Scusa COSMOS, ma manca la seconda parte.
IL PREZZO DELLA GIUSTIZIA – “Io non farò un passo indietro e lotterò sempre per i miei diritti”, ha detto, seduta a gambe incrociate su una trapunta sottile, sparsa sul pavimento dell’appartamento di Karachi della sua famiglia, mentre si preparava per un’altra intervista televisiva. “Non accetto denaro e non tornerò indietro come hanno fatto altre. E’ una cosa troppo importante”. Il suo calvario ha avuto inizio nel gennaio 2007. la sorella di Kainat aveva dato alla luce una bambina, Kainat era uscita per comprare regali per la sua nuova nipote. Regali che non ha mai portato a casa. Lungo la strada è stata aggredita. Braccia rudi l’hanno presa, un fazzoletto imbevuto di quello che pensa fosse cloroformio gli è stato stretto alla bocca e sul naso. ”Ogni volta che è penso a quei momenti, vorrei urlare”, dice la giovane. Il branco si accanì in modo feroce su di lei. Lei ricorda ancora il dolore provato quando rinvenne, il suo kameez shalwaar (il tipico vestito indossato dalle donne pachistane) strappato dal suo corpo. Non c’era nessuno in giro, si fece coraggio e fuggì. Capì però dove era stata portata, una casa nei pressi dell’ospedale locale. Solo dopo essere tornata dalla famiglia capì che quell’incubo era durato ben 4 giorni. La polizia in un primo momento ha rifiutato di accertare il suo caso. C’è voluto un ordine del tribunale prima che la polizia arrestasse il suo aguzzino, quello che l’avrebbe rapita e poi, assieme ad altri, ripetutamente violentata. Ci sono poi voluti ancora quasi tre anni prima che il suo caso fosse discusso in tribunale. Anni in cui Kainat ha fatto pressioni sui ministri del governo, ha sollecitato l’intervento del potentissimo capo della giustizia del paese e messo in scena anche uno sciopero della fame. I suoi sforzi non sono stati sufficienti a evitare che tutti e quattro gli imputati fossero però poi assolti in maggio.
UNA BATTAGLIA CULTURALE - In un paese dove la prova del DNA rimane un sogno, il caso è stato facilmente smontato. Era la sua parola, quella di una donna, contro quella di quattro uomini. Le difese hanno sostenuto di avere un certificato di matrimonio comprovante che Kainat era sposata con uno degli aggressori e hanno dichiarato che l’accusa di stupro era stata quindi inventata. Tale prova non fu ammessa, ma lo stesso giudice ha dichiarato che un ragionevole dubbio era rimasto. Faisal Siddiqui l’avvocato di Kainat, ha detto che le assoluzioni sono una conferma dello sciovinismo pachistano, dove la parola di una donna semplicemente non conta. Proprio per questo la “lotta” di Kainat è senza precedenti. Lo stupro è un problema enorme nei villaggi del Pakistan in cui dominano i valori tradizionali e le donne hanno un ruolo marginale nella vita della comunità. Lo stupro di gruppo viene utilizzato come arma per dirimere questioni. Una violenza che le donne dovrebbero subire in silenzio per non rompere “la fragile armonia fragile della vita del villaggio”. Dati raccolti da un ente benefico locale confermano che “solo” 928 donne sono state violentata in Pakistan nel 2009, ma si tratta solo di una punta di un iceberg. Un dato arrotondato con grande difetto. La storia Kainat ricorda quella di Mukhtar Mai, una giovane abitante analfabeta dello stesso villaggio, che fu violentata da quattro uomini nel 2002, come punizione dopo che suo fratello fu stato accusato di adulterio. Come Kainat, ha ignorato i tabù e ha deciso anche lei di lottare per la giustizia e per i diritti delle donne, diventando un volto familiare in occasione di conferenze tenute negli Stati Uniti e in Europa. Anche nel suo caso, gli uomini che ha accusato sono ancora liberi dopo aver vinto un ricorso. Le due donne sono apparse insieme più volte in diverse manifestazioni. Rappresentano l’immagine più tangibile che c’è un Pakistan che vuole cambiare. Ma la via del cambiamento, mai come in quel paese è irta di ostacoli.