Autore Topic: Tramonto occidentale: bestiario sulla (ex) civiltà dell'apparenza  (Letto 133 volte)

KasparHauser, Cassiodoro e 49 Visitatori stanno visualizzando questo topic.

Offline Vicus

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Lei era fashion designer (l'apparenza dell'apparenza). Malgrado provenisse da una storia (con figlio) con un produttore di successo e vincente, si era sposata un algerino senza evidenti qualità (ma forse aveva una grande "energia maschile", o almeno così pensava lei). Lui era un Fantozzi della "finanza", anche se un tempo faceva il tassista nella banlieue parigina.
E' evidente che il produttore di successo, da scaltro leader qual era, l'aveva scaricata.
La coppia viveva a Wimbledon, un quartiere di Londra per leader, noto per le partite di tennis sui prati. Immancabilmente aveva il barbecue ma non anticipiamo.
Un bel giorno una ragazza francese di modeste condizioni e grande bontà (credo che anche per questo sia finita sulla graticola) decide di andare a Londra come ragazza alla pari.
Quanto segue soprenderà soltanto chi non ha mai lavorato alla "pari" a Londra: la privano del cibo ("non succede sempre" dirà qualcuno: infatti gli altri ti offrono il tè al posto del pranzo), la tengono reclusa (altra pratica non lontana da quella delle altre famiglie), la torturano perfino, come a Gu4ntanamo: non manca neppure il waterboarding.
Alla fine, per motivi non ben chiariti, la famiglia perfetta e vincente la cucina sul barbecue. Però vivevano a Wimbledon direbbe Ionesco, lei era fashion designer (questo conta) e aveva anche il marito musulmano con l'"energia".
Una domanda: questa assurda violenza era venuta dal nulla o non era altro che il prodotto, presente anche altrove in forme meno esasperate, dello stile di vita basato sull'apparenza?
Qui il video sulla vicenda, non così incredibile per chi ha fatto lo schiavo lavorato alla "pari":

« Ultima modifica: Ieri alle 13:31:52 da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Online Frank

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Una domanda: questa assurda violenza era venuta dal nulla o non era altro che il prodotto, presente anche altrove in forme meno esasperate, dello stile di vita basato sull'apparenza?

No, questa assurda violenza (al pari di tante altre) ha semplicemente origine dalla malvagità umana.
Riguarda alle due merde in questione - principalmente lei - avrei proprio voluto vedere cosa avrebbero fatto se invece di una ragazza "alla pari", fosse entrato in quella casa un ragazzo "alla pari" di nome "Frank"...
Certo, avrebbero potuto accoltellarmi o spararmi, oppure prendermi a martellate in testa mentre dormivo; ma a parte queste ipotesi, avrei proprio voluta vederla la tipa che cerca di sequestrarmi i documenti e poi di picchiarmi, chiamando poi in suo soccorso quell'altro coglione del "compagno"...
Te lo dico io il risultato: lui con la faccia rotta e le braccia spezzate; lei direttamente sulla sedia a rotelle, a causa delle spina dorsale  frantumata dal sottoscritto, unita ad altre fratture di vario genere.

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Calcola che io son stato a lungo un fautore della pena di morte, indipendentemente dal sesso, dall'etnia, dal credo religioso e dall'orientamento sessuale.
Oggi e ormai da anni non sono più favorevole alla summenzionata pena di morte (per ragioni che ora non mi va di spiegare), ma in casi estremi resto sempre un fautore della tortura (esempio: un terrorista che ha messo una bomba in un centro commerciale e non vuole dire dove ha posizionato l'ordigno) e a livello personale dell'antica legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente.

Offline Vicus

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Sicuramente è la malvagità umana, ma una volta c'erano al massimo i briganti di passo, non famiglie dissociate che cucinavano gli ospiti per futili motivi
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Vicus, un tempo era pure peggio.
La differenza sostanziale è che in passato non esistevano TV, internet, etc.
In merito questi sono un paio di commenti, di uno dei pionieri della QM, che sono andato a riesumare su Uomini 3000.

