Autore Topic: Puntualità eccezionale  (Letto 2139 volte)

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Online Jason

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Puntualità eccezionale
« il: Febbraio 17, 2011, 18:02:16 pm »
http://www.leggo.it/articolo.php?id=107148

ALESSANDRIA - Erika De Nardo conta i giorni che le mancano per tornare in libertà. Fra poco più di un anno potrà lasciare il carcere dove sta finendo di scontare la pena per il duplice omicidio della madre e del fratellino, compiuto nella loro casa di Novi Ligure (Alessandria), il 21 ferraio 2001, esattamente dieci anni fa. Un massacro come molti definirono - e ricordano tuttora - quel delitto; «una mattanza», come dissero, con gli occhi sbarrati, i primi soccorritori dopo essere stati sul luogo del crimine. Susy Cassini, 41 anni, e il figlio Gianluca, di 11, morirono massacrati da 97 coltellate, per mano di Erika, che allora aveva sedici anni, e del suo 'fidanzatinò Omar, all'epoca diciasettenne. Lui è tornato in libertà l'anno scorso, ha lasciato il carcere di Asti e il Piemonte, spera che nessuno più lo cerchi per parlare di quei giorni. «Voglio solo essere lasciato in pace», aveva detto. «Uno degli episodi più drammaticamente inquietanti della storia giudiziaria del nostro Paese», così scrissero i giudici della Corte d'Appello per i minori di Torino confermando le condanne (16 anni per lei, 14 per lui), poi ridotte per effetto dell'indulto e degli sconti di pena. Erika aspetta di riassaporare la libertà. Vuole cominciare una nuova vita, avrebbe confidato di volersi costruire una famiglia e diventare mamma. A Novi Ligure si dice che il padre, l'ingegner Francesco De Nardo, si prepari a riaccoglierla a casa, in quella stessa «villetta degli orrori», al quartiere Lodolino, dove è tornato a vivere, subito dopo il dissequestro. È una prospettiva che turba molti novesi: faticano ad accettare l'idea che quella ragazza, diventata una giovane donna, possa tornare tra di loro dopo tanta ferocia, fanno fatica a convincersi che sia davvero diventata un'altra persona. Ma il padre non ha mai abbandonato Erika, è sempre andato a trovarla in carcere, prima a Milano, all'istituto per minori 'Beccarià, poi a Verziano (Brescia) dove la giovane si è prima diplomata e poi laureata in Lettere con una tesi sul pensiero filosofico di Socrate. Cinque anni fa i suoi legali avevano chiesto la libertà condizionale perchè potesse essere ospitata in una comunità di recupero. Richiesta respinta dalla Cassazione perchè, secondo i giudici della Suprema Corte, non si era ancora ravveduta. «Chi siano oggi Omar ed Erika è difficile dirlo - scrive sul suo sito Massimo Picozzi, il criminologo che fu consulente della difesa della ragazza - ed è del tutto improbabile che commettano altri reati ma hanno compreso l'enormità del loro gesto? Il senso di colpa ha messo radici nel loro cuore?». Il decennale, lunedì prossimo, riapre le ferite di Novi. «Temo che la ricorrenza ci farà tornare a parlare di quel delitto, più ancora quando Erika uscirà dal carcere - dice il deputato del Pd Mario Lovelli, nel 2001 sindaco di Novi -. Per la città furono giorni traumatici, c'è voluto tempo per metabolizzare la tragedia. Ricordo il giorno dopo il delitto, la reazione strumentale della Lega Nord e di Forza Italia, quando non si conosceva ancora la verità». C'era stato un consiglio comunale infuocato, molti esponenti del centrodestra chiedevano di usare la mano pesante contro gli immigrati clandestini. Si pensava che gli assassini fossero extracomunitari, «albanesi entrati in casa per compiere una rapina»: così aveva raccontato ai Carabinieri Erika, l'unica scampatà perchè il padre era fuori casa, a giocare a calcetto con amici e colleghi. La ragazza sperava di depistare gli investigatori, ma i sospetti caddero presto su di lei e sul 'fidanzatinò. La 'coppia diabolicà fu incastrata da una cimice messa in caserma, in una pausa dell'interrogatorio, e da una telefonata intercettata: «Ce la faremo, ci stanno credendo», aveva detto Erika a Omar. Ma la terribile verità era già stata scoperta.

