Sacconi mi è sempre stato sulle balle.http://www.corriere.it/economia/10_giugno_04/marro-sacconi-tappe-eta-pensionabile-_81ffc18e-6f9c-11df-b547-00144f02aabe.shtml?fr=box_primopianoPECHINO - La lettera della vicepresidente della Commissione europea Vivianne Reding ha raggiunto il nostro ministro del Lavoro ieri, mentre si trovava a Shanghai per guidare la «missione di sistema» in Cina. La prima reazione di Maurizio Sacconi è stata di sorpresa. Pensava che la questione dell’aumento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego fosse stata risolta da tempo. E dire che non era stato facile. Quando l’anno scorso arrivò la sentenza della Corte europea di giustizia che condannava l’Italia perché donne e uomini non avevano la stessa età di pensionamento (60 le prime e 65 gli uomini) nel governo subito ci fu chi, come il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, voleva cogliere l’occasione per portare tutti a 65 anni. Non solo nel pubblico impiego, come prevede la sentenza europea, che si limita a intervenire sui dipendenti degli Stati membri, ma anche nel privato. Sacconi si mise di traverso e, grazie anche all’aiuto del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, riuscì a far approvare dal Consiglio dei ministri un’applicazione della pronuncia limitata e graduale: solo per le dipendenti pubbliche, prevedendo un aumento dell’età pensionabile di un anno ogni due, in modo da arrivare a 65 anni nel 2018. Su questa soluzione, spiega ora Sacconi, c’erano stati degli «affidamenti» europei. E quindi il ministro era tranquillo.
Sacconi era poi riuscito a sventare un secondo tentativo di riforma solo poche settimane fa, quando in un bozza della manovra, probabilmente lo zampino della Ragioneria generale aveva infilato un’accelerazione del percorso, così da arrivare a 65 anni nel 2016. Ma la norma era stata prontamente tolta e, ribadisce Sacconi, «nel decreto di manovra non c’è alcuna accelerazione» rispetto alla tabella di marcia iniziale. Adesso però sarà pressoché impossibile resistere al terzo assalto. Il ministro ne è consapevole. Sa che la commissaria lussemburghese alla giustizia e ai diritti fondamentali è irremovibile. La sua lettera parla chiaro: la sentenza della Corte europea va applicata integralmente e subito, senza tentennamenti. Sacconi teme che, in caso contrario, si apra una procedura di infrazione, col rischio di pesanti multe a carico dell’Italia. Che fare allora? Il ministro è deciso a negoziare per ottenere un compromesso. Per riuscirci cercherà di convincere la commissaria che «situazioni diverse meritano trattamenti diversi» e che «in materia previdenziale i cambiamenti vanno fatti sempre con gradualità, perché non si possono stravolgere i percorsi di vita delle persone ». Sacconi è consapevole che c’è da superare una sorta di «barriera culturale». L’approccio del Nord Europa è drastico: mette la parità sopra ogni altra considerazione. Al punto che la cosa che più ha sorpreso il ministro è che nei rilievi che vengono da Bruxelles, paradossalmente, si censura la discriminazione a danno degli uomini, costretti dalle leggi italiane ad andare in pensione 5 anni più tardi. Ma è evidente che non si può pensare di portare tutti a 60, dice Sacconi, perché questo farebbe saltare i conti previdenziali: 65 anni per tutti e subito sarebbero però una «forzatura».
Il ministro porterà alla commissaria alcuni numeri. L’età «effettiva» di pensionamento in Italia è di 61,5 anni per gli uomini e di poco più di 60 anni per le donne, questo perché una parte va in pensione d’anzianità, soprattutto tra gli uomini. Le donne invece sono spesso costrette ad andare in pensione di vecchiaia, cioè a 60 anni, perché «a causa di una carriera discontinua» (maternità, cura degli anziani e dei disabili)non hanno i 35 anni di contributi necessari per andare in pensione prima. Questo significa, conclude Sacconi in base a uno studio appena fatto, che «se oggi l’età fosse di 65 anni per tutti, gli uomini continuerebbero ad andare via a 61 anni e mezzo mentre le donne dovrebbero arrivare a 63,8». È questo quello che vuole la Reding? Si avrebbe una discriminazione per le lavoratrici. Tanto più se i 65 anni si dovessero estendere anche al settore privato, aggiunge Sacconi. Perché qui «le donne correrebbero seriamente il rischio di attendere il raggiungimento di questa età in una condizione di disoccupazione, cosa che non accade nel pubblico impiego, dove quindi è giusto un aumento graduale». Insomma, una cosa sono i bei principi un’altra la realtà. Soprattutto italiana. Che non è quella dei Paesi del Nord Europa, dove per le lavoratricimadri ci sono gli asili nido e servizi di cura per i disabili. «Noi abbiamo impostato una serie di politiche in questo senso. Quando le donne avranno le stesse opportunità degli uomini allora anche nel privato si potrà pensare a una stessa età di pensionamento. Ma ora non sarebbe giusto».
Enrico Marro