Citazione
Nata nel 1560, Erzsebet Bàthory era figlia di un militare aristocratico e sorella del re di Polonia in carica. La sua famiglia, infatti, era una delle più antiche casate nobiliari d'Ungheria: la sua insegna araldica portava l'emblema del drago, incorporato da re Sigismondo nell'Ordine del Dragone.
Il clan dei Bàthory comprendeva cavalieri e giudici, vescovi, cardinali e re, ma la casata era ormai decaduta dalla metà del XVI secolo: la nobile discendenza era stata guastata da incesti ed epilessia, i rami più recenti della famiglia annoveravano alcolizzati, sadici e assassini, omosessuali (considerati al tempo dei criminali) e satanisti. Nonostante fosse bellissima, Erzsebet era chiaramente il frutto di una genetica "corrotta" e di un'educazione perversa. Per tutta la vita soffrì di atroci emicranie ed era vittima di improvvisi svenimenti - probabilmente di natura epilettica - che i superstiziosi membri della famiglia ritenevano segnali di possessione demoniaca. Cresciuta nella dimora dei Bàthory ai piedi della cupa catena dei Carpazi, Erzsebet fin dall'adolescenza fu introdotta al culto del demonio da uno zio seguace di Satana.
La zia preferita, una delle più note lesbiche d'Ungheria, insegnò a Erzsebet i piaceri della flagellazione e altre perversioni, ma la giovane Erzsebet aveva sempre creduto che fosse meglio infliggere il dolore, piuttosto che provarlo.
Quando Erzsebet aveva solo 11 anni, i genitori decisero il suo futuro matrimonio con il conte Ferencz Nadasdy, un aristocratico guerriero. Le nozze furono rinviate fino al momento in cui Erzesebet compì 15 anni e furono celebrate solennemente il 5 maggio 1575.
La sposa conservò il proprio cognome, a significare che la sua famiglia era di rango superiore ai Nadasdy.
I novelli sposi si stabilirono al castello di Csejthe, nella zona nordoccidentale dell'Ungheria, ma il conte Nadasdy disponeva anche di altri palazzi in varie parti del Paese, ciascuno provvisto di una prigione sotterranea e di una sala di tortura, appositamente concepita per soddisfare le "esigenze" di Erzsebet.
Nadasdy si assentava spesso, ogni volta per settimane o mesi, lasciando la sua sposa "sola e annoiata" in cerca di "svaghi".
Erzsebet si dilettava d'alchimia, soddisfava i suoi capricci sessuali con uomini e donne senza distinzione, cambiava abiti e gioielli cinque o sei volte al giorno, rimirava se stessa per ore in specchi a figura intera.
Ma soprattutto, quando era arrabbiata, nervosa o semplicemente annoiata, la contessa torturava le domestiche per divertimento.
Nei primi anni di matrimonio una delle maggiori fonti di irritazione per Erzsebet era sua suocera.
Impaziente di avere dei nipoti, la madre di Nadasdy tormentava incessantemente Erzsebet per la sua incapacità di concepire.
Erzsebet avrebbe poi avuto "finalmente" dei figli dopo dieci anni di matrimonio, ma non provava alcun istinto materno allora, poco più che ventenne.
Le giovani donne del suo personale di servizio arrivarono ben presto a temere le visite della madre di Nadasdy, sapendo che alla partenza della vecchia signora avrebbe fatto inevitabilmente seguito un'altra serie di brutali violenze.
In materia di torture la contessa bisessuale possedeva una feroce immaginazione.
Alcune delle sue diavolerie erano state apprese fin dall'infanzia, altre provenivano dall'esperienza che Nadasdy aveva acquisito durante le guerre contro i Turchi, ma Erzsebet aveva anche inventato delle tecniche personali.
Aghi e spilli erano tipici ferri del mestiere: con essi forava le labbra e i capezzoli delle vittime, a volte infilava loro degli aghi sotto le unghie.
"Piccola sgualdrina!", sogghignava mentre la sua prigioniera si contorceva per il dolore.
"Se fanno male, non deve far altro che levarseli".
A Erzsebet piaceva anche mordere le sue vittime sulle guance, sui seni, ovunque, cavando loro il sangue con i denti. Altre venivano spogliate, ricoperte di miele ed esposte all'assalto di formiche e api.
Il conte Nadasdy, a quanto si sa, si univa a Erzsebet in alcune delle sedute di tortura, ma con gli anni arrivò ad aver paura della moglie, trascorrendo sempre più tempo in viaggio o nelle braccia della sua amante.
Quando alla fine il marito morì nel 1600 o 1604 (le fonti variano), Erzsebet perse ogni ritegno, dedicandosi a tempo pieno al tormento e all'umiliazione sessuale di giovani donne.
In breve ampliò il proprio orizzonte, dal personale di servizio alle fanciulle sconosciute.
Domestici fidati perlustravano la campagna alla ricerca di nuove prede, attirando le giovani contadine con l'offerta di un lavoro, ricorrendo alla droga o alla forza brutale, mentre si diffondevano voci allarmanti che assottigliavano le fila delle reclute volontarie.
Nessuna delle persone che andò a servizio da Erzsebet ne uscì mai viva, ma i contadini dell'epoca avevano ben pochi diritti e una nobildonna non veniva biasimata dai suoi pari se a casa esagerava con la "disciplina"..
Poco più che quarantenne, Erzsebet Bàthory presiedette un olocauso in miniatura di sua invenzione.
Con la complicità dell'anziana balia, Ilona Joo e della mezzana Doratta Szentes - alias "Dorka" - Erzsebet imperversò per le campagne, esigendo tra i contadini vittime a volontà.
Essa portava con sé speciali pinze d'argento, concepite per strappare la carne, ma era altresì a suo agio con aghi e spilli, ferri per la marchiatura e attizzatoi roventi, fruste e forbici...di tutto un po'.