IL MASSACRO DI NOVI LIGURE È la sera del 21 febbraio 2001: nel quartiere Lodolino di Novi Ligure (Alessandria), Susy De Nardo, 41 anni, e suo figlio Gianluca, di 11, vengono massacrati con decine di coltellate (97 in tutto). A ucciderli, si scoprirà il giorno dopo, sono stati la figlia e sorella Erika, sedicenne, e il 'fidanzatino' Omar Favaro, di 17 anni. Lei viene rinchiusa al 'Beccaria' di Milano, lui al 'Ferrante Aporti' di Torino.
- LA CONDANNA: il 14 dicembre 2001 il Tribunale dei minorenni di Torino condanna la 'coppia diabolicà: Erika a sedici anni, Omar a 14.
- LA CONFERMA: il 30 maggio 2002 la Corte d'Appello conferma le condanne. Dopo la sentenza Erika e Omar scoppiano a piangere.
- LA CASSAZIONE: la prima sezione penale Suprema Corte rende definitive le condanne e chiude la vicenda, dal punto di vista giudiziario.
- NO ALLA LIBERTÀ: la Cassazione rigetta il ricorso dell'avvocato di Erika, che chiedeva la libertà condizionale per trasferirla in una struttura terapeutica. «Non si è ancora ravveduta», dicono i giudici.
- ERIKA DOTTORESSA: il 23 aprile 2009 Erika si laurea in carcere con una tesi sul pensiero filosofico di Socrate, con una votazione di 110 e lode.
- OMAR LIBERO: il 3 marzo 2010 Omar, all'età di 27 anni, lascia il carcere di Quarto d'Asti. Una libertà anticipata grazie all'indulto e agli sconti di pena per buona condotta. Per lui comincia una nuova vita.
- ANCORA UN ANNO: Erika deve restare in prigione ancora fino al 2012. È a Verziano (Brescia), dove ogni settimana il padre va a trovarla. Lì conta i giorni che la separano dalla libertà.

ERIKA E OMAR INDIFFERENTI DA ANNI «Erano due ragazzi normali, normalissimi. Ma insieme, alimentandosi a vicenda, si costruirono un loro universo. E diventarono una coppia criminale». Ecco il ricordo che Cesare Zaccone, uno degli avvocati difensori impegnati nel processo per il massacro di Novi Ligure, conserva di Erika e Omar. Parla di loro, il veterano del Foro torinese, agganciandosi alla perizia psicologica che venne stilata da Gustavo Pietropolli Charmet. Nel 2001 Erika De Nardo e Omar Favaro non erano nemmeno maggiorenni, quando si macchiarono del duplice delitto che sconvolse l'Italia. Due fidanzatini che spendevano le loro giornate nella sonnacchiosa provincia piemontese, fantasticando chissà cosa e avventurandosi, talvolta, nei sentieri dell'hashish e della cocaina. Carcere e processi spezzarono la «coppia criminale». Erika e Omar presero ad accusarsi a vicenda, si separarono, si dimenticarono. Scampoli del pensiero del ragazzo comparvero ogni tanto sui giornali: «Lei mi è indifferente. Capitolo chiuso. Non le porto nemmeno rancore». Nel cuore di Erika entrarono altri: Manuel, un giovanissimo rapinatore che notò casualmente in prigione, e il dj Mario, poi morto in un incidente stradale. Relazioni fatte di lettere, disegni, bigliettini. Due anni fa, Erika si è laureata in filosofia (110 e lode) con una tesi su Socrate e la ricerca della verità. In carcere lavora nella cooperativa interna specializzata in imballaggi. Omar è uscito nel marzo del 2010 dopo un periodo di semilibertà: era considerato un detenuto modello. Da semilibero faceva il giardiniere ad Asti a 600 euro al mese e sognava di vedere il mare. Erika ne avrà ancora per un anno. Oggi lui ha ventotto anni, lei ventisette. Due giovani con una vita da ricostruire. «Da quel poco che ho saputo - dice Zaccone, che da anni, esaurita la parabola processuale, non segue più il caso - credo che abbiano impiegato bene il tempo passato in carcere. Di pentimento o di ravvedimento non so nulla e nemmeno posso parlare: sono argomenti di pertinenza degli psicologi, degli operatori, di coloro che gli sono più vicini. Ma di reinserimento sì: per come li ho conosciuti, lo vedo possibile».

