Autore Topic: intervista a massimo fini sul conflitto afghano  (Letto 928 volte)

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Offline jorek

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intervista a massimo fini sul conflitto afghano
« il: Maggio 07, 2011, 12:49:25 pm »
http://www.lavoceditrieste.info/index.php?option=com_content&view=article&id=1244%3Aintervista-a-massimo-fini-sulle-radici-etiche-universali-del-conflitto-afghano&catid=39%3Aattualita&Itemid=37

Intervista a Massimo Fini sulle radici etiche del conflitto afghano
di Stefano Tieri  -  Venerdì 06 Maggio 2011 13:33

Intervista di Stefano Tieri

Premessa. Gli analisti strategici sanno che la notizia dell'uccisione di Usâmah bin-Lâdin, leader di Al Qa'idah, è un successo dubbio, perché trasforma in mito forte un latitante in declino e la sua eresìa islamica, favorendo successori più forti ed un proselitismo policentrico. Mentre l'Occidente si deve disimpegnare dalla guerra in Afghanistan trattando con i tâlibân, movimento integralista composito e militarmente inestirpabile che ha per leader il Mullah Mohammad ‘Umar. Questo è il quadro politico-strategico convenzionale.

Ma nel suo nuovissimo, puntuale libro Il Mullah Omar , ed in quest'intervista, l'intelligenza libera di Massimo Fini va diritta alla radice e natura del vero conflitto profondo che oltre ad animare  terrorismi e guerre attraversa la società contemporanea di tutto il pianeta.

È un conflitto di resistenza dei principi etici – nel bene e nel male – della tradizione spirituale connaturata ai livelli superiori del pensiero umano, contro quella che sembra liberazione etica moderna, ma è regressione ad un culto amorfo del progresso materiale. Da un lato stanno le dottrine che danno comunque un senso al vivere ed al morire, e dall'altro la cultura del vuoto e del panico esistenziali.

 

Occorre quindi comprendere che le chiavi per affrontare questo conflitto globale diffuso stanno al di sopra delle strategìe politico-militari da campo, e smentiscono i dogmi globali di sinistra e di destra su un mondo di solo mercato e profitto. Le riflessioni di Massimo Fini possono essere di buon aiuto. [pgp]

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«Combattente contro gli invasori sovietici per la libertà del suo paese, combattente contro i “signori della guerra” per sottrarre la povera gente alle angherie e alle violenze dei prepotenti di sempre; combattente, ora, contro gli arroganti e ipocriti occupanti occidentali»: Questo il ritratto – in estrema sintesi – che lei fa del Mullah Omar, guida dei talebani afghani. Perché occuparsi di questa figura proprio ora?

Siccome la situazione in Afghanistan è tale che i talebani hanno rioccupato tutto il territorio tranne le grandi città (e quindi c’è uno stallo che inoltre provoca migliaia di morti), è chiaro che qualsiasi pace deve passare attraverso il Mullah Omar, capo riconosciuto dai talebani. Poi a me interessava – a parte tutta la vicenda afghana e il movimento talebano (ad esempio perché nasce: se non lo si capisce non si può nemmeno comprendere perché è stato in grado di resistere dieci anni al più potente esercito del mondo) – proprio la figura di quest’uomo, che è piuttosto eccezionale.

A proposito di questo conflitto, definito da Attilio Cucchi “guerra post-eroica” e che vede soldati armati in modo antidiluviano da un lato e droni dall’altro: può rappresentare in qualche modo lo scontro fra il passato, dove l’uomo era posto al centro, e il futuro, dove l’uomo viene sempre più relegato ai margini?

Io la leggo anche come lotta dell’uomo contro la macchina. Comunque sì, rappresenta esattamente questo: man mano che la tecnologia procede in tutti i campi – e con essa l’economia – il centro si sposta dall’uomo (a partire dalla rivoluzione industriale) altrove, e l’uomo diventa un’appendice della macchina.

Dostoevskij, un secolo e mezzo fa, scrive: «non tentate di intimorirmi con il vostro benessere, le vostre ricchezze, la rarità delle carestie e la velocità dei mezzi di comunicazione! Le ricchezze sono aumentate, ma le forze sono diminuite. Non c’è più una forza che diriga il pensiero: tutto si è rammollito, tutto e tutti sanno di marcio» (l’Idiota, 1869)

Dostoevskij è un grande anticipatore, queste parole le condivido fino all’ultimo fonema. Il processo dall’epoca in cui scriveva Dostoevskij a oggi ha assunto ritmi progressivamente sempre più veloci, diventando assolutamente mostruoso.

Dobbiamo quindi rassegnarci alla vittoria di questo futuro, di questo marciume?

Ci sarà prima o poi un’implosione del sistema, il quale, dal momento che si basa sulle crescite esponenziali (che esistono in matematica ma non in natura), non può reggere: nel momento in cui non può più crescere – e ci siamo abbastanza vicini – implode su se stesso. Quindi si avrà una situazione in qualche aspetto simile a quando cadde l’impero romano dando origine al feudalesimo europeo, con una differenza però importante: l’estensione dell’impero romano era uno sputo rispetto al vasto mondo di allora; questo invece è un sistema planetario, quindi il suo tracollo provocherà anche una catastrofe planetaria. Poi si potrà ricominciare…

Cosa abbiamo perso abbracciando il futuro? Guardando all’Afghanistan attraverso il suo libro (un Afghanistan dove il Mullah Omar viene visto “alieno” dall’occidente proprio perché propone l’antimodernità «nell’era della modernità trionfante»), è impossibile non notare negli afghani tanti valori che un tempo appartenevano anche a noi…

Noi abbiamo perso una serie di valori pre-politici che ci sono appartenuti in tempi non tanto lontani, come il coraggio (fisico e morale), la dignità, il rispetto della parola data, etc. Basti pensare che sulla testa di Omar c’è una taglia di 25 milioni di dollari e il capo tribale presso cui si è rifugiato ha fatto finta di trattare per dargli il tempo di guadagnare terreno sui suoi inseguitori, mentre qui non ci si vende per 25 milioni di dollari, ma per quattro soldi; e non parlo delle escort, parlo in generale.