Alcuni complici nella famiglia delle vittime le spogliavano, tenendole ferme mentre Erzsebet riduceva loro i seni a brandelli o bruciava loro la vagina con la fiamma delle candele, a volte mordendo via grossi lembi di carne dal viso o dal corpo.
Una delle vittime fu costretta a cuocere e mangiare un pezzo del suo stesso corpo, mentre altre furono bagnate e lasciate a congelare nella neve.
A volte Erzsebet apriva loro la bocca con una tale forza da lacerarne le guance.
In altre circostanze, i servi si occupavano del lavoro sporco, mentre Erzsebet andava e veniva lì accanto gridando:"Di più! Di più! Ancora più forte!", fino a quando sopraffatta dall'eccitazione, crollava a terra priva di sensi.
Un "giocattolo" del tutto particolare di Erzsebet era una gabbia cilindrica, all'interno della quale erano state poste delle lunghe punte.
Una ragazza nuda veniva costretta a entrarvi, per essere poi sollevata a diversi metri da terra per mezzo di una puleggia.
Erzsebet o uno dei suoi servitori, girava intorno alla gabbia con un attizzatoio rovente che spingeva contro la ragazza, costretta così, per sfuggirvi, a finire contro i ferri appuntiti.
Sia nel ruolo di spettatrice che in quello di esecutrice, Erzsebet era sempre "brava" a fornire il suo commento in diretta, con "suggerimenti e battute" disgustose, che con il trascorrere della notte diventavano crude oscenità e incoerente balbettìo.
Liberarsi dei corpi senza vita delle vittime era una faccenda relativamente semplice nel Medioevo.
Alcuni venivano sepolti, altri erano lasciati in giro per il castello a decomporsi, mentre certi venivano gettati all'esterno in pasto ai lupi e agli altri predatori della zona.
Se ogni tanto veniva ritrovato un cadavere smembrato, la contessa non doveva temere alcuna incriminazione.
In quel luogo e a quel tempo, il sangue reale costituiva una protezione assoluta.
A questo contribuiva la circostanza che uno dei cugini di Erzsebet era il primo ministro d'Ungheria e che un altro cugino rivestiva la carica di governatore della provincia nella quale essa viveva.
Nel 1609, alla fine, Erzsebet andò troppo oltre, passando dalle sventurate contadine alle figliole dei nobili di rango inferiore e aprì le porte del castello di Csejthe per offrire a 25 fanciulle selezionate "istruzione nel contegno da tenere in società".
Questa volta, quando nessuna delle sue vittime sopravvisse, le lamentele giunsero alle orecchie di re Matthias, il cui padre era stato presente alle nozze di Erzsebet.
Il re, a sua volta, assegnò al conte Gyorgy Thurzo, il più vicino al castello di Erzsebet, il compito di indagare.
Il 26 dicembre 1610, Thurzo organizzò un'incursione a tarda notte al castello di Csejthe e sorprese la contessa in flagrante, nel bel mezzo di una seduta orgiastica di torture.
Una mezza dozzina di complici di Erzsebet furono arrestati per essere poi giudicati; la contessa fu costretta agli arresti nella sua dimora, mentre il parlamento emetteva una speciale legge che la privava dell'immunità da procedimenti giudiziari.
Il processo si aprì nel gennaio del 1611 e durò fino a febbraio inoltrato, con il Primo Giudice Theodosius Syrmiensis a presiedere un gruppo di venti giuristi minori.
Dinanzi alla corte furono dichiarati ottanta capi d'accusa per omicidio, sebbene la maggior parte dei resoconti storici collochi il conto finale delle vittime di Erzsebet tra 300 e 650.
La stessa Erzsebet fu dispensata dal presenziare al processo e venne tenuta rinchiusa nel suo appartamento sotto stretta sorveglianza, ma la condanna per tutti i capi di imputazione era una conclusione scontata. Il tempo della contessa sanguinaria era finito.
I domestici complici di Erzsebet furono giustiziati, Dorka e Ilona dopo essere state pubblicamente torturate, ma la contessa venne risparmiata e condannata alla prigione a vita in una piccola suite del castello di Csejthe. Le porte e le finestre del suo appartamento furono murate, lasciando solo delle piccole aperture per la ventilazione e per il passaggio dei vassoi con le vivande.
Là visse in isolamento per tre anni e mezzo, fino a quando fu trovata morta il 21 agosto 1614.
Non si conosce la data esatta della morte di Erzsebet, dato che molti vassoi erano rimasti intatti prima che fosse trovato il suo corpo.
La "leggenda" [...] della Bàthory è andata crescendo racconto dopo racconto, fino alle narrazioni più recenti che comprendono storie di vampirismo e di bagni rituali nel sangue, ritenuti da Erzsebet un aiuto per "restare giovane".
Il culto sanguinario di Erzsebet è in genere collegato al sangue versato da una giovane domestica sconosciuta, schizzato per caso sulla contessa, in seguito colpita dal fatto che la sua pelle sembrasse ancora più pallida e diafana del solito, una caratteristica considerata all'epoca segno di grande bellezza.
In realtà, durante le ampie deposizioni rese al processo di Erzsebet non si fece alcun accenno a veri e propri bagni di sangue.
Alcune delle vittime rimasero dissanguate per le brutali ferite inferte o per un piano particolare, ma il dissanguamento intenzionale era legato alla pratica alchemica di Erzsebet e alla magia nera, piuttosto che all'idea di un "bagno caldo".
In ogni caso, la carneficina di Erzsebet cominciò quando era sulla ventina, molto prima che la paura di invecchiare potesse farsi strada nella sua mente.



