SE L’INFORMAZIONE FA TERRORISMO (Il Giornale, 8 ottobre 2009)
Cominciai a scrivere per il Giornale perché accadde che un giorno fui animato dalla imperdonabile presunzione di volermi rendere utile ad una società più ampia di quella, strettissima, interessata alla chimica teorica (che è la mia specialità). Accadde nel 2000, quando il Paese già da un pezzo era entrato nel pallone – era anzi ampiamente all’apice – dell’isteria da elettrosmog. Il quale, si temeva, diceva, e, soprattutto, scriveva, avrebbe mietuto leucemie infantili in abbondanza. Non conoscendo nulla sull’argomento ma avendo una figlia che era, allora, un’infante di 3 anni, sentii l’obbligo d’informarmi. In capo ad un’ora scoprii dalla letteratura scientifica disponibile che l’elettrosmog non esisteva.
Animato dalla imperdonabile presunzione di rendermi utile, dicevo, sollevai il telefono e composi il numero della redazione di quello che, quando ero piccolo, ricordo, mio papà diceva essere il più stimabile quotidiano nazionale: il Corriere della Sera. La conversazione col capo-redattore si svolse nei termini seguenti:
– Buon giorno, sono un docente del dipartimento di fisica dell’università di Roma; vi interessa un articolo sull’elettrosmog?
– Eccome no, professore, è l’argomento del giorno… ma mi raccomando, non sia troppo tecnico… sa, i nostri lettori… Ma, piuttosto, cosa vuol scrivere?
– Che l’elettrosmog non esiste.
– Allora no, non ci interessa, grazie.
– Ma come… le leucemie… i bambini…
La circostanza era curiosa perché erano mesi che quasi quotidianamente tutti i giornali, nessuno escluso, denunciavano l’inquinamento elettromagnetico. Ancora più curioso il fatto che la conversazione si ripeté, esattamente nei termini sopra esposti, quando telefonai a Repubblica e alla Stampa. Quarto della mia lista era il Giornale; anch’esso, come tutti gli altri, avvertiva dei rischi da elettrosmog, ma quando gli telefonai ebbi tutt’altra accoglienza: si incuriosirono, mi chiesero di inviar loro l’articolo e lo pubblicarono. Da allora cominciò sia la mia collaborazione al Giornale, sia l’impegno del quotidiano a denunciare la frottola-elettrosmog. L’impegno durò per mesi anche perché, nel frattempo e con mio stupore, anziché rivedere le proprie posizioni in merito, tutti gli altri quotidiani elevarono vieppiù il livello di allarmismo. A onor del vero, tutti fuorché Libero: ricordo ancora una lunga conversazione telefonica col vicedirettore Renato Farina che mi telefonò perché voleva apprendere come stavano i fatti. Gli raccontai, tra le altre cose, che trovavo strano che il Corsera avesse pubblicato un articolo ove riportava, completamente alterati, i risultati di ricerca del grande epidemiologo Richard Doll: questi aveva trovato che l’elettromog non esisteva, ma il più stimabile quotidiano italiano pubblicò esattamente il contrario. Raccontai a Farina che avevo pure telefonato a Doll, a Oxford, per avere conferma di quanto il Corsera aveva riportato: era tutto sbagliato, mi disse e mi scrisse Doll. Pur da collaboratore del Giornale, mi sembrò corretto che fosse il Corsera a smentire, lo contattai ma si rifiutò di pubblicare le dichiarazioni di Doll da me intervistato. Naturalmente il bravo Farina non si lasciò sfuggire l’occasione e mi chiese che inviassi a lui l’intervista a Doll, che fu così pubblicata da Libero.
Per farla breve, a quel tempo sulla faccenda elettrosmog vi era da una parte il Giornale e Libero; dall’altra, a terrorizzare su un’emergenza – era venuto alla luce – inesistente per la scienza, il resto del gotha dell’informazione italiana, televisione inclusa.
In prima linea c’era Rai3, sia nei Tg che in vari programmi tipo Report o simili. Ricordo ancora quando il Tg3 mi intervistò: avevo dichiarato alle loro telecamere che l’elettrosmog non esiste, ma con un appropriato taglia-e-cuci mandarono in onda una mia dichiarazione con l’esatto contrario di quel che avevo detto. Inviai una email alla povera giornalista che aveva realizzato il servizio, la quale mi rispose scusandosi ma anche dichiarando che non poteva farci niente.
Quanto ai politici, c’era, da una parte, interessatissimo a far passare la frottola-elettrosmog, l’intero centro-sinistra (che era al governo). Con una sola eccezione: Umberto Veronesi, che però, allora, non era un politico ma “solo” il ministro della Sanità; essendo anche stimato oncologo, non aveva evidentemente alcuna intenzione, solo per compiacere i suoi colleghi di governo, di perdere la faccia predisponendo la prevenzione dai tumori tramite interramento delle linee di trasmissione elettrica (perché di questo – 60mila miliardi di lire – si trattava). Dall’altra parte c’era il centro-destra, all’opposizione, che navigava nella più assoluta ignoranza sulla questione, coi più che s’erano fidati di quel che avevano appreso dagli organi di – diciamo così – informazione. Quando la verità cominciò a emergere, una minoranza, più perspicace di tutti, osservò del rischio che, se avessero fatto propria la voce della scienza, il loro leader, Silvio Berlusconi, sarebbe stato oggetto di ulteriori pesantissimi attacchi (di cui certamente non sentiva il bisogno) di conflitto d’interessi: da proprietario di reti televisive era anch’egli responsabile di quell’inquinamento.
Particolarmente interessante fu l’atteggiamento di Antonio Di Pietro. Per ragioni sulle quali è ora troppo lungo dettagliare, il senatore mi aveva contattato per chiedermi di aiutarlo nella stesura della voce protezione-ambientale del suo programma politico, dicendomi che intendeva porre, al centro dello stesso, la questione – a suo dire – morale. Onorato di tanta considerazione gli dissi di dubitare di intendermi io di questioni morali ma che, per quel che capivo, poteva forse interessargli la faccenda elettrosmog che, al di là dei 60mila miliardi di lire, stava impropriamente allarmando l’intero Paese, e che avrebbe potuto rassicurare, almeno lui – che non era col centrosinistra né possedeva impianti di emissioni di campi elettromagnetici – che l’elettrosmog non esiste. Mi rispose che non poteva farlo perché non poteva perdere voti e che avrebbe invece messo la lotta all’elettrosmog al centro del suo programma di protezione dell’ambiente. Sconsolato per la certezza di non intendermi affatto di questioni morali salutai definitivamente il senatore.
Chiosa finale: NEL 2001 il centro-destra vinse le elezioni e nel 2002 il bravo Altero Matteoli, allora ministro all’Ambiente, pose la pietra tombale sulla questione in modo da evitare al Paese lo sperpero di 60mila miliardi di lire in interramento delle linee di trasmissione elettrica, una manovra che, anche se fatta, non avrebbe evitato neanche una leucemia infantile. Antonio Di Pietro, invece, assieme a Verdi, Rifondazione comunista e compagnia cantando, nel 2003 organizzò un referendum che, se fosse passato, avrebbe obbligato, comunque, l’interramento dei cavi elettrici e lo sperpero di 60mila miliardi. Gli italiani al referendum di Di Pietro neanche ci andarono.
Franco Battaglia