Autore Topic: Nicolai Lilin: Violenza utile?  (Letto 1014 volte)

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Offline jorek

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Nicolai Lilin: Violenza utile?
« il: Ottobre 03, 2011, 15:37:55 pm »
Nicolai Lilin: Violenza utile?
Num°03 Pratiche

Case coloniche scrostate, coi kalashnikov nascosti in cantina fra le botti di sidro e cavolo marinato. Una geografia di orti e vecchie auto senza targa, galline razzolanti e viottoli fangosi sulla riva destra del fiume Dnestr, Nistru per i rumeni e i loro cugini moldavi, da cui il nome Transnistria che ancora oggi i russi chiamano Pri-Dnestrovije e considerano una loro provincia imperiale sud-occidentale, sotto le cui colline ancora dormono poderosi arsenali tattico-strategici risalenti all’epoca dell’Urss. In quella periferia, nella città di Bender – Teghina per la Moldavia, teoricamente Stato sovrano ma di fatto rimasto ai margini della regione secessionista russofona – ha mosso i suoi primi passi, trent’anni fa, il giovane che oggi si fa chiamare Nicolai Lilin e ha firmato per Einaudi nel 2009 il suo romanzo criminale dell’adolescenza post-sovietica, Educazione siberiana, rivelatosi un caso editoriale anche perché scritto avventurosamente nella lingua del paese in cui il giovane profugo è approdato nel 2003, con addosso le stimmate di una biografia ferocemente violenta: prima la guerriglia delle baby-gang nelle strade di Bender e poi la guerra vera, in Cecenia, raccontata con spietato realismo nel diario Caduta libera uscito sempre per Einaudi nel 2010.

«Mia figlia ha solo cinque anni e ha già imparato a smontare e rimontare la pistola: gliel’ho insegnato perché penso che potrebbe sempre esserle utile, un giorno». La platea raggelata è quella di Emergency, autunno 2010, meeting di Firenze, di fronte alla quale Lilin sciorina il suo pensiero: la guerra è utile, se non altro perché costringe la realtà a gettare la maschera e svela la natura violenta e irriducibile del mondo. Quel giorno, a “tradurre” il giovane scrittore russo è stato l’amico vignettista Vauro Senesi: «Dovete capirlo, quello che ha vissuto non gli consente ancora di sintonizzarsi con la nostra comune sensibilità». Cosa aveva detto, Lilin? La bambina e la pistola, certo. Ma senza dimenticare un “consiglio” agli esterrefatti militanti della Ong di Gino Strada: «Quando tornate a casa, prendete il televisore e gettatelo dalla finestra: vi racconta solo frottole». Spiegazione: «La televisione vi invita a consumare in modo irresponsabile, senza mai dirvi che il vostro cosiddetto benessere deriva da ingiustizie mostruose, commesse lontano dai vostri occhi. E in questa immensa ingiustizia, quelli che pagano il conto per intero sono sempre i soliti, i poveri cristi mandati al fronte come soldati e i civili che hanno la sfortuna di finire sulla loro strada».

Grandi reduci italiani – da Nuto Revelli a Emilio Lussu, fino a Mario Rigoni Stern – hanno elaborato una loro cognizione del dolore partendo dalla testimonianza del conflitto vissuto. Primo Levi è andato oltre, facendo della propria drammatica riflessione la ragione stessa della sua vita pubblica: fino al capitolo sulla “violenza inutile”, che esplora le tenebre nel quale si addentra il suo terribile testamento spirituale, I sommersi e i salvati, che mostra la disperata vulnerabilità di ogni umanesimo di fronte all’abisso della violenza, cieca come un bombardamento magari “umanitario” o sadicamente pianificata dagli impresari della morte. Se una scrittrice come Agota Kristof nell’amarissima Trilogia della città di K. scandaglia poeticamente l’inferno del dolore di fronte al problema della violenza politica del ‘900, istituzionalizzata dai regimi totalitari, il narratore-guerriero Nicolai Lilin è costretto a confessare la sua particolarissima tortura: la violenza ai tempi del consumismo, del liberismo globalizzato e spensierato; la macelleria invisibile e asimmetrica che oppone eserciti e milizie, che sfracella civili e soldati a due passi da città tranquille dove la gente vive al riparo e all’oscuro di tutto, bevendosi le narrazioni frammentarie e reticenti dei media embedded, mentre a poche centinaia di chilometri si spara, si uccide e si muore.




http://www.spaziofilosofico.it/numero_03/1407/nicolai-lilin-violenza-utile/