Dal “Corriere della Romagna” del 9 marzo 2006
“I miei otto giorni da incubo”
forlì – Otto giorni chiuso in un carcere brasiliano per una falsa accusa di pedofilia su una bambina di dieci anni. La notizia sconvolse Galeata il 10 febbraio scorso. Conosciuto in tutto paese per essere un gran lavoratore e un bravo ragazzo, pochi credettero a quell’accusa. Lui però era in carcere. Un incubo superato con la forza della consapevolezza della sua innocenza.Un mese fa l’ambita vacanza si era trasformata in angoscia. Adesso racconta la sua verità. A migliaia di chilometri di distanza da quella che per una settimana è stata la sua “dimora” brasiliana, Giuseppe Babbini, 33 anni, ripercorre l’errore giudiziario che lo ha visto protagonista. Dall’incontro con la bambina “involontaria causa” dei suoi guai, l’arresto, il carcere, il ritorno a casa. Era a Natal, nello stato del Rio Grande do Norte con un amico da una settimana, quando la sua disavventura ha avuto inizio.IL FATTO: “Quella mattina ero in spiaggia che prendevo il sole – ricorda Babbini – quando sono stato avvicinato da una dei tanti ragazzini che vendono oggetti. Avevamo conosciuto questa bimba di 10 anni alla quale ogni tanto pagavamo qualcosa da mangiare, io avevo comprato da lei un paio di ciabatte. Il giorno prima il mio amico le aveva promesso che le avrebbe regalato un crocifisso, così lei si era avvicinata, ma siccome il mio amico non c’era, le ho pagato 10 ostriche che abbiamo mangiato lì in spiaggia, con un piatto di gamberetti. Tra l’altro la zona non è nè vicino a una favelas, nè nascosta da dune. E’ piena di gente che prende il sole. Ad un certo punto ho visto arrivare due agenti di Polizia che mi hanno chiesto il passaporto per un controllo. Ho risposto che lo avevo in camera dell’albergo e che dovevo andarlo a prendere. Mi sono avviato, ma a un certo punto sono stato richiamato perchè volevano accompagnarmi. Sono arrivate due macchine e decine di poliziotti. Ho chiesto al titolare dell’hotel, che parlava sia italiano sia portoghese, cosa volessero e lui mi ha confermato che si trattava di un semplice controllo. Sono stato caricato in macchina e portato alla stazione di Polizia”.GLI INTERROGATORI: “Mi hanno chiesto della bambina, cosa le avevo comprato – prosegue Babbini -. Mi hanno domandato che macchina avevo, com’era la mia casa, se avevo dei soldi. E’ andata avanti fino alle 21. Sapevo che in una stanza vicino stavano sentendo la bambina con una psicologa. E’ stata una delegata, Adriana Shirley, a comunicarmi che avrei passato la notte in carcere. Senza dirmi perchè. Mi hanno ritirato tutto quello che avevo, e impedito di telefonare in Italia”.Nessuno ha, quindi, formalizzato un’accusa precisa verso il giovane di Galeata. “Ho capito che dicevano che avevo accarezzato la bambina, ma non era vero, lei era seduta sul lettino, ma distante”.LA CELLA: “C’erano altre quattro persone, brasiliane. La prigione era piccola, il bagno era una latrina. Naturalmente la prima notte avevo una grande paura, potevo solo aspettare che arrivasse il giorno successivo. Con i compagni di cella ho scambiato solo poche parole, ma ho dormito”.LA TELEVISIONE: Poche ore e un altro choc ha colpito il galeatese, vittima inconsapevole delle “usanze” giuridiche brasiliane. “Sono stato caricato in auto e portato in un altro posto di Polizia. Ad attendermi ho trovato decine di giornalisti, telecamere. Non volevo scendere dalla macchina, ma mi hanno costretto. In un’altra stanza ho trovato altri giornalisti, televisioni, radio. Mi sono allontanato, ma mi hanno messo le manette e portato davanti a loro. Mi facevano domande, ma non capivo. Ho carpito solo ‘esplorazione sessuale’ e ho risposto ‘No’. Tornato in cella mi sono rivisto in televisione. Gli altri mi prendevano in giro, però in quel momento ho capito le accuse che mi erano rivolte”.GLI AVVOCATI: L’ipotesi che tutta la vicenda sia stata una montatura per “scucire” soldi ad alcuni stranieri, è avvalorata dalla sequenza di avvocati che si sono occupati del caso. “Non ho mai avuto interpreti. La Polizia mi ha portato due avvocati, consigliandomi di prendere quello che volevano loro. Mio padre gli ha mandato l’equivalente di 3-4mila euro, ma lui non ha fatto neanche una richiesta di scarcerazione, anzi è sparito. Un altro avvocato, una donna, aveva conoscenze con i poliziotti e mi permetteva d’incontrarmi con mio padre. La domanda di scarcerazione, però, è stata rigettata. Abbiamo contattato un altro difensore. Lui è riuscito a smontare l’accusa di arresto in flagranza di reato che si basava sulla testimonianza dei due poliziotti, uno dei quali una ragazza di 25 anni che aveva appena terminato un corso per prevenire fenomeni di pedofilia”.L’ATTESA: “Mentre ero in carcere non facevo nulla. Stavo sdraiato per terra. Tutti i giorni potevo vedere mio padre per dieci minuti. Ho mangiato bene perchè gli altri carcerati era sposati e si facevano portare del cibo dall’esterno e lo stesso facevo io con mio padre la sera. Non uscivo mai, perchè nel carcere erano appena arrivati una quindicina di detenuti per reati gravi e mi avevano consigliato di restare in cella. Non ho mai pensato di non tornare più in Italia, anche se dopo 5-6 giorni ho creduto di dover restare lì per diverso tempo e ho avuto un momento di grande sconforto”.LA LIBERTA’: “E’ stato mio padre a dirmi che potevo uscire. Mi ha fatto una sorpresa. Sapevo che non era finita, ma almeno non ero più in carcere”. Poi è arrivata l’archiviazione: il giudice ha riconosciuto che non c’erano elementi a carico di Giuseppe Babbini. Smontate tutte le accuse e le testimonianze. L’archiviazione ha permesso al 33enne di tornare in Italia, senza dover restare in Brasile per ulteriori udienze. “A casa ad attendermi c’erano amici, parenti, autorità. E’ stata una festa”. Ora è passato un mese da quei terribili momenti. “Certo che ripenso a quei giorni – conclude Giuseppe -. E per ora non penso proprio di tornare in Brasile”.