non è nuovo , ma è interessante
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articolo di sabato 06 settembre 2008
La Gelmini ci salverà dalla scuola matriarcale
di Geminello Alvi
Si vive di apparenze, giacché a ben vedere abbiamo in questa vita solo quelle. E a
studiarsela nelle foto la ministra Gelmini Mariastella parrebbe perfetto archetipo di
professoressa, con nome acconcio. Adatto allo scassato gineceo di laureate in crisi di
nervi, che educano alla noia gli studenti con la stessa stanca fretta con cui fanno la spesa.
Perché questo è ora in Italia la scuola: luogo dove non solo la cultura massificandosi s’è
immiserita; come previsto da Nietzsche. Ma inoltre pure sede di procedura
devirilizzante, per esclusiva somministrazione di insegnanti donna. Dalle tre maestre per
classe alle schiere di casalinghe traviate nelle medie superiori, dove il livello finale di
ignoranza risulta peggiore addirittura di quello europeo. E la Gelmini di questo insistito
spreco di anime giovani, per via di massificazione e matriarcato, parrebbe coi suoi
occhialini la perfetta incarnazione. Invece ci sorprende: da ministra, sia benedetta,
difende i due atti più sani ed eversivi che potevano pensarsi. Dimagrisce in un triennio di
87 mila unità gli, e soprattutto le, insegnanti; proclama la riforma delle scuole in
fondazioni. E la direi solo perciò genio virile e pratico.
La scuola di Stato fu un espediente napoleonico, col quale si costrinse l’istruzione ai
tornaconti statali. L’istruzione divenne un permesso di Stato, con programma di studio
prescritto, che doveva accordarsi ai fini politici. Fosse quella di Bismarck o di Crispi
cambiava poco: il sistema doveva creare un’élite utile alla burocrazia prima, e nel
Novecento alla massificazione, fino alla decadenza presente, di una cultura la cui misura
è solo il denaro, l’economia. Questo l’esito della scuola statale: una società in cui molti,
più di prima, leggono libruzzi, ma sono rare e molto desuete le menti originali e libere,
anche se tutti si pretendono tali. Oggi del resto la scuola non forma neppur più le élite:
asseconda le manie di massa, che l’utile inventa e la tv plasma. Questo il disastro, del
quale va preso atto. Concluso da una riforma Berlinguer che ha completato la
distruzione ultima di quanto non era stato già guastato dal ’68. La nostra università è
ormai l’imitazione di una università americana, ma pensata da un comunista albanese.
Insomma tutta la scuola ormai perpetua l’uccisione della morale e del libero pensiero,
con la complicità dello Stato. E appunto perché terminerebbe questa pessima complicità,
una scuola articolata in fondazioni sovvertirebbe il male, e migliorerebbe tutto.
Infatti una scuola di fondazioni, o un’università, sarebbe una nella quale i sindacati non
avrebbero il consenso della politica, come lo hanno avuto per rovinare le elementari o
viziare i bidelli. Sarebbe una scuola a cui lo Stato potrebbe conferire parte dei suoi
immensi e morti patrimoni da far fruttare, così da limitare le spese correnti. Il
conferimento di doni privati permetterebbe in sovrappiù di reclutare docenti migliori,
forse anche maschi, e di pagarli meglio sulla base del loro merito. I concorsi statali per
21/10/2011 00:50
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insegnanti, come i provveditorati, lande immorali, svanirebbero. Il reclutamento
riguarderebbe solo il merito: sarebbe cooptazione dei migliori, senza più Tar. E sarebbe
peraltro pure la fine della pessima scuola privata che ci ritroviamo. La fine del valore
legale dei titoli di studio renderebbe vani i corsi di recupero. E le scuole esclusive si
misurerebbero sul pregio degli insegnanti e degli alunni; non più sul censo. Conterebbe
solo il pregio, il che richiederebbe finalmente la fine del libro di testo. Un sogno, nel
quale la natura pubblica della scuola sarebbe peraltro garantita da borse di studio per i
meritevoli. Gli altri, non nati per studiare, si addestrerebbero ai nobili lavori manuali,
così da limitare gli immigrati, nonché l’odierno spreco energetico nelle palestre.
Vantaggi per il bilancio statale, e per la morale, per i mestieri non celebrali, e sollievo
spirituale e virile di una nazione. Questo l’esito di quanto dice ora la Gelmini, redenzione
delle apparenze e delle professoresse, rivolte speriamo a altri destini.
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