http://archiviostorico.corriere.it/2011/agosto/31/divieto_scandinavo_troppo_co_9_110831025.shtml
Importare la legge svedese che mette in galera - sia pure per due giorni soltanto - un padre o una madre che dà uno schiaffo al figlio? Forse no, anche se picchiare i figli è quasi sempre un segno di debolezza e, insieme, una vigliaccata, se non altro per il fatto che si tendono a usare questi metodi forti soltanto fino a quando i ragazzi non sono abbastanza grandi e abbastanza robusti per rimandare al mittente schiaffi e schiaffoni. In più, come possono dei genitori che sanzionano i figli in questo modo insegnare loro che è sbagliato riempire di botte i compagni di giochi più piccoli e più deboli? Una legge, però, come quella svedese, sembra un po' troppo, non soltanto per il fatto in sé, ma anche perché darebbe la stura a denunce incrociate tra ex coniugi, tanto per fare un esempio, i quali, per portarsi via a vicenda i figli, molto probabilmente non esiterebbero ad accusarsi l'un l'altro di schiaffeggiamenti per liberare il campo dall' odiato avversario felicemente rinchiuso in galera. E poi, va da sé, ci sono schiaffi e schiaffi, diversi per intensità e numero, che non possono essere sanzionati tutti alla stessa maniera. Ci sono quelli praticamente unici nell' esistenza di un figlio, ci sono quelli che scappano, dei quali un genitore normale spesso si pente subito dopo, ci sono quelli praticamente estorti, voluti, chiamati, provocati i quali, chissà, almeno simbolicamente possono servire a qualcosa. E ci sono anche quelli tristemente seriali, ma questa è un' altra storia che avrebbe probabilmente bisogno di una cura più seria e più lunga del carcere. Inevitabile poi la retorica domanda finale: è giusto mandare in galera un padre o una madre che molla una sberla a un figlio, quando, almeno da noi, in galera non ci vanno, a volte, nemmeno i veri assassini? L'articolo è a firma di Isabella Bossi Fedrigotti ed è del 31 agosto 2011.
La parte sottolineata è specialmente significativa, almeno per me: il fatto che almeno si annusi, si senta nell'aria che qualcosa di profondamente ingiusto può avvenire nelle cause di separazione, è già segno di un certo risveglio.
Almeno abbiamo fatto importanti passi avanti dai deliri "ogni padre è pedofilo", "i padri accusati di violenze sono tutti colpevoli", "le madri vogliono solo il bene dei figli, non mentirebbero mai".
Come nota laterale, io in vita mia da mio padre ho preso solo tre schiaffi: il primo a cinque anni, il secondo a nove e il terzo e ultimo a sedici; quest'ultimo perché avevo preso una nota sul registro a scuola (avevo risposto male ad una professoressa) e devo dire di essermelo meritato tutto, tant'è che tanto forte è stata l'umiliazione, che da quel momento mi sono comportato esemplarmente. Non mi picchiò o diede punizioni, a casa mia non si usava, ma mi diede solo uno schiaffo nemmeno troppo forte accompagnato da una di quelle prediche da farti sentire un verme, ma lo smacco del ceffone fu così forte che quando rimasi solo in camera mia scoppiai a piangere di vergogna.
Ricordo che in IV liceo una ragazza di un'altra classe che si chiamava Mara andò in classe piuttosto malconcia, con un occhio nero e vari lividi sulla faccia. I compagni si profusero in domande, chi è stato chi non è stato, ti hanno fatto male cos'è successo, avvisa i carabinieri fai mettere in galera quel bastardo... niente, non parlò. Non poteva essere il padre poiché era emigrato tempo prima in Germania, ma si considerò la possibilità. Venne addirittura il vicepreside, ma niente: sennonché raccontò lacrimosamente ad una ristrettissima cerchia di amiche e sotto solenne giuramento (io lo venni a sapere dalla mia ragazza la quale era amica di una sua amica che a sua volta... avete capito) che a ridurla così era stata la madre quando aveva scoperto che la ragazza aveva abortito in segreto poco tempo prima, in quanto maggiorenne, in seguito ad una torbida storia di sesso.
Ecco, questa è violenza parentale nuda e cruda, sia per la qualità psicologica che la quantità delle violenze.
Ma il saltuario ceffone non è reato. Anzi, se "ci azzecca" può anche essere pedagogico.