Quando si parte da un presupposto sbagliato si può solo dare origine ad una catena di errori. Nello specifico mettere al centro della vita, e delle relazioni tra gli esseri umani, l'elemento emotività è sbagliato in partenza. La parola "emozione" viene da "emotus" participio passato di "emovere" cioè trasportar fuori, scuotere, smuovere; ed evoca sopra ogni cosa immagini di AGITAZIONE e SCONVOLGIMENTO. Abbandonarsi all'emotività è quindi prima di tutto permettere che il nostro essere venga stravolto da una energia a cui se vogliamo condurre una vita costruttiva e cosciente dobbiamo sbarrare la via. L'emozione in sé non è né positiva né negativa, né utile né inutile, è semplicemente una realtà di fatto, come l'avere appetito (suppongo che non manchino nemmeno gli studi su quanto e come mangiano gli uomini e su quanto e come mangiano le donne).
Adesso voler sostenere che chi è più incline a lasciarsi sconvolgere dalle vicende umane sia un essere più completo o migliore di chi invece resiste alla tentazione di aprire la porta ad ogni sorta di melanconie e pensieri irrazionali è semplicemente assurdo.
Essere emotivi non significa essere più "buoni", se mio figlio si rompe una gamba davanti ai miei occhi e io comincio a frignare e disperarmi sì, sono emotiva, ma sono stupida, perché l'emozione mi sconvolge al punto da paralizzarmi, impedendomi di soccorrerlo.
Il mondo dell'emozione e quello dell'intelligenza sono come la notte e il giorno, la luna e il sole, il femminile e il maschile, dai tempi dei tempi...
Trovo del tutto naturale, OLTRE CHE INDISPENSABILE, che gli uomini siano meno emotivi delle donne, non solo per una questione di necessità (cioè qualcuno sto mondo deve pur mandarlo avanti, e non è piangendo che lo si fa), ma anche per una questione di incarnare principi diversi, il regno del sentimento non è il regno dell'intelligenza, e ogni essere deve realizzarsi nel proprio ambito. Ovviamente in ogni uomo questi due regni coesistono, solo crescendo si impara ad equilibrare la personalità in modo da non eccedere né in un senso né in un altro.
Infine ritengo che il piangere davanti gli altri - da adulti - sia una mancanza di pudore, perché si "trascina fuori" appunto qualcosa di molto intimo, che non è fatto per essere mostrato a chiunque, perché le cose che ci fanno commuovere sono indice delle cose che più ci sono care, e le cose che più ci sono care sono indice delle nostra pochezza umana.
Intanto ... bentornata.
Però devo dire che il tuo post mi lascia un po perplesso, nel senso che è giusto ciò che dici, che sentimento significa "trasportar fuori", ma è sbagliata l'interpretazione che ne dai, quantomeno parziale.
Noi osserviamo che in tutti i rapporti umani, dal cameriere che
serve il cliente, al sottoposto verso il suo
superiore, è il
dipendente che non può
trasportar fuori quello che sente, l'altro invece, manifesta quello che gli pare, ergo, secondo questa considerazione, certo una delle varie facce della medaglia, laddove uno può e l'altro no,
forse, significa proprio che è da questa
manifestazione che si evince e si rivela un rapporto di dipendenza.
Per me questo è un punto centrale sul quale non ci sono compromessi, nel senso che il maschile non potrà mai
evolversi finché rimarrà (falsamente) trincerato dietro il concetto pretestuoso che l'uomo è meno emotivo -
Si, ma perché?Diverso è poi l'altro aspetto dell'emotività come incapacità di saper affrontare una situazione d'emergenza sia più dannosa che utile, ma se vogliamo ben vedere, e questo ben dimostra la mia tesi (che è il punto centrale,
la faccia più importante della medaglia).
Se il pompiere si spaventasse dinanzi alla torre in fiamme (certo che si spaventa e non vorrebbe entrare, ma suvvià,
siamo uomini o femminucce?) - se il cameriere invece di rendersi utile al cliente rompicoglioni
lo mandasse a fare in culo, se il dipendente si abbandonasse alle sue emozioni invece di fare bene il suo compito, sarebbero tutti di ben poca utilità per chi .... devono servire.
Ed infatti torniamo ai fondamenti: La donna per l'uomo è uno scopo, l'uomo per la donna è un mezzo (Alphonse Karr)
Animus