Poteva il cavaliere bianco senza macchia e senza paura che difende diritti femminili che risponde al nome di Massimo Gramellini esimersi dal commentare la squallida vicenda di quella donna, Gisele Pelicot, drogata dal marito e fatta prostituire contro la sua volontà e violentata da 50 uomini (azione criminale e meritevole di severissima condanna, sia chiaro!). No, non poteva esimersi, doveva dire qualcosa. E questo qualcosa era sicuramente una messa in stato di accusa contro il genere maschile, visto che l'occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Così ha fatto: ricorrendo a reminiscenze mitologiche classiche, ha ricordato l'anello di Gige: conferiva l'invisibilità a chi lo portava come simbolo dell'impunità dei violentatori che contavano sul fatto di non poter essere scoperti mentre infierivano sulla poveretta. E fin qui, passi. Anche se non si capisce bene cosa c'entri l'anello di Gige con l'azione di drogare la moglie e farla violentare, a pagamento, da altri uomini! Ma poi è passato subito alla flagellazione del genere maschile e all'autoflagellazione: " Ma noi uomini siamo tutti così?". Ma il peggio deve venire: " Ma cosa ci trattiene noi uomini dal fare quello che hanno fatto quei 50 violentatori? E' soltanto la paura del castigo e la vergogna del giudizio altrui?". "Voglio sperare - conclude il nostro giuggiolone - che "i tizi di Avignone" facciano parte di una esile minoranza...". No, caro il mio Gramellini, io NON SPERO, come te. Al contrario di te ne sono certo. Come sono certo che non mi piego sotto il peso della vergogna per delle colpe che non sono mie e che non mi spettano. Perchè non parli anche degli uomini che hanno salvato la "speleologa", simpaticone?