Autore Topic: I diritti-desiderio non sono per tutti  (Letto 1037 volte)

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Offline jorek

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I diritti-desiderio non sono per tutti
« il: Maggio 25, 2011, 18:20:33 pm »
I diritti-desiderio non sono per tutti
Etichette: diritti, diritto, fainotizia


«Ciascuno dei cosiddetti diritti dell’uomo è la negazione di altri diritti dell’uomo e, se esercitato separatamente, genera ingiustizie».
La citazione è di Michel Villey, filosofo del diritto francese le cui tesi sono richiamate nel dibattito a più voci sui cosiddetti “diritti-desiderio”, pubblicato dal sito Il Sussidiario e avviato da un corposo articolo di Guido Piffer e Tomaso Emilio Epidendio, magistrati e giuristi; dibattito tuttora in corso, con pluralità di qualificati interventi.
Nell'articolo in questione e negli altri che ne sono seguiti viene sostenuta una tesi non nuova, ma di particolare interesse se osservata dalla particolare angolatura del giurista. La tesi è che sia in corso una mutazione profonda del concetto di diritto soggettivo e dello stesso ragionamento giuridico a cui dà luogo, allo scopo di corrispondere alle aspettative della nuova antropologia egotista ed autoreferenziale così diffusa nella cultura e nelle dinamiche sociali del c.d. mondo post-moderno.
Con la secolarizzazione da un lato e la caduta delle grandi utopie laiche dall'altro, è venuta meno la possibilità teorica e pratica di pensare ad un «bene comune» come ad uno dei possibili obiettivi a cui dovrebbe tendere tanto la produzione legislativa quanto la concreta applicazione delle norme del diritto vivente.
Il politeismo dei valori, il conseguente rifluire delle singole coscienze nel privato, l'atomizzazione dei rapporti sociali che Bauman ha descritto nella società liquida, la perdita di fiducia in un futuro comune che occupa la riflessione sociologica sin dagli anni settanta, non sono affatto temi nuovi; ciò che appare come un fenomeno emergente, correlato a quelle dinamiche generali già previste e teorizzate da tempo, è il rapporto che si instaura tra cittadino e norma o, meglio, tra cittadino e diritto a seguito di quei mutamenti sociali.
Nell'epoca dei diritti-desiderio - scrivono gli autori - «si assiste alla rivendicazione come diritto di qualunque pretesa soggettiva, cioè di qualunque desiderio, espressione di una concezione dell’esistenza individualistica (ciò che esiste è solo il singolo con le proprie aspirazioni) e relativistica (non esiste nessun criterio oggettivo di giudizio esterno al soggetto).»
Si denota così un preoccupante spostamento di accenti da una concezione del diritto inteso come disciplina dei rapporti sociali – la funzione intimamente limitativa e ordinativa dello jus classico - ad un’altra concezione "ampliativa", secondo la quale funzione del diritto (inteso come corpo normativo) sarebbe quella di assicurare adeguato riconoscimento al diritto soggettivo di volta in volta ritenuto prevalente nella specifica circostanza, spesso a scapito degli altri diritti coinvolti.
Questo fatto si rende particolarmente evidente - secondo gli autori che, è bene ricordarlo, sono magistrati in servizio - nell'azione quotidiana del giudice, il quale mette sempre più frequentemente il proprio magistero al servizio di un valore ritenuto prioritario, arrivando per tale via a quell'argomentazione per diritti che, «anche a costo di forzare il dato normativo», tende essenzialmente a dare riconoscimento ad un diritto soggettivo considerato più degno di tutela degli altri coinvolti, arrecando in tal modo una lesione a questi ultimi e alla terzietà della propria funzione.
In questa prospettiva, inoltre, ciò che si va facendo più rarefatto e irriconoscibile nella dinamica dei rapporti giuridici è che ad ogni diritto soggettivo corrisponde un sistema di doveri degli altri attori sociali o, comunque, una delimitazione delle altrui libertà.
«Noi tutti - scrivono ancora Piffer ed Epidendio - siamo abituati a pensare che se affermiamo un diritto stiamo facendo qualcosa di positivo, stiamo tutelando un debole di fronte all’oppressione di una forza che vuole predominare ingiustamente. Soprattutto ci sembra che se affermiamo e quanto più affermiamo l’esistenza di diritti, tanto più estendiamo le possibilità dei soggetti a cui li attribuiamo e, quindi, facciamo qualcosa di positivo per tutti. Con l’affermazione della logica individualista del diritto-desiderio è emersa invece la portata retorica negativa del “linguaggio dei diritti”: essa occulta l’idea che trasformare ogni desiderio in diritto implica riconoscere un’enorme quantità di obblighi a carico di altri.»
La decadenza di una comune base metagiuridica nella quale andare a rintracciare "ciò che è oggettivamente giusto" - le fondamenta naturali del diritto, secondo alcune interpretazioni dottrinali - apre in tal modo la strada ad istanze particolari a scapito di altre, quando non nasconde la volontà soggettiva di modellare i fatti giuridici secondo preferenze ideologiche.
Il «bene comune» che si è smesso di cercare è, infatti, il luogo idealtipico dove contemperare le esigenze dell'individuo con quelle della società, affinché il desiderio di tizio non diventi il sacrificio di caio ed il bene di una parte sociale non si traduca nel male dell'altra.
Naturalmente, il dibattito in questione ha ben altra profondità di analisi e spessore concettuale; tuttavia, se volessimo racchiudere il senso delle tesi esposte in una definizione riassuntiva, si potrebbe dire che la denuncia ha a che fare con quell'iper-politicizzazione della sfera sociale che - oltre ad avere raggiunto e invaso la sfera privata dell'individuo, modificandone le aspettative rispetto ai pubblici poteri - alligna persino nei luoghi della neutralità ideologica per definizione, quali i tribunali e le sedi deputate alla semplice applicazione super partes delle norme in essere.
Sicché, con buona pace di quanti vanno proclamando, ormai da anni, il declino delle ideologie, ritenute semplici residuati di un novecento sorpassato dalla storia, siamo costretti ad ammettere che la logica dei valori in reciproca contrapposizione è più viva che mai; anzi, essendo entrata stabilmente nella mentalità della persona comune, acuisce quelle conflittualità sociali nelle quali la rivendicazione di un diritto dell'io o del noi si traduce nell'affermazione perentoria di un valore che si proclama superiore e prevalente, contro il disvalore incarnato dal tu o dal loro.
«C’è una sorta di aggressività - si legge in uno degli altri contributi pubblicati - che sottende la logica dei valori che spiega l’espressione tirannia dei valori: “il valore superiore ha il diritto e il dovere di sottomettere a sé il valore inferiore”. Lungi dal neutralizzare il conflitto, la logica dei valori inasprisce la lotta delle convinzioni e degli interessi, facendo scomparire ogni riguardo nei confronti del nemico, in quanto “il non-valore non gode di alcun diritto di fronte al valore”.»