Citazione
Di Giulia Fazekas si sa poco prima del 1911, quando comparve improvvisamente nel villaggio ungherese di Nagyrev, situato a un centinaio di chilometri a sud-est di Budapest sul fiume Tisza.
Era una femmina di mezz'età, vedova, a quanto da lei riferito, anche se nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo a suo marito. Tra il 1911 e il 1921, l'ostetrica Fazekas era stata arrestata dieci volte per aver praticato aborti illegali, ma giudici comprensivi [...] l'avevano ogni volta assolta.
Nel frattempo, a quanto pare senza destar sospetti, aveva dato inizio a una delle "sagre" più micidiali d'Europa.
L'ondata di delitti è da far risalire alla prima guerra mondiale, quando gli uomini idonei alle armi di Nagyrev furono arruolati per difendere l'impero austro-ungarico.
Al tempo stesso, il piccolo centro rurale di Nagyrev fu ritenuto luogo ideale per l'allestimento dei campi nei quali rinchiudere i prigionieri di guerra alleati, circostanza questa che scatenò le più sfrenate fantasie di femmine che erano state improvvisamente private della presenza degli uomini.
Molto probabilmente i prigionieri godevano, all'interno del villaggio, di una relativa libertà, per cui divenne presto motivo d'orgoglio per le mogli di Nagyrev, rimaste sole, vantare un amante straniero, se non tre o quattro.
Prevaleva dunque un'atmosfera di dilagante promiscuità e gli uomini, che poco alla volta tornavano a casa dalle zone dei combattimenti, trovavano le loro donne stranamente "emancipate", spesso inappagate con un solo uomo nel loro letto.
Dato che le mogli cominciarono a lamentarsi per la noia o per le violenze che subivano, l'ostetrica Fazekas offrì il suo aiuto fornendo loro arsenico, ottenuto facendo bollire la carta moschicida per poi separare il letale residuo. Nel 1914 Peter Hegedus fu la prima vittima accertata e altri mariti seguirono col tempo, prima che l'avvelenamento si trasformasse in mania, per cui l'elenco delle vittime arrivò a comprendere genitori, figli, zie, zii e vicini.
A metà degli anni Venti, Nagyrev si era guadagnato il soprannome di "distretto degli omicidi".
In questo periodo si calcola che circa 50 donne fecero uso dell'arsenico per sfrondare l'albero genealogico della loro famiglia.
Julia Fazekas era quanto di più vicino a un medico vi fosse nel villaggio e suo cugino era l'impiegato che archiviava tutti i certificati di morte, minando così ogni investigazione fin dall'inizio.
Il numero finale delle vittime è ancora sconosciuto, ma la maggior parte dei rapporti indica in 300 la cifra più verosimile di persone uccise in 15 anni di omicidi su larga scala.
Le "Fabbricanti di angeli" videro il loro mondo sgretolarsi nel luglio 1929, quando un maestro del coro del vicino villaggio di Tiszakurt accusò la signora Ladislaus Szabo di avergli servito del vino avvelenato.
Una lavanda gastrica gli salvò la vita e gli investigatori stavano ancora valutando l'accusa, quando un altro uomo si lamentò per essere stato avvelenato dalla sua "infermiera", la stessa signora Szabo.
Quest'ultima fu arrestata e nel tentativo di ottenere clemenza, denunciò un'amica, la signora Bukenoveski, come sua complice. La signora Bukenoveski, a sua volta, fu la prima a fare il nome di di Julia Fazekas.
Nel 1924, raccontò, la Fazekas aveva fornito l'arsenico utilizzato per uccidere la madre settantasettenne della Bukenoveski, che fu poi gettata nel Tisza per simulare un annegamento accidentale.
La Fazekas fu fermata per essere interrogata e negò tutto risolutamente.
Non disponendo di prove concrete, la polizia fu costratta a rilasciarla, ma si mise a sorvegliarla, seguendola in giro per Nagyrev mentre andava ad avvertire le sue clienti, che furono arrestate una per una.
Vennero incarcerate trentotto donne sospettate di omicidio e la polizia piombò a casa della Fazekas per prendere il (la...) capobanda.
Trovarono la donna morta per una dose della sua stessa medicina, circondata da recipienti pieni di carta moschicida a mollo nell'acqua.
Ventisei donne di Nagyrev sospettate furono sottoposte a giudizio a Szolnok, dove otto vennero condannate a morte, sette ebbero l'ergastolo e le altre ebbero pene minori.
Tra le condannate vi erano Susannah Olah, una sedicente "strega" che si vantava di addestrare dei serpenti velenosi ad attaccare le sue vittime a letto e faceva a gara con la Fazekas nel vendere "la polvere dell'eredità di zia Susi"; Lydia, sorella settantenne della Olah, che negò con decisione la sua colpevolezza, ma non riuscì a impressionare la giuria; Maria Kardos, che uccise suo marito, un amante e il figlio malaticcio di 23 anni, convincendo il giovane a cantarle una canzone sul letto di morte; Rosalie Sebestyen e Rose Hoyba, condannate per l'omicidio dei loro "noiosi" mariti; Lydia Csery, condannata per l'uccisione dei genitori; Maria Varga, che confessò di aver acquistato il veleno dalla Fazekas per uccidere suo marito, un eroe di guerra rimasto cieco, che si lamentava perché lei portava a casa gli amanti; Juliana Lipke, tra le cui sette vittime si trovavano la suocera, una zia, un fratello, una cognata e il marito, che avvelenò alla vigilia di Natale; infine Maria Szendi, una vera "paladina della liberazione delle donne", [...] che dichiarò alla corte di aver ucciso suo marito perché "riusciva sempre ad averla vinta. E' terribile come gli uomini abbiano tutto il potere". [...]

