Viviane Reding, responsabile Ue per la Giustizia. Consola che l’80% dei cittadini giura di essere favorevole a colmare il divario salariale. Consola, sebbene il 20% di contrari sia ancora un dato troppo grosso.

Il guaio è che i primi della classe non vanno bene. In Germania un uomo guadagna in media il 23% più di una donna, nel Regno Unito la differenza è del 21,4% e in Francia si va appena meglio (19,4%). La circostanza che Malta, Spagna, e Portogallo siano sotto la valore di riferimento Ue fa riflettere su quanto si racconta sul ruolo del maschio nel Mezzogiorno dell'Unione, ma anche sulla partecipazione al mercato del lavoro. Nelle economie del Nord, la scusa è che il part time più diffuso alleggerisce i cedolini. Vero.

I numeri di contorno chiariscono il quadro. In Europa, il calcolo della media rivela che ha un lavoro il 71% degli uomini e il 58,7 delle donne. In Italia i due numeri diventano il 68,9% e il 46,1, come dire che appena una signora su due è occupata; peggio si classificano solo le maltesi (37,9% per le donne). Un problema di ambiente e di attitudine? Il dubbio lo solletica il dato sulle italiane che usano l'e-mail (il 34% del totale); sono la metà di olandesi e inglesi. Quelle che gestiscono un conto corrente online (12%), arrivano a un terzo delle tedesche e un sesto delle estoni. Qui, per la verità, stanno male anche gli uomini.

Bruxelles sottolinea che di questi tempi «il divario salariale tra i sessi è un costo che non ci si può permettere». L’eliminazione di ogni disparità di genere, secondo uno studio del governo svedese, potrebbe «condurre a un incremento potenziale del Pil fra il 15% e il 45%». Senza contare che il fenomeno potrebbe trasformarsi in piaga sociale: il 22% delle donne di oltre 65 anni rischia la povertà, contro il 16% degli uomini. Chiaro che bisogna agire. In due, e alla pari, si fa meglio che da soli.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/societa/201003articoli/52923girata.asp

Non e' che negli altri Paesi Europei le paghe sono anche in base al merito ed alle capacita' e non totalmente livellate (in basso) come in Italia?
"Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante" - "Ah sì? E cosa ha capito?" - "Che vola solo chi osa farlo"

Offline Cancellato

  • Affezionato
  • **
  • Post: 980
Re: Le donne italiane hanno la paga più "maschile"
« Risposta #1 il: Marzo 08, 2010, 15:25:08 pm »
Ecco .. appunto.

Lavorano meno tempo, con mansioni meno rischiose e pesanti ed hanno un gap in negativo che sfiora appena il 5%; ma che non si lamentino queste viziate !!!

Offline Warlordmaniac

  • WikiQM
  • Veterano
  • ***
  • Post: 4250
  • Sesso: Maschio
Re: Le donne italiane hanno la paga più "maschile"
« Risposta #2 il: Marzo 15, 2010, 11:02:10 am »
Uno studio dell’Osservatorio sulla gestione della diversità dell’Università Bocconi
Stipendi, è parità tra uomini e donne
Se qualifica e anzianità sono le stesse, la differenza è del 2% Ma ai livelli più alti la presenza femminile è bassa


Contrordine, le donne non so­no meno pagate degli uomi­ni. Guadagnano un po’ me­no — un pizzico, uno zic, un qb — ma le discriminazioni vere sono un’altra cosa. Perché alla fine il ta­glio alle buste paga rosa si ferma al 2%. Soldi veri, è chiaro. Che potreb­bero comprare un rossetto, un pan­nolino, un cinema in più. Ma pur sempre una penalizzazione più con­tenuta rispetto al meno 7% stimato dall’Istat nel 2007, al meno 17% va­lutato da Unioncamere nel 2008, al taglio dell’8,75% annunciato dal­­l’Isfol nel 2009 o al meno 16% accer­tato, sempre quest’anno, dall’Euri­spes.

Quadri rosa più penalizzati

La stima del meno 2% è dell’osser­vatorio sulla Gestione della diversi­tà dell’università Bocconi in colla­borazione con Hay group. Lo studio completo sarà presentato martedì prossimo a Milano. «La novità è che non ci siamo fermati a valutare la differenza tra lo stipendio medio delle donne e degli uomini ma sia­mo andati a vedere quanto guada­gnano esattamente un uomo e una donna a parità di qualifica, mansio­ne, inquadramento, anzianità di ser­vizio », racconta Simona Cuomo, co­ordinatrice dell’Osservatorio. Ecco il risultato: le impiegate portano a casa, in media, l’1,9% in meno, i quadri rosa -3,6%, le dirigenti -3%. Il 2% è una media pesata tra tutte le categorie (tantissime le impiegate, una minoranza le dirigenti).