Piffer ed Epidendio, in quanto giuristi conservatori, hanno in mente una casistica concreta come l'invocato diritto al matrimonio omosessuale, l'invocata abolizione del Crocifisso nelle scuole, gli invocati diritti degli immigrati, l'invocato diritto all'eutanasia e invocazioni analoghe.
Tuttavia, si potrà comprendere come sia stato leggendo l'intero dibattito - sotto la suggestione di quella citazione iniziale - che mi sia passato per la mente di immaginare il precedente articolo "Voglio tutto".
Se, infatti, c'è un terreno nel quale lo spostamento dell'attenzione giuridica dal rapporto al soggetto si dimostra più fertile e gravido di effetti tangibili, quello è sicuramente il terreno del rapporto tra i sessi.
Tornando alla sommaria elencazione dei desideri femminili che sono stati riconosciuti come diritti o ancora attendono di essere sanciti, formulata nell'articolo a cui si fa seguito e si dà chiusura, ci si accorgerà che non sono affatto distanti da quella concezione di posizione giuridica soggettiva prevalente che spesso, se non sempre, viene riconosciuta nel farsi della vicenda giuridica, a scapito di quella maschile.
Non esiste, anzi, quasi nessun altro rapporto sociale nel quale l'affermazione di diritti soggettivi abbia assunto connotazioni tanto antagonistiche, ultratutelate in sede di giudizio e pressoché prive di un corrispettivo oneroso, in termini di doveri correlati a vantaggio della controparte, quale la rivendicazione dei diritti femminili nei rapporti familiari, lavorativi, sociali, politici e persino giudiziari.
Sappiamo anche quale sia l'ideologia sottesa a questo fenomeno e la tirannia del valore che intende affermare: quello dell'uguaglianza a tutti i costi e del livellamento forzato tra un sesso e l'altro.
Sicché, se è vero, come è vero, che viviamo nell'epoca dei diritti-desiderio, è altrettanto vero che non tutti i desideri godono della medesima considerazione e delle stesse tutele, i diritti-desiderio non sono per tutti e c'è sempre qualcuno che, in nome dell'uguaglianza, "è sempre più uguale degli altri", come Orwell aveva già capito tanto e tanto tempo fa.