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https://www.ilgiornale.it/news/personaggi/vlad-l-impalatore-principe-valacchia-vampiro-bram-stoker-2234087.html

Citazione
Il legame tra il voivoda Vlad III Țepeș (ovvero “l’Impalatore”, 1431-1477) e il personaggio letterario Dracula è ormai inscindibile grazie allo scrittore irlandese Bram Stoker (1847-1912). L’autore è riuscito a dare forma concreta a una antica superstizione del centro Europa, rinnovando la figura del vampiro e superando i lavori precedenti sull’argomento, ovvero “Il Vampiro” (1819) di John William Polidori e Carmilla di LeFanu (1872). Tuttavia la vera storia dell’uomo che Stoker nascose tra le pagine del suo libro non è meno sinistra e cruda di quella narrata nel romanzo. In fondo Vlad III e Dracula si somigliano molto, perché sono due riflessi di puro male.

Ostaggi alla corte ottomana
Vlad III nacque, forse, a Sighișoara. Non vi è alcuna certezza in merito, così come nulla sappiamo su sua madre. Fu voivoda (principe) di Valacchia per tre volte, nel 1448, dal 1456 al 1462 e nel 1476, ovvero circa otto anni in tutto. Durante questo breve periodo di tempo, però, il principe sarebbe riuscito, secondo gli storici, a uccidere circa 100mila persone, molte delle quali tramite impalamento (da qui il triste soprannome di “Impalatore”). Il voivoda visse in un’epoca tormentata: l’impero ottomano, che si stava espandendo nella parte meridionale dell’Europa, trovava dei fieri oppositori nell’Ungheria e nei principati di Moldavia, Valacchia e Transilvania (quest’ultima all’epoca faceva parte del Regno d’Ungheria).

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Ma Vlad era un tiranno, non pretendeva di essere una sorridente famiglia di Wimbledon che usava il barbecue d'ordinanza per arrostire domestiche. Inoltre è ricordato proprio per essere un caso raro, mentre in UK (chissà perché lì) non è l'unica famiglia "benvoluta dalla comunità" a far sparire dozzine di domestici e baby sitter.
Poi in Italia ci sono gli infermieri satanisti che mettono il curaro nelle flebo (da non confondere col filone delle infermiere matte tipo Sonya C.), altra specialità tutta moderna
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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ma il dissanguamento intenzionale era legato alla pratica alchemica di Erzsebet e alla magia nera,
Appunto, ma non viviamo in un'epoca laica e illuminata?
Inoltre sono tutti casi dell'Europa dell'Est, già famosa per abusi sulla popolazione, di cui erano responsabili personaggi di potere e non erano fatti così comuni.
Ma in Europa Occidentale non si registravano casi del genere, sicuramente non nel numero che c'è oggi e non da parte di tiranni perversi, ma di cittadini comuni, integrati nella società e "benvoluti da tutti".
Inoltre partiamo dall'idea sbagliata che a commettere queste atrocità non siano mai alti funzionari, politici, mag. o appartenenti alle FFOO mentre in certi ambienti è la regola, vedi l'isola di Epstein riservata a tutti i politici dell'arco costituzionale, o a certi ristoranti amici di presidenti e politici vari che non vendevano pizze ma esseri umani per pratiche innominabili.
Per cui sorge ancora la domanda: come mai in un'epoca laika e demokratica la classe dirigente è così malvagia, e ha credenze da far impallidire gli aztechi, non solo uno o due ma praticamente tutti sono invischiati in cose simili
« Ultima modifica: Oggi alle 04:57:27 da Vicus »
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Vicus, ho citato semplicemente alcuni casi, poi che riguardino tizie (e tizi) dell'Europa dell'est non ha importanza, perché la natura umana è la stessa ovunque, in ogni tempo e in ogni luogo.

Certe atrocità fanno parte della storia della specie umana e, ripeto, in passato era pure peggio di oggi.

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Questa è sempre roba scritta vent'anni fa dai pionieri della QM.


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La storia della razza umana è la guerra. Tranne che per brevi e precari intermezzi non c'è mai stata la pace nel mondo; e la lotta omicida era universale e senza fine ben prima che la storia cominciasse.


