Questa è la nota dolente perchè a mio parere il dato sensibile non ha bisogno della conoscenza dell'osservatore per esistere. Dal punto di vista di un sasso io non dovrei esistere, eppure...
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Spero di essere stato chiaro...
Chiarissimo: sei un materialista.
II metodo obiettivo si può sviluppare con maggior conseguenza e condur più lontano quando si presenta come vero e proprio materialismo.
Questo pone la materia, e con lei tempo e spazio, come esistenti assolutamente, e trascura il rapporto col soggetto, senza pensare che materia, tempo e spazio esistono solo in questo.
Prende poi per filo conduttore la legge di causalità, e con essa vuole avanzare, considerandola come un ordine delle cose in sé esistente,
veritas aeterna; passando così sopra all'intelletto, nel quale e per il quale esclusivamente esiste causalità.
Poi cerca di trovare il primo, più semplice stato della materia, e quindi ricavare da esso gli altri, salendo dal puro meccanismo al chimismo, alla polarità, alla vegetazione, all'animalità: e supposto che ciò riesca, ultimo anello della catena sarebbe la sensibilità animale, il conoscere: che comparirebbe quindi a questo punto come una semplice modificazione della materia, uno stato di questa prodotto dalla causalità.
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Perciò l'assurdità fondamentale del materialismo consiste in questo, che parte dall'oggettivo, e un oggettivo prende come termine: sia poi questo la materia, in abstracto, come essa viene solamente pensata, o la materia data empiricamente, che già ha preso forma, ossia la materia costitutiva, come per esempio i corpi chimici semplici, con le loro combinazioni più elementari.
Cotali cose prende il materialismo come esistenti in sé e assolutamente, per farne scaturire la natura organica e infine il soggetto conoscente, dando con ciò piena spiegazione di quella e di questo — mentre in realtà ogni elemento oggettivo, già in quanto tale, ha in varia maniera per condizione il soggetto conoscente, secondo le forme della sua conoscenza, e quelle forme presuppone; sì che svanisce del tutto, se si toglie di mezzo il soggetto.
Il materialismo è adunque il tentativo di spiegar ciò che ci è dato immediatamente con ciò che ci è dato mediatamente.
Tutto l'oggettivo, l'esteso, l'agente, cioè tutta la materialità, che dal materialismo è ritenuta così solido fondamento delle sue spiegazioni da non potersi più altro desiderare dopo essere stati ricondotti a quella (massimamente se mette capo da ultimo alla legge di azione e reazione), tutto questo, dico io, è qualcosa che è dato più che mediatamente e condizionatamente, sì da avere un'esistenza appena relativa:
perché è passato attraverso il meccanismo e la fabbricazione del cervello...
Con un tal dato pretende il materialismo di spiegare persino il dato immediato ossia la rappresentazione (in cui quello è tutto compreso) e finalmente la volontà stessa, con la quale piuttosto sono in realtà da spiegare tutte quelle forze elementari che si manifestano legittimamente, seguendo il filo conduttore delle cause.
All'affermazione, che il conoscere sia modificazione della materia,
si contrappone sempre con egual diritto l'altra, che ogni materia non è se non modificazione del conoscere nel soggetto, come rappresentazione di questo.
Nondimeno il fine e l'ideale di tutta la scienza della natura è una compiuta attuazione del materialismo.
Ora, l'opinione che riconosce questo come palesemente impossibile è confermata da un'altra verità, che sarà per risultare dal seguito della nostra indagine: che cioè nessuna scienza nel significato preciso della parola — con la quale io intendo la conoscenza sistematica secondo il principio di ragione — può raggiungere una mèta finale né una spiegazione che soddisfi del tutto; perché non coglie mai la più intima essenza nel mondo, né mai può andare oltre la rappresentazione; bensì piuttosto null'altro insegna, in fondo, che il rapporto d'una rappresentazione con l'altra.
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I chimici, in base alla premessa che la divisibilità qualitativa della materia non vada all'infinito come la quantitativa, cercano di ridurre sempre più il numero dei suoi corpi semplici, che sono ancora circa 60: e li avessero pure ridotti a due: ancora vorrebbero ricondur questi due ad uno solo.
Imperocché la legge d'omogeneità conduce alla ipotesi di un primo stato chimico della materia, che solo appartiene alla materia in quanto tale, ed ha preceduto tutti gli altri, come quelli che alla materia in quanto materia non sono essenziali, bensì appaiono forme e qualità casuali di essa. Per altro non si riesce a vedere come un tale stato, non essendovene un secondo in grado di agire su di esso, abbia potuto subire una trasformazione chimica; dal che nasce qui nel campo chimico il medesimo imbarazzo in cui cadde in fatto di meccanica Epicuro, quand'ebbe da mostrare come il primo atomo fosse deviato dalla direzione originaria del suo moto.
