Autore Topic: Mal d’amore. Pillole magiche e medicina debole  (Letto 1020 volte)

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Offline jorek

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Mal d’amore. Pillole magiche e medicina debole
« il: Giugno 14, 2011, 22:26:06 pm »
http://www.uominibeta.org/2011/06/14/mal-d%E2%80%99amore-pillole-magiche-e-medicina-debole/

Mal d’amore. Pillole magiche e medicina debole
di Alessandro Giuliani

Due notizie apparentemente non correlate (a ben vedere lo sono in maniera strettissima) ci parlano di una svolta epocale, paragonabile a quella dell’inizio della scienza moderna con i lavori di Keplero e Galileo. Solo che qui, se non ci stiamo attenti, non si parla della nascita di una nuova scienza ma della fine di ogni approccio scientifico alla realtà.

Normalmente vado al lavoro in bicicletta, ma qualche giorno fa avevo una riunione con dei miei colleghi in un Istituto di ricerca appena fuori Roma e quindi ho preso la macchina. Questo mi ha offerto l’occasione di ascoltare alla radio una notizia che a tutta prima mi sembrava uno scherzo. La forma era quella di un annuncio pubblicitario, una voce maschile molto seria e compunta diceva più o meno così: “la tua fidanzata ti ha lasciato ? Tuo marito ti tradisce? Basta soffrire di mal d’amore, corri in farmacia ad acquistare Amorex”. L’attesa battuta di spirito non arrivava, così ho deciso di indagare se quella che avevo sentito non fosse veramente la propaganda di un farmaco ed effettivamente le cose stavano proprio così.
Amorex è effettivamente un preparato medicinale e sul sito www.amorex.it il lettore di stomaco forte potrà scoprire che la medicina vende tantissimo in tutta Europa e finalmente (sic) ora è a disposizione anche in Italia, non senza un’agghiacciante disamina di tutti i casi in cui può essere d’aiuto, tutto posto sotto l’egida di una disincarnata ‘amicizia’ laddove l’amico può essere (sullo stesso piano) il figlio, la moglie o il cane. “Questo amico può essere un familiare come un proprio figlio, un parente e, nella maggior parte dei casi, è l’amato compagno di vita o consorte. Però alcune persone si affezionano a un animale da compagnia che procura loro innumerevoli gioie e ogni giorno le è vicino”.