Il giudizio di Wiston Churchill sulla nostra specie potrebbe essere liquidato come quello di un uomo che ha combattuto la guerra più terribile della storia e ha assistito all'inizio di una guerra fredda che avrebbe potuto portare alla fine dell'umanità. Ma, malauguratamente, esso ha retto alla prova del tempo. Se la guerra fredda è ormai un ricordo e i conflitti armati fra nazioni sono rari, continua a non esserci pace sul nostro pianeta. Anche prima dell'infausto 2001, che ha visto gli spaventosi attacchi agli Stati Uniti e la guerra in Afghanistan che ne è derivata, l'Elenco dei conflitti nel mondo catalogava sessantotto aree di violenza sistematica, da Albania e Algeria a Zambia e Zimbawe.
Anche l'osservazione di Churchill sulla preistoria ha trovato conferma. Un tempo si pensava che i moderni cacciatori-raccoglitori, che ci offrono un'immagine di quale era la vita nelle società preistoriche, combattessero solo battaglie cerimoniali, fermandosi al primo caduto.
Ora sappiamo che si uccidono l'un l'altro in una proporzione che fa apparire le nostre guerre mondiali quasi incruente. E le testimonianze dell'archeologia non sono più allegre. Sepolti nel terreno e nascosti in grotte, giacciono i muti testimoni di una preistoria sanguinosa risalente a centinaia di migliaia di anni fa: scheletri con segni di scotennamento e di colpi d'ascia o in cui sono ancora incastrate punte di frecce; armi come tomahawk e mazze inutili per la caccia, ma fatte apposta per uccidere altri uomini; fortificazioni di difesa come palizzate di pali appuntiti; e in molti continenti, pitture che mostrano uomini che attaccano altri uomini o ne vengono attaccati con frecce, lance o boomerang.
Per decenni gli "antropologi di pace" hanno negato che siano mai esistiti gruppi umani dediti al cannibalismo, ma le prove in contrario non hanno fatto che accumularsi e tra di esse ce n'è una incontrovertibile. In un sito del Sudovest statunitense, vecchio di 850 anni, gli archeologi hanno trovato ossa umane tagliate a pezzi come quelle degli animali che servivano da cibo, e inoltre tracce di mioglobina umana (una proteina dei muscoli) in frammenti di stoviglie e (prova schiacciante) in un escremento umano fossilizzato.

Anche gli appartenenti alla specie Homo antecessor, parenti dell'antenato comune ai Neanderthal e agli uomini moderni, si scagliavano l'uno contro l'altro e si massacravano, il che indica che violenza e cannibalismo risalgono ad almeno 800.000 anni fa.
Ma la guerra non è che uno dei modi in cui gli esseri umani si uccidono tra loro. In gran parte del mondo essa si stempera in violenze su scala minore, come scontri interetnici o fra bande rivali, faide e assassinii. Anche qui, malgrado innegabili passi avanti, non abbiamo nulla che assomigli alla pace.
Benché nelle società occidentali la percentuale di omicidi sia fra un decimo e un centesimo di quella che era dieci secoli fa, nel ventesimo secolo sono stati assassinati, nei soli Stati Uniti, un milione di persone e ogni americano ha l'1,5 per cento di possibilità di venire ucciso.
La riduzione della violenza su grande e piccola scala è uno dei nostri massimi assilli morali. Dovremmo usare ogni strumento culturale a nostra disposizione per capire che cosa, nella mente e nell'assetto sociale, ci porta a ferire e uccidere così tanto. Il problema, però, è che lo sforzo di comprendere come stanno le cose è stato fuorviato da quello di proclamare per legge la risposta "corretta".
Nel caso della violenza, la risposta corretta è che essa non ha nulla a che vedere con la natura umana, ma è una patologia la cui fonte è in elementi maligni esterni a noi.
E' un comportamento che ci viene insegnato dalla cultura, o una malattia contagiosa endemica in certi ambienti. Tale ipotesi è divenuta il dogma centrale di una fede laica, ripetutamente professato in pubbliche dichiarazioni come una preghiera quotidiana o un giuramento di fedeltà. Si ricordino la risoluzione proposta dall'Unesco da Ashley Montagu, secondo cui la biologia avalla "l'etica della fratellanza universale", e gli antropologi convinti che "non-violenza e pace sono state probabilmente la norma per la maggior parte della preistoria". Negli anni Ottanta molte organizzazioni operanti nel campo delle scienze sociali sottoscrissero il Seville Statement on Violence (1990), che definiva "scientificamente scorretto" affermare che gli esseri umani hanno un "cervello violento" o hanno subìto una selezione a favore della violenza. "La guerra non è un istinto, ma un'invenzione" scrisse Ortega y Gasset, fedele alla sua convinzione che l'uomo non ha natura, ma solo storia. Una recente Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne sentenziava che "la violenza è parte di un processo storico, non è naturale o frutto di determinismo biologico". E, negli Stati Uniti, una pubblicità del 1999 del National Collaborative on Violence Prevention dichiarava che "la violenza è un comportamento appreso".