PM: PER ME FU INCONTRO COL MALE Il massacro di Novi Ligure? «Per me fu un incontro con il Male». Livia Locci, dieci anni fa, era il magistrato che davanti al Tribunale per i minorenni sostenne l'accusa al processo contro Erika e Omar. Passata alla Procura di Torino, dove è diventata un elemento di punta del pool per la tutela delle «fasce deboli», da allora Locci ne ha viste davvero tante: storie di violenza senza freni, di donne martoriate, di bambini crudelmente sopraffatti dagli adulti. Ma il duplice omicidio di Novi Ligure è rimasto, nei suoi ricordi, il caso che più di ogni altro l'ha portata a «porsi delle domande», a scrutare fra le tenebre dell'animo umano, a interrogarsi sulla presenza e sulla natura del male. All'epoca, confidandosi con gli amici più stretti, diceva di «sentirsi in uno di quei periodi della vita in cui credi di invecchiare più velocemente» e, in qualche modo, la frase rimbalzò sui giornali. Oggi, conversando con l'ANSA, ne parla come della «esperienza più drammatica e complessa che mi sia mai capitata» in ambito professionale. «La mia generazione - spiega - rispetto a quelle precedenti, ha avuto meno occasioni, di incontrare il male. Penso ai miei genitori, che conobbero la guerra. Io, il male, l'ho incontrato in quell'indagine». Attenzione, però. La dottoressa Locci non associa il male alla figura dei due ragazzi, non dice mai che Erika e il suo fidanzatino fossero l'incarnazione di chissà quale entità maligna. Il suo è uno sguardo che va oltre. Con tanti interrogativi e qualche risposta: «Ne trovai una nelle parole scritte da qualcuno molto autorevole: in certe occasioni, il male è banale». Ma a Novi Ligure non c'erano solo Erika e Omar: c'erano anche le vittime, Susy Cassini e il figlio Gianluca. Figure che, nei resoconti dell'epoca, rimasero come «oscurate», fuori fuoco, relegate ai margini del grande dramma: l'attenzione era altrove. Ed è a loro, più che a Erika e Omar, che oggi corre il pensiero di Livia Locci. «Madre e figlio non ebbero voce. E non ne hanno tuttora. Io vorrei che venissero ricordate. C'era Gianluca, che tutti descrivevano come un bimbo solare, vitale, estroverso e innamoratissimo della sorella. E c'era la signora Cassini. Una donna giovane, piena di entusiasmo. Penso che volesse molto bene ai figli. A tutti e due. Perchè lo dimostrò, con la condotta che tenne quella sera, in un modo - conclude il pm che meglio conosce quell'atroce vicenda - che ricordo bene, ma che non posso e non voglio dire».


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Bene. 10 anni . Fosse stato un uomo il principale responsabile, almeno 40 anni .
Notate come sono sempre più i figli che si rivoltano contro i genitori, chi in un modo chi nell'altro.
Uomini, ne vale proprio la pena fare figli , considerate anche le leggi femministe che ci ritroviamo ?
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

Offline ilmarmocchio

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Re: Puntualità eccezionale
« Risposta #1 il: Febbraio 17, 2011, 19:23:42 pm »
ma la povera Erika ha le mani sottili, diafane. Mandiamola in vacanza al mare, come il suo amichetto Omar, che hanno spedito a lavoare ( si fa per dire ) alle  5 terre  :w00t: :w00t: :w00t:

