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A questo proposito ricordo di un tragicomico scritto di Giubizza in cui tutti gli "errori" dell'uomo nell'ambito del rapporto sessuale sarebbero dimostrazione di incapacità, mentre gli stessi "errori" se commessi dalla donna sarebbero espressione di vitalità. Come al solito due pesi e due misure.
Del resto, ora che mi ci fai pensare, Marrazzo diceva anche che le prostitute sono migliori perchè non giudicano. Vivere il sesso come un esame non dev'essere una gran cosa. E allontana.
Tra il maschio e la femmina, l'uomo e la donna, esisteva un patto di sangue: ognuno dei due era indispensabile all'altro. Pura e semplice sopravvivenza di specie, diciamo così senza sconfinare nell'escatologico.
Il maschio e la femmina erano costretti a parlarsi, a scendere a patti, e nessuno dei due poteva distruggere l'altro. Era necessario che ognuno dei due possedesse valore e bellezza specifici, caratteri mitologici, immagini di riferimento formate, affinché fossero giudicabili e desiderabili agli occhi dell'altro, tanto sotto l'aspetto evolutivo-biologico quanto sotto quello della corrispondenza a costumi e convenzioni; costumi e convenzioni che erano in compatibilità con le esigenze e le dinamiche evolutive e riproduttive primarie. Valori e caratteri del desiderio e dell'etica: che dovevano quindi mantenersi e tramandarsi da generazione a generazione.
I sessi costituivano uno dei pilastri della convivenza: convenzioni, linguaggio, pudore, desiderio, potere, rinuncia, limite. Esperienza viva della distanza col diverso da me, con l'altro, con l'etero.
La normazione del patto di sangue andava ben oltre la semplice sequenza
elezione-corteggiamento-unione, che delineano il mito della sessualità di oggi andando a costituire quello che comunemente è percepito come sesso liberato.
Liberato da cosa?
Se elezione, corteggiamento e unione rispondono alle esigenze evolutive e biologiche, senza alcun riferimento al piano dei costumi e delle convenzioni, cos'è cambiato tra prima e adesso?
A questo punto la risposta è ovvia: il sesso di oggi è stato spogliato del costume sociale, ridotto a funzione, ricacciato nelle caverne, dove la funzione include anche l'eccitazione sessuale, che è subdola e ingannevole; in modo tale che a colui o colei che copula la cosa appaia come mozione del proprio desiderio.
Ma così, nella modernità, non è.
Quel desiderio, quella mozione, hanno oggi come fine l'accoppiamento ma non comportano più alcun cambiamento nella nostra esistenza. Terminato l'amplesso, nessuna differenza tra i due potrà essere ancora stabilita, entrambi torneranno nella terra omologa di nessuno e di tutti, quella terra dove abitano da subito i bambini svedesi educati a non possedere un sesso, al non appartenere sulla base del sesso. La mancanza di un piano esistenziale e linguistico legato al genere, che ci renda liberi di andare oltre le forme anatomiche dell'atto specifico, è il segnale che la relazione non è stata realmente una nostra scelta, non nella misura che crediamo, bensì un'imposizione, illusoriamente letta dalle nostre condizionate coscienze, come una scelta.
La libertà sessuale consiste nella libertà di esercitare l'atto e nello stesso tempo nel divieto di identificarsi come maschio o come femmina, come aderenti a ruolo e funzione sociale, in conseguenza dell'atto.
La libertà sessuale è un inganno ciclopico: facendo un parallelo essa corrisponde a una democrazia dove fosse concesso votare ma dopo vietato discutere, confrontarsi, dibattere sui motivi della propria scelta. Un regime dove fosse vietato identificarsi coi propri simili: per sentimento, ordine di pensiero, stile di vita; di fatto uccidendo il senso stesso pratico, democraticamente diretto, reale, del voto espresso.
Un siffatto regime che si auto-definisse democratico sarebbe considerato sedicente e ingannevole. Stranamente nessuno considera sedicente e ingannevole il mito della libertà sessuale ereditato dal sessantotto.
La trasformazione dalla dimensione del sesso esistenziale a quella del sesso anatomico, avviene nella civiltà di oggi in contemporanea con la "uccisione del padre": attraverso la criminalizzazione e la trasformazione in imputato del pene, quindi di ogni soggetto che sia suo portatore, con possibilità di attenuanti verso chi sia disposto a dichiarare la propria colpevolezza. Questa coincidenza cronologica, quella tra libertà sessuale e uccisione del padre, non è casuale.
Secondo il giudizio comune figlio del sessantotto il padre, il riproduttore di sesso maschile, sarebbe colui che ha impedito nella storia l'espressione della libertà sessuale, che da sempre alberga rinchiusa e oppressa nella natura della madre, cioè del riproduttore femminile. Libertà che però, come abbiamo appena analizzato cioè così come viene rivendicata dagli accusatori del padre, consiste in realtà in una libertà cavernicola e sedicente: che mortifica la diversità e il dialogo in una omologazione della cultura di genere, in un appiattimento esistenziale, che sono preparatori della omologazione che ci sarà di lì a poco con la globalizzazione dell'economia (e della cultura).
Malgrado molti si chiamino fuori da questa logica, essa fonda la nuova etica in sostituzione di quella della compatibilità riproduttiva di un tempo: indirizzo delle politiche sociali, del costume, del giudizio di valore.
Il maschio è l'imputato di oggi ed era prevedibile che ogni incontro tra un singolo maschio e una singola femmina, oggi, anche nel buio di una stanza o nell'intimità di una cena tete-a-tete, si sarebbe trasformato, magari anche solo in parte, magari in maniera invisibile a chi non possieda una discreta esperienza, in un interrogatorio; o meglio, in un'intervista la cui scaletta è scritta dall'ONU e alla quale il maschio deve rispondere leggendo su un altro foglietto, scritto sempre dall'ONU, per scagionarsi dalle accuse.
L'inganno non è ancora compreso dai più, ma è sentito.
Come dice il regista navigato di teatro, seduto in platea, a chi tenti inutilmente di pulire una macchia in terra sul proscenio? <<Lascia perdere, tanto si vede ma non si legge>>. Intendendo con questo che nessuno, tra pubblico e critici, noterà né tanto meno ricorderà a spettacolo finito di aver visto una macchia sul pavimento.
Certo. Quando insceni Moliere è sicuramente così.
Prendiamo però il caso in cui, in una commedia che non mi viene in mente, uno dei personaggi insistesse nel ripetere a tutti i presenti: <<Il pavimento è pulito, vi dico e vi ripeto per l'ennesima volta che è perfettamente pulito>>.
In questo caso il pubblico inizierebbe, oltre che a vedere la macchia, anche a leggerla, cioè quel personaggio verrebbe "letto" come bugiardo, e la macchia invisibile con Moliere si trasformerebbe in elemento drammaturgico la cui presenza o assenza è importante.
L'occidente liberale va ripetendo che è fondato su egualitarismo e non discriminazione, ma c'è una macchia, che tutti vedono ma che solo oggi comincia a essere letta. Se non avessero tanto insistito forse non se ne sarebbe accorto nessuno, ma il punto è che Egualitarismo e Non Discriminazione sono i soggetti di una commedia che i nostri politici e le nostre classi dirigenti non hanno scritto, bensì solo messo in scena in modo maldestro. Nel loro caso la macchia sul proscenio doveva essere cancellata prima che si aprisse il sipario; dovevano già sapere, visto quello che andavano a recitare, che ce ne saremmo accorti.