Per assumere certi incarichi,è necessario sangue freddo,l'aggressività che è spacciata per un segno di forza è in realtà un segno di instabilità e insicurezza.
Siamo sicuri che una ''donna-soldato'',di quelle che vanno nell'esercito credendosi rambo perchè hanno guardato ''soldato jane'', al posto suo,avrebbe avuto la stessa lucidità?
In ogni caso quest'uomo ha salvato il mondo dall'olocausto nucleare,il suo nome è Vasilij Arkhipov,pace all'anima sua che ci ha permesso di essere vivi e sani,e non vermi striscianti e malati nel fango radioattivo postnucleare,un uomo cui bisognerebbe dunque accendere un cero ogni tanto.
giornale “OGGI”
''Grazie, capitano coraggio: con il tuo “niet” hai salvato il mondo!
“Servivano tre “si” per lanciare dal sommergibile sovietico il missile atomico contro gli americani”, rievoca lo storico Viktor Gaiduk. Due ufficiali pronunciarono quel “si”, invece Vasilij Arkhipov si oppose”- Al ritorno in patria, venne arrestato e processato..
di Viktor Gaiduk e Salvatore Giannella
Mosca, ottobre.
Due uomini avevano in pugno il destino della Terra nel 1962, anno della crisi seguita dall’installazione di basi missilistiche sovietiche a Cuba: John Fitzgerald Kennedy e Nikita Sergeevich Kruscev. Ognuno di loro due avrebbe potuto, in quell’ottobre di 40 anni fa, dare l’ordine di cominciare la terza guerra mondiale, la più pericolosa dell’intera storia dell’umanità: perché non era mai accaduto, prima, che due nazioni stessero usare armi nucleari capaci di incenerire una dozzina di volte il pianeta. Ma c’erano anche tre ufficiali della Marina militare russa che avrebbero potuto prendere quella decisione fatale. Ignorati sia da Kennedy che da Kruscev. Di loro il mondo non ha saputo niente per 40 lunghi anni. Solo da qualche giorno conosciamo il dettaglio agghiacciante che fu il niet, il no decisivo di uno dei tre ufficiali, il capitano di fregata Vasilij Arkhipov, a evitare l’olocausto nucleare. Nella diabolica corrida tra le navi e gli aeri americani con i sommergibili sovietici, nelle ore più drammatiche di quei tredici giorni che fecero tremare il mondo, Arkhipov fu la sola persona a non perdere il controllo della situazione e il senso della realtà.
Solo da qualche giorno scopriamo (assieme all’amarezza di non poter dire “grazie” nelle orecchie di questo salvatore del mondo, prima arrestato dai suoi stessi connazionali e poi morto) che quel controllo era sfuggito a molti, in quei giorni. Lo scopriamo grazie alle rivelazioni di un convegno tenutosi domenica 13 ottobre all’Avana, che ha riunito i protagonisti ancora in vita di quella crisi: c’era, naturalmente, Fiedel Castro. C’era Robert McNamara, 40 anni fa segretario della Difesa. C’erano lo storico Arthur Schlesinger e Ted Sorensen, all’epoca consigliere di Kennedy. C’era il direttore degli archivi della sicurezza nazionale di Washington, Tom Blanton.
Lo scopriamo, più in dettaglio, grazie a testimonianze, immagini e documenti raccolti da Oggi a Mosca, che i russi che conosceranno dalla Tv domenica 24 ottobre, giorno del 40° anniversario della giornata più critica della storia, quando il mondo fu ad un soffio dalla guerra nucleare, grazie ad una costruzione tv, Profondità russe, a firma del registra Aleksandr Maksimenko. Quel 27 ottobre 1962, con l’abbattimento sui cieli di Cuba di un aereo spia americano, l’episodio chiave fu l’intercettazione di un sottomarino sovietico, a nord dell’isola.
Dal 16 ottobre, due giorni dopo la pubblicazione delle foto scattate dai satelliti americani, era in vigore il blocco navale intorno a Cuba. L’aveva deciso Kennedy. Che fosse un blocco vero e proprio e che le unità americane avessero l’ordine di ricorrere alle armi per farlo rispettare, è dimostrato da quanto al convegno (per la prima volta) ha raccontato al capitano John Peterson: “Ero secondo ufficiale, imbarcato sull’incrociatore Bearle. Lo scopo del nostro blocco era impedire che a Cuba affluissero altri missili. Quella mattina ci accorgemmo che un sottomarino russo cercava di forzarlo. Immediata la nostra decisione: lanciammo delle bombe di profondità. Dopo un po’ lo vedemmo riemergere. Segnalammo di ritornare indietro e quelli obbedirono”.