Lasciamo stare pure considerazioni di salute pubblica per cui un antidepressivo (di questo poi alla fine si tratta) viene venduto senza ricetta con tutti i rischi di effetti collaterali indesiderati e concentriamoci su un livello più profondo: i normali dolori che la vita ci propone non sono più considerati come facenti parte della nostra umanissima condizione esistenziale, sono delle malattie, qualcosa di cui liberarsi il prima possibile, non sfiorandoci neanche l’idea che questi passaggi dolorosi possano essere occasione di crescita e maturazione spirituale. Ma quando mai! Prenditi una pasticca e silenzia subito la tua anima prima che ti venga da pensare a chi sei veramente…
Ora non c’è nulla di male a usare la chimica per alleviare i dolori dello spirito; da che mondo è mondo questa è stata ad esempio la funzione del vino (bevo per dimenticare) ma si tratta di una pratica inserita in un quadro assolutamente differente rispetto al farmaco. Il senso del vino è quello di cercare consapevolmente uno stordimento che lenisca un dolore che però non si percepisce come ‘diverso da sé’ (il vino non è vissuto come farmaco): quindi possiamo essere più o meno d’accordo sull’efficacia di una sbronza ma si tratta comunque di una risposta ‘umana’ non delegata ad una tecnica esterna indipendente dalle nostre emozioni.
Al vostro commentatore scientifico, per sua deformazione professionale, viene subito da pensare a quale possa essere stata la sperimentazione per dimostrare l’efficacia clinica del preparato; la via obbligata per l’approvazione di qualsiasi trattamento come ‘farmaco’ è basata su prove di efficacia secondo il paradigma del ‘doppio cieco’. In poche parole si tratta di dividere una certa popolazione omogenea per patologia, età, e varie altre condizioni al contorno che potrebbero influenzare l’eventuale risposta al farmaco, in due gruppi: al gruppo T (trattamento) viene somministrato il farmaco, al gruppo P (placebo) viene invece somministrato un preparato senza alcuna proprietà farmacologica (es. acqua zuccherata). Né il medico che somministra la cura né il paziente che la assume sa a quale dei due gruppi fa parte (da qui il nome doppio cieco) in maniera che eventuali fattori psicologici non influenzino l’esito della cura. Difficile immaginare due gruppi di ‘malati d’amore’ che si presentano in ospedale per la sperimentazione, più facile immaginare che si tratti dell’ennesimo prodotto da banco privo di ogni evidenza empirica, tutto sotto la malaugurata egida del rimedio naturale, visto che si tratta di un estratto da una pianta che cresce in Costa d’Avorio (anche la cicuta per inciso è una pianta). Ma torniamo al nostro doppio cieco: la filosofia di base è che l’azione farmacologica per essere tale debba essere ‘oggettivabile’ debba cioè prescindere da tutte quelle condizioni al contorno che ne rendono l’eventuale efficacia non controllabile come ad esempio la fiducia nel medico o le aspettative del paziente. Se però questi ‘fattori estranei’ debbono essere tenuti sotto controllo dalla procedura d’indagine, questo implica che la medicina ‘ufficiale’, anche se magari non lo dice chiaramente, pensa che siano dei fattori potenti ed efficaci, solo che consapevolmente li elimina dall’orizzonte della sperimentazione in quanto vuole accreditarsi come ‘scienza galileiana’ e quindi esclusivamente fondata su ripetibili e ‘fondate esperienze’. Il ‘livello organico’ può essere considerato indipendente dal mentale e modificabile a piacimento fino a suggerire (come nel caso dell’ Amorex) che comunque tutto si possa ridurre all’organico, a interazione di molecole. Fino a trenta anni fa questo (per molti versi giustificato) orgoglio ha permesso di produrre un armamentario terapeutico vastissimo che ha permesso di debellare molte e gravi malattie; poi le cose hanno cominciato a non funzionare più e il numero di nuovi farmaci immessi sul mercato è miseramente crollato. Ed alla fine, in una data piena di risonanze, il 5 Maggio 2011, sulla più prestigiosa rivista medica del mondo, il New England Journal of Medicine esce un articolo dal titolo ‘Pragmatic trials: guides to better patient care?’ (Sperimentazioni pragmatiche: strade verso una migliore cura dei pazienti?). In questo lavoro il cardine della ‘medicina come scienza’ dell’oggettività dell’efficacia che permetteva alla cosiddetta ‘medicina occidentale’ di guardare con superiorità ad altri tipi di rimedi crolla rovinosamente. L avvisaglie c’erano già state da un po’ di tempo (vedi ad esempio Benecomune.net, ‘Un pauroso scricchiolio’ http://www.benecomune.net/news.interna.php?s_titolo=scricchiolio&notizia=752 ), ma ora il crollo è totale gli autori (anche se con un po’ di pudore) ammettono che il doppio cieco è una procedura poco ‘ecologica’ (notare la scelta delle parole, di questi tempi se una cosa si definisce come poco ecologica significa implicitamente che è cattiva) in quanto l’ecologia del trattamento (ecology of care nelle parole degli autori, ma perché non dire la normale pratica medica ?) implica che sia il medico che il paziente conoscano il farmaco che si sta usando e che quindi alterare questo aspetto possa interferire con i risultati (l’esatto opposto della medicina scientifica fino alla settimana scorsa ! Il discorso è stato completamente rovesciato) e, soprattutto, non permetta non tanto di conoscere l’efficacia di un farmaco rispetto al placebo (di questo pare che non interessi più molto a nessuno da quando, con un ragionamento del tipo volpe ed uva, i farmaci hanno smesso di funzionare) ma, cosa giudicata molto più importante, dell’efficacia relativa di un farmaco A rispetto ad un farmaco B. Per far questo gli autori prospettano un paradigma di sperimentazione completamente ribaltato: via il doppio cieco, tutti devono sapere tutto, ma via anche i ‘criteri d’inclusione’ (il bilanciamento dei possibili fattori confondenti nei due gruppi, il focalizzarsi su una sola patologia) e via la dichiarazione a priori di una ‘delimitazione nel tempo e nello spazio’ della sperimentazione, quando un ospedale, un centro di ricerca, avrà raggiunto ‘una evidenza sufficiente’ di efficacia per un trattamento non dovrà far altro che comunicarlo , mostrare i dati, e il trattamento potrà essere considerato a tutti gli effetti un farmaco.
Facciamo ordine. Al di là dei giri di parole ci è appena stato detto (ma senza allarmismi per carità) che cinquanta anni di medicina scientifica sono un capitolo chiuso, che gli organismi non sono più considerabili come ‘macchine’ (o comunque separabili in mente e corpo o anima e corpo a seconda dei gusti) e che se vogliamo avere qualche residua speranza di allargare ulteriormente le già ampie possibilità di cura dobbiamo rovesciare la nostra ottica: la medicina esce dal novero delle scienze come classicamente le intendiamo.
Questa è, per molti versi, una buona notizia: finalmente abbiamo la possibilità di considerare realisticamente il problema della complessità del vivente, la presenza e uguale dignità di saperi diversi da quelli più rigidamente razionalistici e meccanicisti e finalmente ci si prospetta la possibilità concreta di ampliare l’area della ragione (come ci spinge instancabilmente a fare il Santo Padre). Ma questo non ci deve portare a ‘gettare il bambino con l’acqua sporca’: possiamo sicuramente abbandonare il doppio cieco ma questo ci deve spingere non ad un indebolimento dei vincoli ma ad un loro esame più attento, ci deve portare ad un’attenzione moltiplicata a tutti quegli aspetti magari impalpabili, vaghi, che però devono necessariamente essere inseriti esplicitamente e quantitativamente nella sperimentazione e non semplicemente ‘dati per scontati’. Questa potrebbe essere una grandissima occasione per avverare il sogno di Pascal di coniugare ‘esprit de finesse’ ed ‘esprit de geometrie’ per una piena umanizzazione della scienza. Ma lo stato dell’arte, e la diffusione dell’ Amorex, ci portano a prendere in considerazione uno scenario molto peggiore: l’allentamento dei vincoli della sperimentazione consentirà qualsiasi speculazione immettendo sul mercato prodotti inefficaci basandosi esclusivamente sul ‘prestigio della scienza’ per suggestionare i pazienti, tutto sarà medicalizzato trasformando l’intera popolazione in ‘potenziali malati’ e quindi consumatori di farmaci. La scienza, trasformata in una caricatura stregonesca dell’originale, sarà definitivamente trasformata nel suo contrario (magia) e diventerà alla lunga una sorta di religione senza amore da cui accetteremo ogni possibile assurdità.
Solo noi cattolici, come amici della verità (e quindi della scienza) e insieme consapevoli più di altri fratelli cristiani degli inganni nascosti nell’uso ideologico dello scientismo, abbiamo i mezzi culturali e gli anticorpi spirituali per difendere la vera scienza dalla sua possibile degenerazione, è una battaglia di importanza fondamentale per la salvezza di tutti, una sorta di Armageddon, citando Chesterton, che cento anni fa aveva già previsto tutto questo “La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto”. (Gilbert Keith Chesterton, ‘Eretici’ Lindau Editore).

Offline Stealth

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Re: Mal d’amore. Pillole magiche e medicina debole
« Risposta #1 il: Giugno 15, 2011, 21:49:16 pm »
Più che mal d'amore direi mal di pillole. O meglio sindrome compulsiva da impillolamento.