Segregazione strisciante

I discorsi sulle retribuzioni delle donne potrebbero finire qui. Con un semplice «il problema non esi­ste ». «È vero, la nostra indagine ri­dimensiona la questione del diva­rio retributivo legato al sesso. Ma nello stesso tempo mette il dito su un altro problema. Il Problema, di­rei — puntualizza Cuomo —. Le donne sono inserite nel mercato del lavoro a livelli bassi. Sono sol­tanto il 13% dei dirigenti, per capir­ci. E poi si trovano nelle funzioni meno pagate, l’amministrazione per esempio». La prova? «Viene an­cora dalle buste paga — risponde la ricercatrice —. Se si prende il mon­te delle retribuzioni femminili lor­de (compresa la parte variabile) e lo si divide per il numero delle lavora­trici, si scopre che, in media, gli sti­pendi delle donne sono più bassi del 25,2%. E questo proprio perché le signore sono tutte concentrate nelle posizioni meno pagate». Cuomo e i suoi collaboratori so­no anche convinti che non ci si pos­sa affidare alla naturale evoluzione del mercato del lavoro nella speran­za che le cose si sistemino da sole: «Il problema esiste anche nei Paesi europei in cui la presenza delle don­ne sul lavoro è molto maggiore del­la nostra. Segno che siamo di fronte a una questione che va governata con politiche ad hoc».

Crisi al maschile?

Ora a sparigliare le carte potreb­be pensarci la crisi globale. La tem­pesta perfetta che ha investito i mer­cati secondo alcuni segnali prove­nienti dagli Stati Uniti già da inizio anno ha favorito le donne. Negli Usa i tassi di disoccupazione ma­schili sono cresciuti di qualche deci­male in più rispetto a quelli femmi­nili. In Italia l’ultima rilevazione Istat sulla forza di lavoro va nella stessa direzione: i più colpiti dalla recessione sarebbero i maschi capi­famiglia. Anche perché in difficoltà sono soprattutto alcuni settori tradi­zionalmente maschili come le co­struzioni e il manifatturiero. «Senza contare che con la crisi le aziende dovranno valorizzare le loro risorse migliori puntando sul merito. Un criterio che premierà anche molte donne», interviene Arnaldo Camuf­fo, docente di Organizzazione azien­dale in Bocconi.

Meritocrazia cercasi

Ma queste prime evidenze non convincono tutti. «I conti sull’im­patto di genere andranno fatti alla fine della crisi — frena Susanna Ca­musso, della segreteria Cgil —. Per cominciare bisogna tenere conto che in questi mesi i primi a perdere il posto sono stati i lavoratori con contratti precari. E una grossa fetta di questi sono donne. Poi la crisi sta raggiungendo anche i servizi dove l’occupazione femminile è maggio­re. Penso alle imprese di pulizie, per esempio. Per finire, temo che, dovendo scegliere chi tenere e chi mandare a casa, le imprese privilegi­no gli uomini nella convinzione che la loro disponibilità sarà mag­giore ». Pessimista anche Marisa Monte­giove, responsabile del gruppo Don­na manager di Manageritalia, l’asso­ciazione che rappresenta i dirigenti dei servizi (per il 18% donne). «Ma­gari la crisi spingesse le aziende a premiare il merito, le signore non chiederebbero altro. Per ora l’im­pressione è che si stia sparando a ze­ro su tutto. Spero di sbagliarmi, ma le imprese tagliano e riorganizzano il più possibile senza discrimine», allarga le braccia la dirigente. «Per di più alcuni pregiudizi sembrano rinvigoriti — continua Montegiove —. Basti pensare che per le donne imprenditrici e dirigenti accedere al credito è più difficile. Evidentemen­te le banche le considerano meno credibili. E il tutto nonostante nu­merosi studi dimostrino come la presenza femminile nei consigli di amministrazione aumenti l’affidabi­lità dei conti delle imprese».

Cassa in rosa

Nei prossimi mesi i dati sull’occu­pazione offriranno nuovi elementi di valutazione in materia di impat­to di genere della crisi. Intanto alcu­ne osservazioni sono offerte dai di­versi settori produttivi. «Le donne hanno grandi capacità e competen­ze ma spesso nelle nostre aziende sono penalizzate dalla congiuntu­ra », avverte Paolo Galassi, presiden­te di Confapi, Confederazione nazio­nale delle piccole e medie imprese. «I problemi sono due — continua Galassi —. Il primo: le donne sono concentrate in funzioni impiegati­zie più intercambiabili e più facili da ridimensionare rispetto alla pro­duzione. Il secondo: le donne sono più disponibili alla cassa integrazio­ne. Perché perdono una parte delle loro entrate ma nello stesso tempo risparmiano a casa su colf e baby sit­ter ». «Nel commercio, un settore ad al­ta partecipazione femminile (le donne sono poco meno del 50%, ndr), la crisi colpisce senza fare dif­ferenze di genere», assicura France­sco Rivolta, presidente dell’Osser­vatorio sul mercato del lavoro di Confcommercio. Certo in difficoltà sono soprattutto le piccole attività. Circa 40 mila piccole imprese del commercio hanno chiuso nell’ulti­mo anno. E la gran parte della forza lavoro dei piccoli è proprio femmi­nile. La crisi Negli Stati Uniti come in Italia i più colpiti dalla disoccupazione sembrano essere i maschi Le piccole imprese Sono le aziende dove le donne sono più penalizzate dalle difficoltà occupazionali

Rita Querzè
19 giugno 2009

Offline Rosa-92

  • Affezionato
  • **
  • Post: 141
  • Sesso: Femmina
Re: Le donne italiane hanno la paga più "maschile"
« Risposta #3 il: Settembre 09, 2010, 11:55:41 am »
Ma le donne sono quasi tutte nel settore impiegatizio che è un costo esorbitante. Nella produzione ce ne sono poche e anche queste poche costano molto di più degli uomini dato che rendono molto meno a parità di stipendio.
Questo femminismo rasenta perfino la stupidità. Basta una calcolatrice da scuola elementare per capire..