Pubblicato da Gibbì
mercoledì 25 maggio 2011


Offline jorek

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Re: I diritti-desiderio non sono per tutti
« Risposta #2 il: Maggio 25, 2011, 18:44:33 pm »
LA COSTITUZIONE DELL’OCCIDENTE E IL RELATIVO
25 maggio 2011
di Giuseppe Corona


Se, come già dissi in pre­ce­dente arti­colo, l’Assoluto, alla maniera dell’antico, è l’incontrovertibile, la Verità che assi­cura e guida, eterna, esso è l’Agathon pla­to­nico, l’Idea delle idee, il Buono per eccel­lenza. Se Dio, dun­que, è Verità eterna, è Buono, e il male, si dedusse, non appar­tiene al suo dire e fare, ma a un ente infe­riore e imper­fetto, l’uomo, cui, però, è stata data la libertà di sce­gliere, il libero arbi­trio. Tut­ta­via l’Assoluto è un ente, il Sommo ente, ma ente, ente che è essenza ed essenza che è ente, ente, però, che nes­suno riu­scì a sco­vare, arti­sta sommo del nascon­di­mento. Un ente total­mente buono non si scorse in nes­sun tempo e in nes­sun luogo. In realtà, è la prova del male che Dio, que­sto Dio, per quanto onto­lo­gi­che, cosmo­lo­gi­che e teleo­lo­gi­che, fos­sero que­ste prove, non superò la prova dei sensi, l’esistenza di un ente buono, ed eterno, nes­suno lo vide e lo toccò, né altra via dei sensi lo per­cepì. La verità è che, per ab-solverlo, le prove pro­ce­de­vano per rimo­zione, dei sensi, della carne!, si dovette, alla fine, defi­nirlo “aso­ma­tos”, incor­po­reo, pren­dendo in pre­stito Aristotele.

Un ente incor­po­reo, bah! Può essere, un ente simile, la nega­zione della carne, una buona cosa? Molto dubitò l’uomo e di dub­bio in dub­bio giunse al moderno. I sensi dis­sero no a que­sto Dio, lo ucci­sero, fu la fine di quell’Assoluto che, magari, esi­ste ma altro è, non Dio, forse non è nem­meno eterno – dogma, in senso kuh­niano, ma non eterno! Trionfò il par­ti­co­lare, l’empiria, che, però, a dif­fe­renza dell’antica non si ispi­rava a Prin­cipi asso­luti, al Verbo, invece di vin­co­larsi si divin­co­lava svin­co­lan­dosi. Da allora, svin­co­lato, si dichiarò libero, ognuno ha potuto cre­dere, auto­riz­zato, tutto ciò che a lui par di essere e di dover essere. Dostoe­v­ski, sgo­mento, si chiese: “Ma, allora, tutto è per­messo?”. Il parere, infatti, trionfò, opi­nione moderna, tutti diven­nero opi­nio­ni­sti e Face­book sem­bra rea­liz­zare, fino in fondo, que­sto sogno, il sogno del giorna-lista, di colui che fa la lista delle cose, giorno per giorno.

