Me lo aspettavo.
Il femminismo, come tutti quei movimenti progressisti (LGBT, neri, sionisti, ecc.) si basa, retoricamente parlando, su una fallacia logica piuttosto antipatica: contrapposizione di poli positivo e negativo, più o meno, bianco o nero, maschilista misogino oppure fautore delle pari opportunità e della felicità eterna.
Guai se il femminismo intavolasse un dibattito con chi gli si oppone: perderebbe quello status iniziatico, dogmatico e indiscutibile che ha acquisito, quello status religioso. Ormai, dobbiamo darne atto, il femminismo è diventata una religione, con i suoi riti, i suoi dei, i suoi libri sacri, i suoi sacerdoti, i suoi peccati (e le espiazioni) e il suo corpus di profezie, salmi e verità assolute. Una religione del terzo millennio, ma sempre una religione. Prima, era una ideologia: dinamica, discorsiva, accademica. Si discuteva, si fratturava in correnti, agiva, combatteva.
Ora si è cristallizzata in una serie di liturgie, di Messe e messali sempre uguali, c'è l'omelia in cui ti spiegano le cose ma, notoriamente, l'omelia non si discute: si apprende e basta. Se, mentre il prete sta predicando dal pulpito, io mi alzo e faccio: "Obiezione, padre!", quello mi prende e mi butta fuori mentre tutti i fedeli mi guardano straniti, mormorando.
Come tutte le religioni, inoltre, anche il femminismo è seguito per conformismo.
Ad un esame razionale e oggettivo, chiunque abbia studiato un po' di filosofia si rende conto della debolezza della religione ("Oppio dei popoli!") e della sua funzione di conforto e consolidamento sociale. Eppure, in chiesa c'è fior fior di laureati in lettere, filosofia e scienze. Perché ci vanno? Per ragioni sociali.
Stesso vale per il femminismo: nonostante ormai si demolisca facilmente, nessuno ardisce a farlo per varie paure, e anche chi potrebbe opporsi, avendone i motivi (uomini), non lo fa.
Se la religione si mette in discussione, è finita. Perde quell'aura sacra che dà sicurezza.
E, come tutte le religioni, anche il femminismo risponde alle critiche gridando all'eresia e al demonio, condannando l'apostata al pubblico ludibrio e all'esilio sociale senza rispondere nel merito delle questioni.
Amen.