Vorrei dare il mio contributo a questa discussione. è vero che sono novizio di questi argomenti -almeno per come sono trattati qui - però vorrei comunque dire la mia.
Mi sembra di capire che andando a guardare quali regole di indagine sottostiano alle statistiche e sul
gender gap e sulla violenza nei confronti delle donne (mi riferisco all'altra discussione, appunto su questo tema) abbiate scoperto che le indagini sono tagliate in modo pregiudiziale, tale da far comparire i risultati prestabiliti che si desiderano.
Ad esempio i casi che sottostanno alla macro-categoria 'violenza sulle donne' sembrerebbero così eterogenei e differenziati da raccogliere anche casi che non sono a conti fatti casi di violenza: commenti in disaccordo, opinioni contrarie ecc...
Immagino che se le stesse categorie venissero applicare su un'indagine di genere invertita - sulla violenza sugli uomini - e se quindi tale indagine contasse, mettesse a valore statistico, anche i commenti, le critiche, il sarcasmo che ferisce o colpisce o umilia un uomo all'interno di una relazione sbilanciata, allora i numeri lieviterebbero anche in questo settore statistico ideologicamente negletto.
In questo senso ci sono tutti quei casi di relazioni maschi-femmine (matrimoniali, familiari ecc...) patologiche, sbilanciate, castranti ecc...
Io in generale diffido del metro statistico. Sopratutto per quel che riguarda quel che viene chiamata dimensione qualitativa della ricerca. Impossibile fare statistica - costruire categorie statistiche - su dimensioni altamente soggettive come possono essere i giudizi, i commenti, le percezioni ecc... Evidentemente la violenza ha una dimensione oggettivata (ferite, danni...) e una dimensione altrettanto essenziale che è molto molto difficile da oggettivare (trauma, ma anche fantasma!). In questo senso immagino che il femminismo inteso in senso generale come comune sentire dell'epoca non interrogato nel suo senso e non praticato politicamente possa funzionare come legittimazione di qualunque fantasia persecutoria.
Trovo l'argomento molto interessante, per quanto - forse vi stupirà? forse no! chissà - non in contraddizione con la mia esperienza nel femminismo della differenza. Vi spiego.
è vero che il femminismo porta avanti le sue battaglie per i diritti e contro la violenza in gran parte legittimando questa battaglia facendo ricorso a queste statistiche, tuttavia è anche vero che il femminismo - sia quello europeo della differenza, sia quello anglofono del gender - ha messo a tema come dimensione problematica - problematica per le stesse donne! - quella che viene chiamata la femminilizzazione del lavoro.
Immagino sappiate di cosa si parla. La narrazione discute il nesso che sussiste tra capitalismo e questione femminile. Da una parte la questione femminile non può che emergere nelle società a capitalismo avanzato in cui questa forma economica basata sul consumo ancorandosi ad una struttura sociale democratico-liberale spinge i soggetti a richiedere maggiori libertà di movimento, espressione, esistenza. Quindi ad un primo sguardo, si dice, il capitalismo viene incontro alla questione femminile.
Il pensiero della differenza sessuale, che è un pensiero tendenzialmente anti-istituzionale e anti-moderno (nel senso che non si riconosce nelle istituzioni politiche della rappresentanza, che diffida delle azioni istituzionali positive e delle quote rosa ecc...), mette però a tema questa vicinanza tra capitale e questione femminile come problematica: ci si è accorti, dicono le pensatrici della differenza sessuale, che il capitalismo, come sistema socio-produttivo che sottomette uomini e donne, si avvantaggia della libertà di movimento acquisita dalle donne. Ne fa uso per aumentare i suoi profitti; ad esempio mettendo a valore, estraendo valore dalle competenze più tipicamente femminili (per fare un esempio interno a questa discussione: l'apprendimento mnemonico tipico di molte ragazze a scuola o all'università).
Michel Foucault ha parlato di biopolitica e le femministe della differenza sessuale hanno ripreso questo tema proprio in riferimento al nesso capitale/femminilizzazione del lavoro.
Le statistiche sono uno degli strumenti principali della governamentalità biopolitica per come l'ha descritta Foucault. Allora, se volessimo dare per un attimo credito a questa narrazione, anche solo per amore di discussione, si tratterebbe di pensare questa cosa: le statistiche femministe sono in effetti strumenti governamentali - e quindi istituzionali - che servono ad asservire non solo gli uomini - come voi suggerite e denunciate - ma anche le donne, almeno in quanto, si potrebbe dire nell'ottica della differenza sessuale, tendono a mettere a valore la differenza solo nell'ottica del potere e del capitale.
Io non posso dire: le femministe della differenza vi darebbero ragione! penso che la questione sia molto complessa; tuttavia credo che l'argomento per come lo ponete voi sia molto interessante e, secondo me, non distante affatto da come potrebbe essere visto o detto (almeno in parte) da femministe della differenza sessuale. Secondo me occorrerebbe costituire un tavolo di discussione, di riflessione politica su questi argomenti; un tavolo comune si intende.
Che ne pensate?