Autore Topic: Viva Gian Burrasca  (Letto 1664 volte)

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Offline Nemo90

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Viva Gian Burrasca
« il: Ottobre 12, 2011, 18:40:41 pm »
Sto mettendo a posto la mia affollata e disordinata libreria, quand'ecco che il mio occhio s'imbatte in un volume che pensavo aver perso da anni. Vetusto e frusto, dalla copertina verde sgualcita e dalla rilegatura sfilacciata, stampato presso gli stabilimenti grafici Giunti Marzocco di Firenze nell'anno domini 1975. Un po' malandatato, ma eccolo lì.
In prima pagina, il titolo, vergato in una grafia infantile e grossolana: l'indimenticabile Giornalino di Gian Burrasca.

Appartenne a mio padre prima di me, e credevo di averlo da tempo buttato.
Invece eccolo lì, sepolto fra Il libro delle canzoni della Melevisione e la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, fra le mie primissime letture. Mia madre lo aveva classificato come "ricordo dell'infanzia", sistemandolo nell'apposita sezione, assieme a tutti i libri che ho letto alle elementari: da Cuore a L'isola del tesoro. Lo prendo, soffio via la polvere e lo riapro, staccando con dita esperte le pagine appiccicaticce. Mi siedo su una delle scatole in cui contavo di archiviare i libri che non leggo più, e mi immergo nei primi capitoli.

Ecco che riaffiorano i ricordi, le divertenti e familiari scenette mi tornano alla mente. I personaggi, vividi e ironici, le descrizioni salaci e il lessico spicciolo ma appropriato. Ecco la ricca e in quanto tale assai blandita zia Bettina, ecco l'ipocrita, barbuto e attualissimo avvocato Maralli, che si professa gran socialista e poi si sposa piamente in chiesa - quanti Maralli, al giorno d'oggi! -, ecco il collegio Pierpaoli diretto dal marzialissimo signor Stanislao che poi si fa malmenare dalla moglie Gertrude... sfoglio avidamente il Giornalino, cerco e ritrovo particolari che ricordavo, ma ora il libro m'appare sotto un'altra luce, e non riesco più a ridere.

L'ho letto per intero l'ultima volta a dodici anni, ed ero allora troppo piccolo per capirne appieno il valore morale. Ora, Gian Burrasca si dipana davanti a me come un'inclemente ritratto dell'ipocrita società italiana dalla doppia faccia e dalla doppia morale: ogni episodio mostra un imbarazzante lato degli «adulti», che reprimono ad ogni occasione la fresca innocenza di Giannino. Mi stupisco di quanto poco sia cambiata la società italiana dal 1905 ad oggi: con qualche ritocco, pare d'essere nel 2011. Stessi atteggiamenti, stessa maledetta mentalità del «salvare la faccia», stesso mortifero e asfissiante strato d'ipocrisia che permea tutto e tutti.

Il minimo comun denonimatore in tutto ciò è il narratore: Giovanni Stoppani, detto Giannino dagli amici e «Gian Burrasca» da nemici e diffamatori, perché fa «più danni della grandine».
Oppure, più criticamente, perché in quanto bambino non è ancora toccato dalla sporca logica degli «adulti», e la sua incondizionata, vitale innocenza svela impietosamente le patetiche trame dei personaggi, la sua commovente purezza d'animo si contrappone fieramente alla misera slealtà del mondo.

Richiudo il libro, deciso a rileggermelo per intero quanto prima, trasportato dalla narrazione avvincente e scorrevole del Vamba. La sera, fra le coperte, accendo l'abat-jour e lo leggo tutto. Due volte. Finisco alle tre di notte, conquistato dalla prosa. E poi, un buon sonno ristoratore.

Giannino è il prototipo del ragazzo «monello e ribelle all'autorità paterna»: acuto, intelligente, insofferente alle regole, vitale, fantasioso, infruttuosamente irregimentato in schemi grigi e polverosi dagli adulti che da lui vogliono solo una cosa: il silenzio. Silenzio sulla loro ipocrisia, silenzio sulla loro venalità, silenzio sui loro frivoli pettegolezzi, silenzio in casa e a scuola. Vogliono un automa, un replicante che non li costringa a confrontarsi con la loro incapacità di rispettare gli standard morali che vorrebbero imporre al brillante Giannino.