Ci raccontano che in Afghanistan stiamo esportando libertà e democrazia. Ammesso che ciò sia vero, stiamo esportando ben altro: c’è un intero capitolo nel suo libro (dal titolo esaustivo: “come si distrugge un Paese”) che lo spiega accuratamente. Che ruolo ha in tutto questo processo la televisione, che il Mullah Omar aveva fatto distruggere appena salito al potere?

La televisione ha un ruolo molto importante qui come lo ha ovunque: è un potente mezzo di cattura del consenso e i suoi effetti si vedono anche in paesi come l’Italia. È un po’ più difficile che faccia presa fra gli afghani: gli occidentali sono certo riusciti a corromperne un po’, facendo più disastri di quanti ne aveva fatti l’Unione Sovietica (la quale si era “limitata” a disastri materiali, non anche morali ed economici), però c’è un nocciolo vasto e duro che non ci sta. C’è quella bella lettera del soldato italiano a cui dedico il libro – Matteo Miotto – il quale dice: «questi popoli hanno saputo conservare le proprie radici, dopo che i migliori eserciti, le più grosse armate hanno marciato sulle loro case, invano. L’essenza del popolo afghano è viva». Io spero che questo possa essere ancora possibile anche se l’inquinamento portato dal mondo occidentale è stato potente, tant’è vero che Ashraf Ghani, il più occidentalizzante dei candidati alle elezioni farsa che ci sono state nel 2009 (quindi non sospettabile di simpatie talebane), afferma: «nel 2001 eravamo poveri ma avevamo la nostra moralità, mentre i miliardi di dollari che hanno inondato il Paese ci hanno tolto l’integrità». I guasti sono stati notevoli.

Uno dei valori esportati è la “libertà”. Mi viene però in mente la denuncia in sede civile e penale che ha ricevuto per la pubblicazione di questo libro, laddove una firmataria della denuncia – Souad Sbai, parlamentare del pdl – ha scritto su “Libero” che «il libro non l’ho letto e non lo leggerò mai». Di quale “libertà” si sta quindi parlando?

Diceva Talleyrand: «preferisco i delinquenti ai cretini perché i primi ogni tanto si riposano»; questo è un episodio di cretinismo. Il fatto è che noi abbiamo una cultura diversa – individualista, che fa parte della nostra storia, ora totalmente in crisi – però pretendiamo di esportarla con le buone o con le cattive anche a popoli che hanno storia, tradizioni, concezioni della vita, della morte, della famiglia, completamente diverse dalle nostre. Dovremmo preoccuparci di più di quello che succede in occidente, della progressiva distruzione dell’uomo. E come prima cosa dovremmo ricominciare a insegnare la buona educazione.

Altro aspetto che emerge dal libro, oltre all’arroganza militare dell’Occidente, è anche l’ottusità (e anche un’ostentata ignoranza) con cui guarda ad una cultura così diversa dalla propria.

È il motivo per cui questo esercito potentissimo perde in Afghanistan: sono andati lì senza conoscerne la mentalità, le tradizioni, la storia. Così hanno commesso una tale serie di errori che ha portato l’insurrezione talebana a diventare nazionale: oggi tutti in Afghanistan (gente di campagna, di città, persino le donne – le più mortificate dall’interpretazione rigida della Sharia ad opera dei talebani) vogliono una sola cosa, che gli occidentali se ne vadano.

Il pretesto dell’attacco all’Afghanistan è stato la mancata estradizione di Osama Bin Laden, allora sul suolo afghano. Data la recente notizia della (presunta) uccisione del terrorista, ci dobbiamo aspettare un ritiro delle truppe dall’Afghanistan?

Se vogliamo interpretare in modo positivo questo falso (perché di un falso si tratta: l’immagine era taroccata e non si vede perché dovevano mandarne una falsa avendo lì il morto e potendo quindi fotografarlo come volevano; hanno gettato il corpo in mare, facendo così sparire ogni traccia,…) possiamo supporre che l’abbiano fatto per avere poi una giustificazione per ritirarsi dall’Afghanistan. Anche perché non possono più reggere economicamente: spendono 1 miliardo di dollari l’anno per stare lì quando la crisi economica americana è notevolissima.

C’è la possibilità di un diverso Occidente? Perché se è vero che (è lecito nutrire seri dubbi data l’attuale legge elettorale) le elezioni sono la massima espressione dell’autodeterminazione di un popolo, ora che in molte città le elezioni amministrative sono alle porte, quali sono secondo lei i punti che un amministratore locale dovrebbe tenere presenti, affinché un reale cambiamento possa verificarsi?

Credo che ciò sia impossibile, la democrazia rappresentativa è un modo per metterlo nel culo alla gente (soprattutto alla povera gente) col suo consenso. Certo, qualche amministratore può lavorare bene sul proprio territorio, ma quando il sistema è quello del produci-consuma-crepa si può fare poco o niente. Poi l’amministratore ha l’ostilità – sempre – dei quadri superiori del partito a cui appartiene. Dall’interno non riusciremo a cambiare, il sistema imploderà da solo. Non so dire in quali termini, però non ne siamo lontanissimi…