Offline nyamya

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Re: Puntualità eccezionale
« Risposta #2 il: Febbraio 17, 2011, 19:47:38 pm »
Certo che vale la pena avere dei figli, solamente la genitorialità non è un impegno x tutti. La genitorialità è un delicato e costante stato psicofisico con diverse abilità da apprendere, molti xo lo scambiano con l'allevamento dei cuccioli nel mondo animale. Tu dici che molti figli si rivoltano contro i genitori , e questo è la conseguenza della incompatibilità genitore - figlio, dove scattano certi meccanismi che possono essere molto dannosi per la crescita dei figli. Io non demonizzo Erica, non sappiamo che rapporto si nascondeva tra lei e la mamma, e cosa ha fatto scattare in Erica quella follia. Cio non significa che la giustifico , ma nemmeno la giudico. Alzi la mano chi non conosce persone che se potesse le sparerebbe benvolentieri, e purtroppo spesso in quella categoria ci sono anche dei genitori.
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Online Jason

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Re: Puntualità eccezionale
« Risposta #3 il: Febbraio 17, 2011, 22:10:41 pm »
Certo che vale la pena avere dei figli, solamente la genitorialità non è un impegno x tutti. La genitorialità è un delicato e costante stato psicofisico con diverse abilità da apprendere, molti xo lo scambiano con l'allevamento dei cuccioli nel mondo animale. Tu dici che molti figli si rivoltano contro i genitori , e questo è la conseguenza della incompatibilità genitore - figlio, dove scattano certi meccanismi che possono essere molto dannosi per la crescita dei figli. Io non demonizzo Erica, non sappiamo che rapporto si nascondeva tra lei e la mamma, e cosa ha fatto scattare in Erica quella follia. Cio non significa che la giustifico , ma nemmeno la giudico. Alzi la mano chi non conosce persone che se potesse le sparerebbe benvolentieri, e purtroppo spesso in quella categoria ci sono anche dei genitori.

Si nyamya , il tuo discorso però però regge fino ad un certo punto, io francamente mi sono stancato di dare sempre la colpa ai genitori, se certi piccoli imbecilli continuano a comportarsi male vuol dire che fa comodo a loro.

Che poi alcuni genitori siano più colpevoli dei figli è vero, questo è un caso...

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PALERMO – “Chiunque abusi dei mezzi di correzione o disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni”, recita l’articolo 571 del nostro codice penale. Sulla base di questo articolo una professoressa di Palermo è stata condannata ad un anno di reclusione per aver costretto un suo alunno, colpevole di aver negato l’accesso al bagno dei maschi ad un suo compagno ritenuto effeminato e di essersi poi rifiutato di scusarsi, a scrivere cento volte sul quaderno “sono un deficiente”.  Un anno di galera alla civiltà, assoluzione e soddisfazione piena per i due “machi”, il ragazzino impunito e il suo orgoglioso papà.

Teatro di questa vicenda è la scuola media Boccone di Palermo. Qui due alunni della prima media, anni 11, avevano impedito a un loro compagno di classe di entrare nel gabinetto dei maschi “perché sei una femminuccia, un gay”. La questione era venuta fuori in classe, di fronte alle lacrime della vittima. La professoressa di Lettere, Giuseppa Valido, aveva deciso di affrontare la situazione in maniera energica: uno dei due bulletti in erba che avevano offeso il ragazzino aveva chiesto scusa, mentre l’altro non ne aveva voluto sapere, si sentiva immune e protetto. Era così scattata la punizione: l’alunno discolo era stato costretto a darsi del “deficiente” per cento volte sul quaderno e poi aveva dovuto portare il quaderno al papà perché lo firmasse e dimostrasse di averne preso consapevolezza.

Il padre del ragazzo, Vincenzo C., imprenditore nel settore delle demolizioni di auto, non solo ne “aveva preso consapevolezza”, ma aveva risposto per le rime dando della cogl… alla professoressa. Aveva fatto visitare il ragazzino, che aveva risentito dello “choc”,  gli psicologi dell’azienda sanitaria avevano segnalato il fatto alla direzione della scuola e alla Procura. Uno “choc” chiamato educazione, complimenti agli psicologi che hanno derubricato l’educazione a trauma.