Vogliono Maria.
Maria è la paffuta «brava e bella bimba» che per un breve periodo soggiorna a casa Stoppani, una bambina apparentemente perfetta, pacifica, non dà problemi, è brava bella intelligente e diligente. Si accontenta di giocare scioccamente con la sua bambola, mentre Giannino vuole aprirla, farla a pezzi, vedere come funziona.
Quelli di Vamba erano altri tempi, in cui si poteva scrivere impunemente che «Le bambine, in generale, sono dei veri tormenti, e non somigliano punto a noi ragazzi» (18 novembre), ma l'ideale di «brava bambina» silenziosa e diligente è rimasto invariato, ora come allora.

Ora come allora, Maria viene coccolata sul sofà con «una tazza di brodo bollente con l'uovo dentro», mentre Giannino viene punito e picchiato per la sua esuberante intraprendenza e vivacità.
Maria, portabandiera del conformismo e della silenziosa assimilazione, contro Giannino, eroe della vitalità e della freschezza.

Quanti Giannino, al giorno d'oggi, vengono sgridati e rimproverati perché fanno danni mentre tentano - maldestramente - di «scoprire», di fare, di vedere, di rivoltare i sassi per cercare i vermi, di mettersi in mostra con la loro vivace intelligenza? Quanti Giannino sono stati chiamati «scellerato» e «disgraziato» per aver innocentemente seguito la loro natura?
Quante Marie vengono lodate perché se ne stanno in un angolo a baloccarsi con la bambola, buone buone, inerti e silenti? A quante Marie è stata data la «tazza di brodo bollente con l'uovo dentro», per premio al loro conformismo?

Dobbiamo riscoprire Gian Burrasca. Non il libro. Anche quello, come ottimo ritratto della società e dell'animo umano, ma, soprattutto, dobbiamo riscoprire l'essenza ribelle di Gian Burrasca.
Dobbiamo scrollarci di dosso Maria, con la sua stucchevole e diabetica perfezione, e valorizzare Gian Burrasca.

Perché Gian Burrasca è la speranza dell'Italia.
Gian Burrasca è libero, Gian Burrasca è puro, Gian Burrasca vuole fare, vuole infrangere quel cadaverico e ottocentesco oleogramma della «brava bambina» che fa i suoi compitini e poi basta, a giocare con la bambola, perché sennò i grandi si arrabbiano.
Gian Burrasca è un eroe destinato a fallire, perché sfida la paura più grande degli «adulti» e del loro esoscheletro di menzogne: la paura di essere esposti per quel che veramente si è, la paura di guardarsi allo specchio e vedere una società gretta, incatramata in paradigmi sociali e regole del «quieto vivere», patetica nella sua debolezza, viziosa e ricolma di difetti. Maria è rassicurante, non fa domande strane, sta solo nel suo angolo, non dà problemi e non ne riceve. Maria piace a tutti, perché è certamente bella e paffuta, ha dei bei capelli a sei anni pare già adulta. Ma cos'è un «adulto»? Qualcuno che già precocemente si conforma, si appiattisce.

Gian Burrasca, invece, no. Lui non è adulto, non è stato ancora contagiato. Lui è scomodo.
Lui fa domande impertinenti, lui combina disastri, lui fa danni, lui è creativo.

Gian Burrasca è attualissimo.
Gian Burrasca è innocente.
Gian Burrasca è il vero rivoluzionario, il vero ribelle.
Viva Gian Burrasca.


Offline Nemo90

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Re: Viva Gian Burrasca
« Risposta #1 il: Ottobre 12, 2011, 18:45:24 pm »
PS: Per chi non abbia mai letto il libro, può trovarlo qui su WikiSource.
http://it.wikisource.org/wiki/Il_giornalino_di_Gian_Burrasca
L'episodio da cui ho preso spunto inizia qui e prosegue per qualche giorno.
http://it.wikisource.org/wiki/Il_giornalino_di_Gian_Burrasca/18_novembre

È un vero peccato che un sì bel libro sia stato volgarmente sfregiato in quel ributtante adattamento cinematografico con Alvaro Vitali che ogni tanto danno sui canali locali.