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La maggioranza maschile è un fattore dello sviluppo in Cina
Due economisti americani d’origine cinese dimostrano che la progressione del PIL per abitante nel paese più popolato del mondo è dovuta alla sovrapresenza degli uomini
Statistiche e ricerche rivelano l’indubitabile svantaggio della posizione femminile anche nei paesi più democratici e con un alto livello di benessere diffuso.
I governi più avanzati hanno attuato negli ultimi quaranta anni politiche di tutela e azioni di welfare mirate a sostenere l’effettiva parità dei diritti e delle opportunità tra i generi. Sociologi, economisti e politologi hanno sostenuto, con gli studi realizzati nelle stesso periodo, il fondamento delle rivendicazioni femminili e i vantaggi correlati per la società, l’economia e la politica.
La parità procede a fatica e la resistenza ad avvantaggiare gli uomini nelle carriere, nei riconoscimenti economici e nelle condizioni familiari, continua malgrado tutto.
Lo studio di Shang-Jin Wei, professore di Economia, Finanza e Business alla Columbia University e di Xiaobo Zhang, ricercatore senior dell’IFPRI, «Sex ratios, entrepreneurship, and economic growth in the people’s Republic of China», apparso nell’ultimo numero del prestigioso National Bureau of Economic Research, va decisamente contro corrente, anche se si riferisce a una realtà lontana.
I due accademici hanno scoperto che l’incremento ventennale, a due cifre, del PIL cinese è dovuto allo squilibrio nella composizione sessuale della popolazione. Gli uomini sono più delle donne e, nelle coorti sotto i ventanni, costituiscono addirittura un’eccedenza di 32 milioni, il 20% di differenza.
Secondo i dati ufficiali, la Repubblica popolare cinese è abitata da 1 miliardo 300 milioni di persone, un quarto di quelle che vivono sul pianeta. Ma la superficie coltivabile è appena il 7%.
Il governo di Deng Xiao Ping decise perciò una rigidissima politica di pianificazione familiare, che culminò in una legge per il controllo delle nascite nel 1979.
Furono stabilite le giuste dimensioni delle famiglie, i limiti di crescita della popolazione nel 2000, fu introdotta la regola del figlio unico.
Gli strumenti attuativi di questa politica furono la posticipazione dell’età matrimoniale minima, il differimento delle gravidanze dalla data del matrimonio, l’intervallo di quattro-cinque anni tra il primo e il secondo figlio, concesso nel 1984 con una flessibilità stabilita a livello provinciale.
La legge del 1979 è tuttora in vigore e si ritiene perciò che almeno un altro mezzo miliardo di Cinesi non siano mai stati registrati all’anagrafe.
Shang-Jin Wei e Xiaobo Zhang hanno analizzato i dati ufficiali sull’entità e la composizione sessuale della popolazione cinese e li hanno correlati con quelli delle statistiche sui matrimoni e le creazioni d’impresa.
Ne hanno ricavato che la maggioranza maschile ha contribuito alla crescita continua del PIL nell’ultimo ventennio, stante l’elevato impegno per orario e ritmo di attività abituale degli uomini, che lavorano come dipendenti d’azienda.
Un’ulteriore spiegazione è venuta dal fatto che per potersi sposare i Cinesi devono avere la dote. La concorrenza a conquistare le donne è forte e le famiglie ci tengono a non lasciare scapolo il primo e spesso unico figlio.
Fonte:
http://iriospark.splinder.com/post/24382580