Chiedo scusa se non ho risposto prima, ma stavo leggendo l'opera di Rino Della Vecchia. Per la cronaca, l'ho trovato un libro illuminante: ho cominciato piuttosto titubante, ma già dalle prime pagine mi sono completamente immerso. Insomma, per farla breve alla fine ero tipo: "Come ho fatto a vivere vent'anni della mia vita senz'averlo mai letto?". Ottimo saggio, scorrevole e inappuntabile. (PS: Sbaglio o Della Vecchia è inattivo recentemente?)
A parte questa nota laterale, rispondo sul merito ad Animus - che ringrazio per l'immeritato "brillante".
Quoto marmocchio.
Nemo è un utente brillante, ma non ha abbastanza background culturale (specifico sul tema) per avere una visione complessiva sul fenomeno.
Ovvero attribuire il fenomeno sociale del femminismo al '68 così come alla sinistra e al marxismo è una visione di parte e miope.
Senza offesa per Nemo, che come ho detto, è cmq brillante nei suoi post.
Del resto se già nell'800 e ancora prima si parlava di emancipazione femminile, significa che la sua genesi non sta nel marxismo e derivati...ovvio.
E' chiaro che anche tutta la parte scritta in Qmdt che attribuisce al femminismo (latu sensu) la stessa origine è quantomeno, fallata e faziosa, ovvero, sarebbe da riscrivere.
Forse, col tempo, se n'è reso conto lo stesso Rino:
"Se ne potessimo attribuire la causa al solo femminismo, saremmo a posto.
Ma giacché ha attecchito così facilmente è giustificato il sospetto peggiore, quello che qualcuno ha avanzato ... dolorosamente."
Anzi, sicuramente.
Animus
Il femminismo, storicamente, è stato diviso in tre grandi correnti, o "ondate" (
waves): la prima ondata (primi anni del XX secolo), la seconda ondata (dal Sessantotto fino ai primi Ottanta) e la terza ondata (che sarebbe quella che stiamo vivendo oggigiorno).
Si parlava di emancipazione femminile anche nel XIX secolo. Vero. Ma il femminismo ha indubbiamente assorbito alcune o gran parte delle proprie idee attuali nell'ambiente del movimentismo sessantottino, a livello
mondiale: l'esasperata enfasi sull'uguaglianza a tutti i costi, gli elementi di revisionismo storico, l'eterno "stato intermedio" da cui si può andare avanti nella società perfetta o si può tornare indietro nell'inferno del Patriarcato/Stato Borghese che giustifica ogni sorta di misura, la società livellata e levigata per forza di legge, lo "psicoreato", la burocrazia bizantina opposta alla meritocrazia, il controllo dell'economia... questi capisaldi dell'ideologia femminista sono senza dubbio eredità provenienti dal suo periodo "rosso". Certamente le
suffragettes non praticavano il lesbismo politico, o predicavano lo sterminio maschile.
Che il femminismo militante - quel che ne resta - sia di sinistra è un fatto che tutti possiamo osservare, limpidamente. Che il femminismo sia stato strettamente legato alle sinistre è storia: non erano certo la DC o il MSI a volere aborto e divorzio (per l'amor del cielo, facoltà sacrosante). Per definizione, la sinistra è progressista e la destra (o i moderati) conservatrice. Siccome il femminismo è progressista, per forza dev'essere di sinistra. È un sillogismo piuttosto inattacabile, per come la vedo io.
Interessante è il caso del femminismo americano, che invece ha forti legami con il movimento afroamericano (in genere, nei college si trovano accorpati gli
Women's Studies e gli
Afro-American Studies, i cui diplomi sono entrambi piuttosto poco fruttiferi nel mondo del lavoro): non a caso molte femministe statunitensi attribuivano la colpa di ogni disgrazia, dalla guerra all'unghie incarnita all'Old White Male; altresì, assai minore è stato l'influsso del comunismo, che comunque in America è da sempre tabù assoluto, specie in epoca di Guerra Fredda: infatti le femministe americane mostrano un approccio più "capitalistico" alla faccenda, mentre le nostrane credono di poter sovieticamente livellare tutto a colpi di decreti, strette poliziesche, leggi e "campagne di rieducazione".
Ancora diverso è il caso della Carfagna o di altri pseudo-moderati che, per ragioni puramente demagogiche ed elettorali, supportano a vario titolo misure pseudo-femministe.
Dicevo in un altro post sulla guerra in Libia, una delle vittorie del femminismo è stata quella di instillare l'idea che se una cosa è buona per le donne, allora è buona per tutti, a prescindere. Viceversa, ciò che è buono per gli uomini è male per tutti. Probabilmente, questo dogma sopravviverà al femminismo in sé, e molti altri speculeranno, in un modo o nell'altro, su di esso per ramazzare voti. Tanto più che le donne costituiscono ben metà del bacino elettorale. Se, poniamo, i ciechi costituissero metà del corpo elettorale, tutti i governi si produrrebbero in cospicue misure a favore dei non vedenti, anche solo per dargli l'effimera illusione dell'uguaglianza. Esempio pratico, le soldatesse.
Il femminismo militante, lo dico e lo ripeto, morirà di morte senile. Alcuni dei suoi slogan e dei suoi preconcetti potrebbero essere trasmessi alle prossime generazioni, alla Terza Repubblica.
Altro discorso è se le "conquiste" del femminismo siano irreversibili o meno.
La dico subito: credo di no. Perché dovrebbero esserlo? Cosa le rende eterne o radicate? Una causa esterna di forza maggiore, o anche un'evoluzione della società può cancellare le conquiste del passato.
A nulla servì la cultura di Ipazia quando fu aggredita dai monaci cristiani, e a nulla servirono le belle parole della rivoluzione francese quando Napoleone si proclamò imperatore. A nulla servì la parvenza di modernizzazione introdotta dai russi quando l'Afghanistan cadde preda dei mujaheddin prima e dei talebani dopo, e a nulla servirà l'illusione di democrazia imposta dagli americani quando questi scapperanno a gambe levate. (A questo proposito, consiglio la lettura di
Mille splendidi soli di Hosseini, da introdurre nell'elenco dei maschipentiti: tutti, e dico tutti, i personaggi maschili - perfino il bambino Zalmai - sono presentati come difettivi e deprecabili, tranne il padre della protagonista Laila, maschiopentito
ante litteram; viceversa, le donne sono tutte buone e brave, tranne quelle asservite alla cultura maschile come le mogli di Jalil)
Quale causa di forza maggiore potrebbe ribaltare le carte morali in tavola? La crisi. Che la società occidentale sia in caduta libera è lampante.
Appellarsi ad una "decrescita" è ingenuo: non si può regredire, tornare indietro, si può solo andare avanti. Ricordare i "bei tempi", il "si stava meglio quando si stava peggio" è inutile. Non torneremo mai agli anni '50, ficchiamocelo in testa. Guardiamo avanti: la società sta peggiorando (non regredendo) ad una velocità impressionante. Non scenderemo da dove siamo saliti, franeremo dall'altro versante della collina. Speriamo di poter approfittare di questo decadimento per spazzare via i nostri nemici.