Il senso del dramma che si consumava dentro il sommergibile affiora dalla memoria di due sopravvissuti: Vitalij Naumovic Agafonov, l’ex comandante della brigata dei sommergibili russi nella campagna di Cuba, e Vadim Orlov, capitano di fregata, oggi pensionato in Russia e allora responsabile dei sistemi di comunicazione segrete a bordo del sommergibile B-59. Rivela Agafonov: “Dell’aggravarsi della crisi per Cuba noi non sapevamo niente. Ci dissero solo alla partenza, che i nostri sommergibili avrebbero dovuto svolgere una missione importante del governo, attraversando segretamente l’oceano e raggiungendo il porto di un paese amico. Eravamo quattro sottomarini della 69a Brigata della Flotta Nord, contrassegnati dalla lettera B (da Bolshoi “grande”) e dai numeri 4, 36, 59, e 130. Ognuno dei mezzi era dotato di un missile con testata nucleare. Per quanto riguarda le istruzioni sull’impiego di quest’arma, solo il Cremlino o il ministro della difesa in persona potevano impartire l’ordine. Due dei sommergibili avevano partecipato, l’anno prima, sull’isola di Novaja Zemlia, alle prove della bomba nucleare. Il B-130 campeggiato da Nikolai Shumkov sparò due volte e con successione. Veniamo a quei momenti drammatici della crisi di Cuba: “Gli attimi più difficili li vivevamo nelle acque delle Bahamas, quando i nostri sommergibili penetrarono al di là delle 5 linee americane di sbarramento, superando la soglia limite del blocco anticubano. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, fu per noi il primo contatto corpo a corpo con il nemico potenziale. E finalmente potemmo guardarlo negli occhi. Fummo circondate dalle navi americane, da 5 a7, che ci rinchiusero, lateralmente, in un anello di ferro. Loro ci mitragliavano dagli aerei: un acquazzone di pallottole, perché ci sparavano da quota bassissima. Nella zona più difficile finì il sommergibile B-59, del capitano Valentin Savitzkij, nel cui equipaggio si trovano anche il capitano di fregata Vasilij Arkhipov e il suo vice, responsabile per il morale a bordo, Ivan Maslennikov. Gli americani si comportarono in una maniera indecorosa. Ci suonarono una musica assordante, ci mostrarono le parti basse del corpo denudate, si facevano beffe della nostra bandiera, bruciandola e calpestandola, ci sputavano addosso….”
Conclude Agafonov, indicando per la prima volta quella che era stata l’ora X dell’apice della crisi: “il 27 ottobre 1962 fu il momento più critico nella vita dei Kennedy e del mondo intero. Alle ore 10.27 [ora di mosca, 8.27 italiane, ndr] il ministro della difesa McNamara informo il presidente dell’approccio delle navi russe alla linea di blocco mentre sott’acqua avanzava un sottomarino. Kennedy si trovò di fronte a una scelta drammatica: se iniziare la guerra o disinnescarla. Il nostro sommergibile era il fiammifero accendere il fuoco della guerra nucleare”.
Quello che accade in quei momenti drammatici della mattina del 27 ottobre a bordo del B-59 sovietico è ricostruito in un libro di memorie dell’ufficiale Orlov: “Dentro il sottomarino fa un caldo infernale, 45-50 gradi, in taluni punti anche 60. Il contenuto di ossigeno è vicino a quelli pericolosi. Un marinaio di guardia cade per terra perdendo i sensi: altri lo seguono. Stiamo tentando di fuggire dall’attacco dell’incrociatore americano. La fuga continua per quasi quattro ore. Improvvisamente, gli americani fanno esplodere vicino a noi una bomba. Pensiamo tutti: ecco la nostra morte. Savitzkij, che è al comando della nave, disperatamente stanco, non riesce a contattare il comandante della Marina.
“Dopo l’attacco con le bombe di profondità, diventa furioso e chiama l’ufficiale responsabile del missile a testata nucleare e gli ordina di tenerlo pronto per il lancio. «Può darsi che già siamo in guerra con gli Stati Uniti mentre noi qua sotto stiamo facendo solo chiacchiere», grida, motivando l’ordine di colpire l’America. «Adesso siamo pronti a colpirli. Forse, noi non moriremo, ma li affonderemo tutti quanti, così non copriremo di vergogna la flotta sovietica». Ma non spararono il missile nucleare, perché Savitzkij riuscì a controllare la sua grande rabbia e, dopo aver consultato Arkhipov e Maslenikov, prese la decisione di affiorare…..”
Fate attenzione alle ultime parole in corsivo: nascondono l’episodio chiave della storia del mondo. Per far partire il siluro atomico contro l’incrociatore americano e innescare la terza guerra mondiale, sarebbe bastata al comandante l’approvazione dei suoi due vice: per il lancio servivano tre “si”, Arkhipov invece fu deciso: “Niet, no, non lanciamo!”.
Un voto contro due. Il B-59 emerse e si arrese. E la terra continuò a ruotare, e le notti a seguire i giorni. Grazie capitano Arkhipov.
Ma i più curiosi non si fermino qui. Quel sospiro di sollievo tirato dall’umanità coincise anche con una fine alquanto grottesca dello scontro in mare. Quando riemerse, il B-59 si trovò la strada della fuga tagliata dall’incrociatore Beagle: che fare? Arkhipov, il capitano del niet, ebbe un’idea. Dal ponte di comando, gli americani vedono due marinai russi, seminudi, a portare a fatica un cassettone con scritto, in inglese, Kgb: top secret. Prima della resa i russi cercarono di disfarsi del materiale compromettente. Buttando in mare il cassettone, portato sempre più lontano dalla corrente. L’incrociatore americano fa una manovra per inseguire il “bottino”. Quando la distanza tra i russi e americani supera il chilometro, il B-59 in un batter d’occhio sparisce dalla superficie del mare. Possiamo solo indovinare le parolacce del capitano del Beagle che, fatto recuperare e tirare a bordo il cassettone, vi trova dentro L’Opera Omnia di Karl Marx e di Lenin. Fu per questo scherzo, ritenuto “indecente e imperdonabile” dal tribunale del partito di Lenin, che il capitano Arkhipov fu punito e incarcerato per alcuni mesi al ritorno nella sua città di Murmansk, sulla penisola di Kola, nel cui cimitero oggi riposa. Che l’autore di quello “scherzo indecente” fosse l’uomo che salvò il mondo dall’Apocalisse, i russi lo apprendono solo oggi.
Viktor Gaiduk
Salvatore Giannella