Nac­que la stampa libera, oggi più che mai, per­chè l’opinione è sacra, va tol­le­rata se non rispet­tata, anche se fa male a qual­cuno o a tutti. Si disse, per la verità, temendo di averla detta troppo grossa, “pur­ché non dan­neggi nes­suno”, ma valla a tro­vare un’opinione che non dan­neggi nes­suno! Non essen­doci alcun­ché che valga per tutti, un asso­luto, uno sciolto dalle opi­nioni, que­ste sono svin­co­late e libere, invece di un’orchestra e un con­certo la musica diventa dis­so­nanza totale, sem­pre di più improv­vi­sa­zione e rumore. Ognuno fa quel che gli pare giu­sto per sé, ossia ciò che gli pare e piace. Così è ine­vi­ta­bile che sia, se ognuno è per-sè, per­sona, che rifiuta l’in-se. La guida vera diventa il pia­cere, ma cos’è il pia­cere? Ciò che sod­di­sfa il mio, il tuo, il suo desi­de­rio, ognuno per sé, non “uno per tutti e tutti per uno”. Ciò che ti gusta vien con­si­gliato di fare, assi­cu­rata è la tol­le­ranza dell’uomo libe­rale, che non è la libe­ra­lità dell’uomo antico, ove la libe­ra­lità è il pro­di­garsi, il donare, il pren­dersi cura. Il gusto di ognuno va tol­le­rato, se non rispet­tato, va con­cessa all’azione di ognuno che abbia die­tro delle ragioni, come non rispet­tare la ragione di ognuno? E, però, vallo a chie­dere allo stu­prato, bambina/o, adulta/o, vecchia/o, che sia. Cre­scono, di con­tra, sem­pre più i sen­ti­menti di ven­detta, è il gusto del vio­len­tato, va tol­le­rato e rispet­tato! Anche i vec­chi si orga­niz­zano in movi­menti, ne hanno ben donde per la soli­tu­dine in cui ven­gono lasciati, deboli e mal­trat­tati, quando vigeva l’Assoluto, per loro era altra la musica, la vec­chiaia era vene­rata, adesso biso­gna chie­dersi se uscire di casa ma, anche, se rimanerci!

Per­ché accade tutto ciò? Per­ché, oggi, non c’è più asso­luto del rela­tivo, del par­ti­co­lare che si astrae dal tutto, dall’assoluto. E’ que­sto il tempo dell’arte astratto, delle mani al posto dei piedi e vice­versa, degli organi ses­suali al posto della bocca e vice­versa, in poli­tica, della mano destra che non sa cosa fa la sini­stra. Anche la poli­tica è astratta, asso­luta! Forse tutto ciò, per qual­cuno è stata pro­te­sta, iro­nia, con­tro l’arbitrio, il più delle volte, ormai, è puro arbi­trio che giace nei musei moderni dove il visi­ta­tore, in visi­bi­lio, dice: “inte­res­sante”, ma fra sé e sé, dopo un poco, si chiede: ma cos’è? Già il quid di una volta, l’Assoluto. E’ solo un breve momento di smar­ri­mento, si passa subito ad altro di inte­res­sante. Arte per l’arte, musica asso­luta, pit­tura e scul­tura astratta, liri­smo inti­mi­stico, con stati d’animo e visioni fol­go­ranti astratte dalla vita del tutto, che, chissà per­chè, ven­gono pub­bli­cate e pre­ten­dono più che l’applauso, gri­do­lini di pia­cere inef­fa­bile. Già, tutto è per il pub­blico e tutto è pub­bli­ciz­zato, astratto e, allo stesso tempo, pub­blico, figli l’uno dell’altro. E’ la nascita dell’individuo, intoc­ca­bile e pri­vato, ossia un astratto dai rap­porti, pri­vacy asso­luta, nel pro­prio angolo. Tut­ta­via, più ci si nasconde più si viene spiati, per­chè cre­sce la curio­sità se il nasco­sto aumenta. Quanto pia­cere dà una curio­sità sod­di­sfatta, e il pia­cere va sod­di­sfatto se è nel gusto dell’uomo curioso e pet­te­golo! Guar­doni e pet­te­goli, that’s it, isn’t it?