Questa contraddizione, che sorge di per se stessa e non si può né impedire né risolvere, potrebbe benissimo esser presentata come un'antinomia chimica: e come essa si trova qui al primo dei due estremi della scienza naturale, così verrà a mostrarsi all'altro estremo una contraddizione corrispondente.
Altrettanto poca speranza v'ha di raggiungere quest'altro estremo; perché sempre più si comprende che non può un fenomeno chimico essere ricondotto ad un fenomeno meccanico, né un fenomeno organico ad un fenomeno chimico o elettrico.
E coloro che oggi s'incamminano di nuovo per questo sentiero fallace dovranno ben presto ritrarsene quatti quatti, come tutti i loro predecessori. Di ciò sarà fatto più ampio discorso nel libro seguente. Le difficoltà qui ricordate di sfuggita si oppongono alla scienza naturale nel suo stesso territorio.
Presa come filosofia, ella sarebbe inoltre materialismo: ma questo porta fin dalla nascita, come abbiamo veduto, la morte nel cuore, perché passa sopra al soggetto e alle forme della conoscenza; le quali nondimeno vanno premesse tanto per la più bruta materia, da cui il materialismo vorrebbe muovere, quanto per la materia organica, a cui vuol pervenire.
Imperocché «nessun oggetto senza soggetto» è il principio, che rende per sempre impossibile ogni materialismo.
Sole e pianeti, senza un occhio che li veda e un intelletto che li conosca, si possono bensì esprimere a parole: ma queste parole sono per la rappresentazione un sideroxylon.
È vero d'altra parte che la legge di causalità e l'osservazione e la ricerca della natura, che su quella si fonda, ci conducono necessariamente alla certezza che ogni più perfetto stato organico della materia ha seguito nel tempo uno stato più grossolano: che cioè gli animali sono comparsi prima degli uomini, i pesci prima degli animali terrestri, le piante anche prima dei pesci, la materia inorganica prima della organica; che quindi la materia primitiva ha dovuto traversare una lunga serie di modificazioni, innanzi che il primo occhio si aprisse.
E tuttavia l'esistenza del mondo intero rimane sempre dipendente da questo primo occhio che si è aperto — fosse pure stato l'occhio di un insetto — come dall'indispensabile intermediario della conoscenza, per la quale e nella quale esclusivamente il mondo esiste, e senza la quale esso non può nemmeno essere pensato: perché il mondo è semplicemente rappresentazione; e tale essendo, abbisogna del soggetto conoscente come fondamento della sua esistenza.
Anzi, quella medesima lunga successione di tempi, riempita da innumerevoli trasformazioni, attraverso cui la materia si elevò di forma in forma fino all'avvento del primo animale conoscente, può esser pensata soltanto nell'identità di una coscienza: di cui essa costituisce la serie delle rappresentazioni e la forma della conoscenza.
Senza quest'identità, tale successione perde ogni senso e non è più nulla. Così vediamo da un lato l'esistenza del mondo intero dipendere di necessità dal primo essere conoscente, per quanto sia quest'ultimo ancora imperfetto; e dall'altro lato con la stessa necessità questo primo animale conoscente dipendere in tutto e per tutto da una lunga catena anteriore di cause e di effetti, alla quale esso viene ad aggiungersi come un piccolo anello.
Queste due opposte vedute, a ciascuna delle quali siamo invero condotti da una pari necessità, si potrebbero dire anch'esse un'antinomia nella nostra facoltà conoscitiva...
La contraddizione che qui da ultimo ci è necessariamente risultata si risolve tuttavia osservando che, per parlare nel linguaggio di Kant, tempo, spazio e causalità non appartengono alla cosa in sé, bensì esclusivamente al suo fenomeno, del quale essi sono forma; il che nel linguaggio mio viene a dire che il mondo oggettivo, il mondo come rappresentazione non è l'unico, bensì è uno degli aspetti, anzi l'aspetto esteriore del mondo; il quale ha poi un tutt'altro aspetto, che è la sua intima essenza, il suo nocciolo, la cosa in sé: e questo noi esamineremo nel libro seguente, dandogli il nome della più immediata fra le sue oggettivazioni — volontà.
Ma il mondo come rappresentazione, il solo che qui consideriamo, comincia veramente dall'aprirsi del primo occhio, senza il quale mezzo della conoscenza esso non può esistere, e quindi non esisteva anteriormente.
Ma senza quell'occhio, ossia senza la conoscenza, non c'era neppure nulla di anteriore, non c'era il tempo.
Schoupenhauer