l'articolo sottostante è comparso in un webmagazine di area finiana , per cui si capisce la stoccatina finale a Berlusconi, però rimane valido quanto detto sul rapporto tra politicamente corretto e politici di professione - attivisti politici, specie nel versante progressista.
direi che anche Grillo svolga, nel suo piccolo e con i suo vaffa, questo ruolo di guastatore in qualche misura.
Questo emergere, contro il politicamente corretto , di volgarità e non di una razionale analisi politica (il politicamente corretto è irrazionale) secondo me è però ulteriore indice di una deficienza delle classi dirigenti e di una cultura di massa non sufficiente ai tempi del moderno capitalismo privo di ideologie politico-economico(fascismo,comunismo,liberalismo...) ------------
http://www.libertiamo.it/2011/03/05/il-politically-correct-ha-rovinato-la-sinistra-attento-silvio/ In principio fu il politicamente corretto.
Una magia linguistica che non è servita, per dire, a ridare la vista ai ciechi, ma in compenso li ha trasformati in “non-vedenti”, senza peraltro, per la verità, migliorare tangibilmente (almeno in Italia, dalle altre parti non sappiamo) le loro condizioni di vita.
Alla base di questo atteggiamento, diffuso in più o meno tutto il mondo occidentale, c’è, fondamentalmente, la convinzione che si debbano moderare i toni del linguaggio per evitare di offendere singole persone o categorie ritenute “svantaggiate”, più deboli, spesso discriminate per le loro condizioni oggettive più che per loro colpa.
L’intento è sicuramente lodevole, i risultati un po’ meno: quello che era un atteggiamento sostanzialmente condivisibile si è tramutato in un campo minato di divieti non scritti, proteiformi, per cui per tutti, e tanto più per un personaggio pubblico, è pericoloso dire praticamente qualunque cosa, poiché chiunque potrebbe saltar su strepitando di sentirsi offeso (e, naturalmente, pretendere immediata e pubblica ammenda) per la categoria che ritiene di rappresentare.
Insomma, questa ormai onnipresente e onnicomprensiva correttezza politica ha prodotto proprio il contrario di quella società più aperta alle minoranze che voleva realizzare: ci ritroviamo tutti l’un contro l’altro armati, tutti appollaiati come falchi ad aspettare che il nemico dica qualcosa di “offensivo” per poter cominciare ad elevare grida di sdegno, indignati come donne, come uomini, come vecchi, come giovani, come qualunque cosa in quel momento ci faccia comodo essere.
A queste condizioni, pare che la realtà delle cose conti meno della loro definizione: gli strilli d’indignazione partono non a seconda di ciò che l’avversario fa, ma di come lo chiama. Nessuno s’indigna più, banalmente e semplicemente, come persona, ma ci si indigna ”a pezzi”, per argomenti, per aree tematiche, con conseguenze disastrose per il dibattito politico.
Quando non si riescono più a sostenere delle argomentazioni logiche, ci si rifugia nella comoda scappatoia del sentirsi offesi come esponenti di una qualunque minoranza. Il risultato?
Il risultato è che rimanere minoranza è diventato quanto mai comodo: perciò, visto che tutti sono occupati a salvaguardare i privilegi particolari – quasi sempre solo verbali – derivanti dal far parte di questo o di quel gruppo sociale “discriminato”, quasi nessuno ritiene che gli convenga impegnarsi seriamente in battaglie volte ad eliminare le discriminazioni.
Per molto tempo, in Italia ma non solo, il monopolio del politicamente corretto è appartenuto alla sinistra, che, se da una parte si faceva promotrice della ribellione contro l’ordine costituito, dall’altra cercava di costituire secondo i propri canoni un nuovo ordine, i cui cardini fossero i concetti di “giusto”, “rispettoso”, “tollerante”. Sulla carta, un progetto bellissimo.
Peccato però che, per realizzarlo, negli ultimi trent’anni abbiamo visto salire in cattedra personaggi sempre più improbabili, convinti di essere “la parte migliore del Paese” in virtù della loro appartenenza politica, i quali avevano lo scopo dichiarato di insegnare la giustizia e il rispetto a noialtri incolti barbari (nonché, ça va sans dire, “parte peggiore del Paese”).
