http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=31511Scritto da Aldo Reggiani
venerdì 11 marzo 2011
Se fossi femmina mi sentirei francamente offesa dal fatto che si sta
legiferando acciocché alle donne siano riservate, nei consigli di
amministrazione delle società, quote obbligatorie: come sono riservate
negli enti pubblici ai down e in genere ai “diversamente abili”.
Se invece di starnazzare spesso sul nulla, si osservasse ciò si ha di fronte
senza interporre pensieri precostituiti, potremmo vedere come in tutti i
settori più comodi, abbondino la presenze femminili: dagli uffici postali
a quelli comunali, provinciali, regionali e statali, ai tribunali, fino a
quella scuola italiana che il geniale Geminello Alvi, inneggiando alla
“virile” riforma Gelmini, bollava come «scassato gineceo di laureate in
crisi di nervi, che educano alla noia gli studenti con la stessa stanca
fretta con cui fanno la spesa, [...] sede di procedura devirilizzante, per
esclusiva somministrazione di insegnanti donna. Dalle tre maestre per
classe alle schiere di casalinghe traviate nelle medie o superiori, dove il livello finale di ignoranza risulta
peggiore addirittura di quello europeo».
In tv i programmi pomeridiani, e anche serali, sono oramai spesso appannaggio di femmine: le presenze
maschili sono alle volte ridotte a ornamento estetico.
Altro che veline e letterine.
Viceversa, nelle oscure profondità delle miniere, come quella cilena recentemente salita all’onor delle
cronache, latitano Carmencite e Jocelite
Così come gli equipaggi di superpetroliere che sfidano il mare a forza otto dell’Oceano Indiano,
scarseggiano di Mariucce, Margareth o Dorothy.
Sulle autostrade italiane attendiamo con ansia di scambiare festosi colpi di clacson con eserciti di balde
autiste che conducano, magari tra geli e nebbie padane, autotreni di arance dalla Sicilia ad Amburgo e, nei
cantieri edili, salutare allegre manovalesse operanti sotto la canicola estiva o al freddo di gennaio.
Così come, storicamente, non risulta ancora che l’America sia stata scoperta da garrule vergini che su tre
caravelle infiocchettate di rosa abbiano sfidato l’Oceano atlantico.
O che, più recentemente, abbiano inventato l’aria condizionata o la lampadina.
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Per non dire delle lavatrici, degli aspirapolvere, delle lucidatrici: tutte cose che hanno sollevato non poco
le donne dalle fatiche domestiche.
(Gloria imperitura, invece, all'inventrice americana Josephine Cochrane, che, nel 1886 fece brevettare
un'apparecchiatura in grado di proiettare getti d'acqua sulle stoviglie grazie a un sistema di pompe
azionato manualmente: la prima lavastoviglie).
Oppure dipinto Cappelle Sistine, Cenacoli, Monne Lise, scolpito David o Pietà, musicato Le Nozze di
Figaro, scoperto la forza di gravità: notoriamente che la terra giri attorno al sole fu una scoperta della
tipica curiosità femminile.
Perfino l’idea tutta occidentale di una parità tra uomo e donna, come osservava uno studioso americano,
è stata propalata con successo, non tanto dai movimenti femministi, quanto da un’opera teatrale, visto che
come osserva Elèmire Zolla, “un’idea diventa un’ideologia quando ha propalato il suo contagio”, scritta
da un maschietto, tal Henrik Ibsen, nel 1879: Casa di bambola.
Nella quale si narra la vicenda di Nora Helmer, che si trasforma da civettuola e capricciosa “bambolina”, a
donna consapevole ed emancipata che, alla fine della pièce, decide di abbandonare suo marito in cerca
della sua vera identità e, come dice lei stessa al coniuge, per "riflettere col mio cervello e rendermi
chiaramente conto di tutte le cose".
Il dramma, interpretato dalle più grandi attrici dell’epoca, fu replicato con immenso successo in tutti i
teatri d’Occidente suscitando polemiche a iosa, ma introducendo estesamente l’idea, appunto, di un
diverso ruolo sociale della donna
Lo spettacolo recentemente offerto da schiamazzanti donne in piazza che reclamavano il rispetto della loro
dignità, cozza contro quello che saviamente scriveva una filosofa sudamericana, Carolina, la quale
osservava che una persona che insiste troppo nel volere a tutti i costi il rispetto degli “altri” è perché, in
fondo, non si rispetta lei medesima.
E quindi elemosina il rispetto altrui. Divenendo così ancor più schiava dell’opinione degli altri.
Anni orsono partecipai ad una raccolta fondi, in un club, per le ricerca neurologica: chi metteva all’asta
dipinti, chi sculture o litografie. Io recitavo a richiesta poesie e monologhi teatrali.
Al mio tavolo stavano una bionda e procace ricercatrice sui quarant’anni, insieme al simpaticissimo
marito.
Le chiesi cosa pensasse di quelle che continuamente lamentano la sudditanza sociale della donna al
trucido maschilismo.
Mi ripose che le sue colleghe femmine avrebbero fatto meglio a curare le loro nevrosi e a smetterla di
incolpare sempre i maschi di tutti i mali del mondo.
Come del resto ben sanno donne del calibro di Madame Curie o della Montalcini, passando per Tamara
De Lempicka e Carla Fracci, che pur non hanno mai rinunciato all’amore e magari, tranne la Montalcini,
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