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Nata nel 1892 a Montella, in provincia di Avellino, Leonarda Cianciulli (nota come "la saponificatrice di Correggio") ebbe un'infanzia difficile e quando si sposò restò incinta dodici volte, ma otto figli morirono.
La Cianciulli disse che i piccoli perirono in seguito al malocchio lanciatole dalla madre il giorno del suo matrimonio. A seguito del terremoto abbattutosi, nel 1939, in Irpinia, si trasferì con la famiglia in Emilia, a Correggio. In breve, dopo essersi separata dal marito (formalmente ma non legalmente) diede vita ad un fiorente commercio di abiti usati; inoltre era piuttosto nota come fattucchiera e aveva molti clienti, in particolare donne, intenzionate a conoscere il loro futuro, sia dal punto di vista sentimentale che da quello professionale. In sogno ebbe la "visione" della Madonna la quale la "invitò" ad uccidere una vittima per ogni figlio: in questo modo i ragazzi si sarebbero salvati dalla maledizione che pendeva su di loro.
Le vittime furono individuate in tre delle sue "clienti": Faustina Setti, Francesca Soavi e Virginia Cacioppo.
A tutte diceva di aver trovato, in altre città, un potenziale marito o un lavoro.
Le vittime vendevano i loro beni lasciandone la gestione per procura a Leonarda ma immediatamente dopo sparivano. In genere i corpi venivano sezionati, le parti più grandi fatte bollire con soda caustica e quindi buttati nel pozzo nero. Il sangue, mischiato a zucchero, margarina, farina e cioccolato, serviva per realizzare torte e pasticcini che erano offerti alle amiche.
Secondo numerosi testimoni i dolci erano di notevole qualità! Altre parti erano utilizzate per produrre sapone. Quando venne arrestata, in seguito all'indagine avviata dopo la denuncia della parente di una delle donne scomparse, la Cianciulli si dimostrò quasi sempre consapevole dei propri crimini e non pentita di aver tolto la vita a tre innocenti.
Fu però scandalizzata dalle accuse che la indicavano come un'assassina mossa dal solo interesse.
Disse che gli omicidi si erano resi necessari per salvare i figli.
Il tribunale la ritenne inferma di mente e la condannò al carcere e all'OPG dove morì, il 15 ottobre 1970, all'età di 78


Citazione
Nata nel 1875 in un piccolo villaggio di pescatori della Francia settentrionale, Jeanne Weber se ne andò da casa diretta a Parigi all'età di 14 anni, facendo umili lavori fino al matrimonio nel 1893.
Suo marito era un alcolizzato e nel 1905, dopo la morte recente di due dei loro tre figli, anche Jeanne cominciò a bere molto e si trasferì in un misero caseggiato popolare di Parigi con il marito e il figlio di sette anni. Il 2 marzo 1905 la Weber stava facendo la baby sitter per sua cognata quando una delle due figlie della donna, la piccola Georgette di 18 mesi, improvvisamente "si ammalò" e morì.
Alcuni strani lividi sul collo furono ignorati dai medici che la visitarono e Jeanne fu di nuovo chiamata l'11 marzo. Suzanne di 2 anni non sopravvisse alla sua visita ma il dottore attribuì la causa della seconda morte a inspiegabili "convulsioni". Il 25 marzo la Weber stava occupandosi dei bambini del fratello quando una nipote, Germaine di 7 anni fu colta da un improvviso attacco di "soffocamento", con la comparsa di segni rossi sulla gola. La bambina sopravvisse all'episodio ma fu meno fortunata il giorno dopo quando tornò zia Jeanne. La difterite fu indicata come causa della sua morte e di quella del figlio della Weber, Marcel, appena quattro giorni dopo. Ancora una volta i segni evidenti di strangolamento furono ignorati.
Il 5 aprile 1905 la Weber invitò a pranzo due sue cognate, restando a casa con il nipote Maurice di 10 anni mentre le altre donne uscivano a fare spese. Tornarono prima del previsto e trovarono Maurice rantolante sul letto, con la gola chiazzata dai lividi e Jeanne in piedi accanto a lui con un'espressione da folle sul viso.
Formalmente imputata, il processo alla Weber cominciò il 29 gennaio 1906, con la dichiarazione da parte della pubblica accusa di otto omicidi (tra cui quelli dei tre bambini della Weber e di altri due bambini - Lucie Aleandre e Marcel Poyatos - deceduti mentre erano affidati a lei).
La Weber fu accusata di aver ucciso il figlio a marzo per allontanare i sospetti, ma i giurati respingevano la terribile ipotesi di fronte a una madre addolorata, e la Weber fu prosciolta il 6 febbraio.
Quattordici mesi dopo, il 7 aprile 1907, un medico di Villedieu fu chiamato a casa di un contadino di nome Bavouzet. Egli fu accolto da una baby sitter, una certa Madame Moulinet, che lo condusse al lettino dove Auguste Bavouzet di nove anni giaceva morto, con la gola piena di lividi.
Causa della morte:"convulsioni". Ma il dottore cambiò la sua diagnosi il 4 maggio quando si scoprì che Madame Moulinet era Jeanne Weber. Trattenuta in carcere per essere processata, la Weber fu liberata in dicembre dopo che una seconda autopsia attribuì la morte del ragazzo alla febbre tifoidea.
La Weber sparì rapidamente, per ricomparire poi come inserviente all'ospedale dei bambini di Faucombault, e spostarsi poi da lì in un istituto per l'infanzia abbandonata di Orgeville, gestito da amici che cercavano di "compensare i torti che la giustizia aveva inflitto a una donna innocente".
Prestando servizio come Marie Lemoine, la Weber lavorava da meno di una settimana quando fu sorpresa nell'istituto a strangolare un bambino.
Imbarazzati dalla loro stessa ingenuità i proprietari la licenziarono in fretta e l'"incidente" fu tenuto nascosto.
Tornata a Parigi, la Weber fu arrestata per vagabondaggio e rinchiusa per qualche tempo nel manicomio di Nantere, ma i dottori la dichiararono sana di mente e la fecero uscire.
Jeanne si diede alla prostituzione, prendendosi nel frattempo un amante con il quale l'8 maggio andò a vivere in una pensione di Commercy.
Poco tempo dopo Jeanne fu scoperta mentre strangolava il figlio dell'albergatore, Marcel Poirot di 10 anni, con un fazzoletto insanguinato. Il padre della vittima dovette colpirla a pugni in faccia per ben tre volte con tutta la sua forza, prima che si decidesse a lasciare la presa del corpo senza vita.
Fermata in attesa di processo per nuove accuse di omicidio, la Weber fu giudicata inferma di mente il 25 ottobre 1908, e internata in un manicomio di Mareville.
Ritenuta responsabile di almeno dieci omicidi, "L'Ogresse de la Goutte d'Or" sopravvisse due anni in cattività, prima di strangolare se stessa nel 1910.