Date le premesse, non c’è bisogno di un padre della psicanalisi per spiegare come mai, sulla stragrande maggioranza del popolo italiano, il politically correct non abbia fatto granché presa; sentirsi continuamente sul banco degli imputati di un invisibile tribunale (la cui giuria, per di più, è formata da gente tipo Massimo Giannini) non è esattamente, se non per una piccola minoranza di masochisti, un quadro ideale di felicità.
In un contesto così subdolamente soffocante, l’irriverenza di un Berlusconi è arrivata come una ventata d’aria fresca: ecco finalmente un politico che sembra dire pane al pane, che sembra dare importanza alla sostanza e non alla forma, che non si mette in cattedra a giudicare chi non dice “diversamente azzurro” per indicare il colore rosa.
Esasperati dal politicamente corretto, stufi di sentire grida di scandalo ogni volta che cercavano di esprimere un’opinione leggermente fuori dai canoni ammessi, molti, tra cui chi scrive, non si sono sentiti di condannare troppo duramente certi episodi, pur obiettivamente inopportuni, della vita politica del nostro premier, come le corna nelle foto ufficiali o il chiamare Barack Obama “abbronzato”.
Giusti o sbagliati che siano, comunque, i modi diretti di Berlusconi si sono imposti nella politica italiana, innescando, all’estremo opposto rispetto ad una sinistra sempre più bacchettona, un’escalation di esternazioni e gesti sempre più triviali. La strategia, a quanto pare, ha funzionato: gli italiani lo amano, l’opposizione non riesce a tenergli testa (a meno, forse, di non arruolare quel raffinato gentleman di Oliviero Toscani), Lukashenko e Putin lo adorano (di Gheddafi, nell’incertezza del momento, meglio non parlare), insomma, la sua intrinseca scorrettezza politica ha vinto su tutto il fronte.
Da qualche tempo, però, lo spettro del politicamente corretto ha cominciato ad aggirarsi anche nel PDL. L’ultimo, in ordine di tempo, ad averlo incrociato è stato il senatore Alessio Butti, che, ispirato, ha creato il seguente capolavoro di acrobazia verbale: “Minzolini è fazioso, ma in modo sano“.
Una frase che fa il paio con l’arrampicata sugli specchi di Maurizio Sacconi, il quale non ci sta a passare per uno che segue in tutto e per tutto i dettami del Vaticano, perciò si definisce “laico”, ma in modo “adulto”. Che poi la “laicità adulta” coincida in maniera quasi perfetta con l’ “ateismo devoto”, che coincide a sua volta con l’ascoltare, in materia di scienza, i vescovi e non i medici, beh, questa è una questione secondaria.
Presidente Berlusconi, dia retta: se li lascia fare, questi tra un anno ce li ritroviamo a bacchettare i non-conformi peggio di Concita De Gregorio.
Immagini la scena: quando qualche prete vecchio stampo oserà definirsi “clericale”, gli piomberà addosso Sacconi, gridando “No! No! Cattivo! Clericale è una parolaccia! Devi dire laico adulto!”
La prego, Presidente, usi i suoi poteri taumaturgici, cerchi di frenare questa deriva. La smetta di farsi “contestualizzare” le bestemmie, non ceda a chi nelle sue (presunte) elargizioni di denaro a miss Ruby Rubacuori vede nient’altro che carità cristiana, torni a fare corna anziché baciare mani (a conti fatti, le corna convenivano di più), e soprattutto, per l’amor del Cielo, la smetta di fare continuamente l’offeso.
Guardi che così i suoi elettori non si divertono più, eh. Ci faccia questo piacere, ritorni agli ameni siparietti di una volta che ci facevano tanto ridere.
Altrimenti, beh, altrimenti… noi italiani abbiamo un carattere piuttosto birichino, dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro.
Prima o poi, per dispetto, potremmo pure finire per eleggere una persona seria.