Nasce il roman­ti­ci­smo, lo psi­co­lo­gi­smo spic­ciolo su pas­sioni tor­bide e sor­dide dell’intimo, pri­vacy e psi­co­lo­gia, figli l’uno dell’altro! Solo spio­nag­gio, tutti spiano e tutti pro­te­stano per essere spiati, ma, in fondo, chi non darebbe qual­cosa per essere spiato? Si può diven­tare famosi, in ogni caso, qual­cuno parla di te, si può vivere senza che alcuno parli di te. L’occhio delle tele­ca­mere è l’aspirazione di tutti. La società è il luogo del Con­tratto sociale, della Costi­tu­zione, essa fu imma­gi­nata come luogo di soci per uscire dallo “stato di natura”, dell’ “homo homini lupus”. E’ acca­duto que­sto? Tutte le nostre Costi­tu­zioni dell’Occidente sono Con­tratti sociali, rifiu­tano l’homo homini lupus. Si può, oggi, dire che così sia? E’ que­sto l’esito dei Con­tratti sociali, delle Volontà gene­rali figlie dei con­tratti, dei patti, pat­ti­zie? O è lo scan­na­mento gene­rale? Cosa si rifiutò dav­vero? E’ pere­grino pen­sare che si rifiutò l’Assoluto e che que­sti acco­mu­nava, e, con esso, si rifiutò la comu­nità natu­rale, per­chè per natura l’uomo è desti­nato ad acco­mu­narsi, non, invece, per­chè pro­te­sta con­tro la natura, ad asso­ciarsi? Difatti il Con­tratto sociale è figlio dell’uomo pro­te­stante, del contronatura!Era que­sta la Natura, la Phy­sis di Era­clito, di quella Natura che amava nascon­dersi, che quando si sve­lava, appa­riva in tutta la sua forza nutri­ti­zia, bella e sapo­rosa, bene­fat­trice, quasi fosse un Asso­luto? Quello che fu una volta e poi non più, nel tempo dell’assolutismo degli indi­vi­dui, delle classi, della parte? Saranno scom­parse le ideo­lo­gie, ma non sono que­ste, invece pro­prio le idee astratte dell’individuo astratto, sin­golo o col­let­tivo, non è tutta un’astrazione il nostro tempo? Si vada a cal­co­lare l’incremento degli –ismi! Antico e moderno, non c’è signi­fi­cato di parola che appaia lo stesso, che non sia stato tra­dito e stra­volto, deva­stato, per­chè ognuno di noi ha voluto diven­tare un Asso­luto! Eppure, se, con pas­sione e, qual­che volta, adi­rato, difendi il comune, l’individuo rab­bio­sa­mente ti salta addosso e ti incolpa di volerti imporre con la vio­lenza. Tri­sti tempi per chi cerca il Comune, l’Assoluto, nel tempo della pri­vacy e della psi­co­lo­gia sentimentale.

Psi­co­lo­gica è la Costi­tu­zione dell’Occidente, tutti ada­giati sul let­tino dello stu­dio! La natura dei moderni è altra cosa che l’antica, è qual­cosa cui biso­gna con­trap­porre il Con­tratto Sociale, l’arte, la tec­nica, la società e lo Stato, l’artefatto. Per essere un ani­male sociale l’uomo esce dallo stato di natura. Che cosa strana, per l’antico l’obiettivo era essere natu­rale, rag­giun­gere lo stato di natura che si nascon­deva, per il moderno, invece, è il con­tra­rio, l’obiettivo è rag­giun­gere lo Stato sociale. L’abbiamo rag­giunto, rove­sciando il signi­fi­cato delle parole, la testa sulla terra e i piedi in aria. C’è qual­cosa di strano e biz­zarro in tutto ciò. Biso­gna guar­dare meglio den­tro que­sti asso­luti moderni, que­sti indi­vi­dui asso­luti che si ammas­sano ma non si uni­scono. Nella Società è impor­tante sta­bi­lire una rela­zione tra Massa e Potere, chi più ammassa più sem­bra di avere potere, ma, nella massa, gli indi­vi­dui sgo­mi­tano e scal­pi­tano, non sop­porta l’essere toc­cato, ognuno cerca di ste­ri­liz­zarsi, come Jack Nichol­son nel film “Accadde una volta”. Viene, alla fine, sal­vato dall’amore, ma è un film, fic­tion! Nella realtà l’amore, la cura, è scom­parso. Insieme all’assoluto che veniva chia­mato Dio, ma Dio non è. Dio è altro, ma forse qual­cosa ha a che vedere con l’assoluto che, forse, vale qual­cosa, forse è il senso, il Valore. Val la pena di inda­gare sulla que­stione! Ma ci vor­rebbe un poeta, colui che crea! Non i nostri poeti che si pian­gono addosso lacrime asso­lute! Chissà! I Con­tratti sociali si sciol­gono come neve al sole, ma ven­gono difesi dagli astratti con le unghie e con i denti, imbra­cando sem­pre più la vita. Già, la Vita, cos’è, è qual­cosa? Può essere qual­cosa la vita, visto che scorre sem­pre e cam­bia, cam­bia peren­ne­mente? Eppure le diamo un nome, ma lo vuole essa? Forse è Lei che può darci un cenno su come dovreb­bero andare le cose tra il fon­da­mento, l’Assoluto, e il par­ti­co­lare, il rela­tivo, senza cadere nel fon­da­men­ta­li­smo, dell’uno o dell’altro, asso­lu­ti­stico o relativistico.

Giu­seppe Corona, 24 mag­gio 2011
Zona di fron­tiera (Face­book) — zonadifrontiera.org (Sito Web)