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Killer di professione, vissuta a Roma nel primo secolo d.C., Locusta (o Lucusta, in alcuni documenti) sembra proprio avere l'"onore" di essere stata la prima assassina, di cui si ha notizia, ad aver praticato l'omicidio in serie.
Nel 54 d.C. essa fu assoldata da Agrippina, madre di Nerone, per preparare i funghi avvelenati che uccisero il marito di Agrippina, l'imperatore Claudio.
In seguito a questo episodio Nerone ascese al trono e quando Locusta nel 55 d.C. fu accusata di aver avvelenato un'altra vittima, l'imperatore riconoscente inviò un tribuno della guardia pretoriana a salvarla dall'esecuzione.
In cambio di quel favore, Locusta ricevette l'ordine di avvelenare Britannico, figlio di Claudio e legittimo erede al trono, che aveva definito Nerone un usurpatore.
Il primo tentativo di Locusta di uccidere Britannico andò a vuoto, ma la seconda dose di veleno ebbe effetto e le fece guadagnare l'immunità da procedimenti giudiziari, fintanto che Nerone fosse stato in vita.
Il suicidio di quest'ultimo nel giugno del 68 d.C. lasciò Locusta alla mercé dei suoi nemici e mentre la donna sopravvisse a Nerone per sette mesi, il suo destino era ormai segnato.
Condannata dall'imperatore Galba, per breve tempo successore di Nerone, andò incontro a una terribile fine nel gennaio del 69 d.C.
Come descritto da Apuleio un secolo dopo, l'esecuzione di Locusta fu programmata in coincidenza con uno dei frequenti festeggiamenti romani, probabilmente gli Agonalia (in onore di Giano), che si tenevano il 9 gennaio. Per ordine di Galba, Locusta fu pubblicamente violentata da una giraffa appositamente addestrata, per poi essere dilaniata dalle bestie feroci.
Galba la seguì poco tempo dopo, il 15 gennaio, decapitato dai ribelli delle guardie pretoriane e la sua testa fu mostrata in parata a Roma nei Castra Praetoria.
I resoconti alludono ad altre cinque vittime sconosciute, ma è possibile che più persone siano state assassinate da questa famosa avvelenatrice.

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Frank il topic non riguarda guerre, né barbare usanze di popoli appunto barbari, né crimini di soggetti con una storia problematica.
Il punto è l'illusione di una modernità sedicente illuminata, laica, che si proclama più civile degli aztechi, del medioevo ecc. ma è una società malata che riprende in peggio quelle usanze, sia al più alto livello sia ormai a livello di cittadini comuni integrati in essa e non a rischio delinquenza.
La famigerata Cianciulli per esempio (che aveva una storia di povertà e molto problematica ed era anche dedita alla stregoneria) aveva un fine economico. Invece, la violenza di quella famiglia di Wimbledon di elevata condizione è stata del tutto gratuita, pura malvagità fine a se stessa.
Senza contare i riti innominabili, da far impallidire i Maya e gli stessi cannibali, di uomini di potere di altissimo livello, che in pubblico sono tutti bontà e sorrisi.
In altre parole la modernità è una menzogna e una barbarie, esattamente come il comunismo alla cui dottrina le sue élite non hanno mai creduto (noto il caso di Stalin, che per non perdere la guerra fece sorvolare Mosca da un'immagine sacra). Manipolavano perfino la scienza (come avviene anche oggi in Occidente), reprimendo severamente qualsiasi accenno al Big Bang perché, inspiegabilmente, lo ritenevano una teoria religiosa.
Le élite occidentali, sin dal tempo della Rivoluzione Francese non sono MAI state "laiche", ma a differenza dell'esecrato Medioevo (l'Età Moderna era già corrotta) avevano le credenze più oscure e pericolose.
E' opinione dello scrivente che questo lato oscuro di una società che si pretende senza ombre si proietti sui cittadini comuni, specialmente (chissà perché) nei Paesi anglo, culla della "democrazia". Ma anche in Italia, come il noto caso di quel medico umbro, celebre scienziato di apparente equilibrio e ben integrato, che praticava riti satanici con parti anatomiche.
Il male c'è sempre stato, con la differenza che oggi, dietro belle chiacchiere, è il fondamento e il riferimento simbolico della società e di chi la governa
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.