Il giudice Piergiorgio Morosini aveva assolto l’imputata. Nella motivazione della sentenza aveva sostenuto che la professoressa non fuggì dalle proprie responsabilità. Da stigmatizzare sarebbe stato piuttosto il comportamento del ragazzino: “Il non intervenire – aveva scritto il giudice – avrebbe finito per accreditare, tra i compagni di classe, l’idea che condotte vessatorie a danno dei più deboli sarebbero state comunque accettate”. Ma i giudici della Corte d’Appello non la pensano evidentemente allo stesso modo e hanno quindi deciso di condannare la “violenta” insegnante ad un anno di reclusione, nonostante l’accusa avesse richiesto per l’imputata una condanna a 14 giorni. Così impara ad educare.

Sorvoliamo sul fatto che l’alunno in questione oltre a studiare da bullo aveva scritto per 100 volte deficiente senza “i”, questa sì una colpa imputabile alla sua insegnante che evidentemente non era riuscita a fargli entrare in testa l’italiano, e sorvoliamo persino sulle sue bravate, in fondo a 11 si è ancora poco più che bambini e difficilmente si è in grado di rendersi conto di quello che è giusto sbagliato e ancor più difficilmente si ha la maturità per soffermarsi sulle proprie responsabilità e concentriamoci sul padre del bulletto. Si, il padre, è lui “la causa della cattiva educazione del figlio. Basta vedere la parolaccia con cui ha risposto all’insegnante” dicono l’avvocato della professoressa e il buon senso. Padre che, sentito da La Stampa, ha candidamente detto “io stesso non giustifico il comportamento del ragazzo – e ci mancherebbe aggiungiamo noi – ma c’è modo e modo di correggere un ragazzino di soli 11 anni”. Talmente non l’ha giustificato che a chiesto alla giustizia, giustizia che in questo caso efficacemente Massimo Gramellini su La Stampa chiama “giustizia deficiente”, di punire l”insegnante. Quello che al padre non è stato chiesto, purtroppo, è se secondo lui il modo giusto per correggere il ragazzino di soli 11 anni in questione è quello di portare in Tribunale la professoressa che l’ha costretto a scrivere 100 volte “sono un defic(i)ente”, e se questa punizione esemplare l’ha illuminato.

Siamo freschi reduci sui giornali da una polemica alquanto astratta e teorica sulla dura educazione “cinese” secondo cui le mamme di laggiù impongono alla prole ogni sacrificio e mai danno ragione e manforte ai “pupi e pupe” di casa. Sulla “educazione cinese” che forgerebbe automi di successo mentre la nostra educazione occidentale e mediterranea sarebbe più umana e foriera di libera scelta e arbitrio. La cronaca vera, quella di Palermo scavalca e risolve la questione: qui da noi, sentenza alla mano, è reato impartire qualunque educazione. Una generazione è già persa, andata: quella del papà, che l’altra, quella del figlio, che dio l’aiuti e abbia pietà.
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America

Online Massimo

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Re: Puntualità eccezionale
« Risposta #4 il: Febbraio 18, 2011, 01:09:32 am »
Una domanda amletica: cosa deve fare una donna per beccarsi l'ergastolo?
Chi può e sa risponda.

Offline Utente Cacellato

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Re: Puntualità eccezionale
« Risposta #5 il: Febbraio 18, 2011, 10:46:12 am »
Una domanda amletica: cosa deve fare una donna per beccarsi l'ergastolo?
Chi può e sa risponda.

Forse, in età maggiorenne, commettere omicidi su altre donne????
Mai contraddire una femmina: riuscirà tranquillamente a farlo da sola in 5 minuti!
La donna che costa di meno è quella che paghi
E' la donna che porta la vita... ma è l'uomo che la finanzia!!!
"I fatti mi hanno dato talmente ragione che quasi me ne vergogno!" (Indro Montanelli)