(Se avete commenti, suggerimenti o critiche, siete i benvenuti)
Il gelo dello stomaco
«Il cibo fa schifo. Dicono che è da lì che ci fanno la merda»
Trovato su un blog
Parte I: Nei visceri e oltre
«Ana» può non sembrare il nome di una dea. Di primo acchito, sembra un nome caldo, ispanico, che fa pensare al tango e alle Canarie. Niente di più lontano.
Invece è proprio il nome di una dea.
Una dea sanguinosa, crudele, spietata, che esige riti, libagioni e costanti sacrifici umani, oltre alla devozione totale dell'adepta. Una dea che raramente perdona chi devia e che va implorata e supplicata nei momenti di dubbio. Ma è anche una dea che aiuta chi si sottomette alla sua ala.
È una dea che si raffigura come la lupa dantesca: scheletrica, emaciata, dalla pelle consumata e dalle ossa sbriciolate, ma nonostante questa magrezza carica di ogni malvagità. Ana è la dea Kali della società contemporanea. È venerata nelle oscure e inaccessibili catacombe della società, fra i blog e i forum privati, nel segreto più assoluto. È un culto misterico, iniziatico, che si nasconde alla vista e alla conoscenza e a cui di solito si arriva dopo un percorso personale, mai per invito. Ana non nasconde quel che dà: dolore, sofferenza, isolamento, annientamento; vomito, diarrea, pelle ingiallita, denti erosi, a volte sangue – ma non quello mestruale, quello, e la fertilità che rappresenta, è fra i primi ad andarsene. Ma promette molto: promette sicurezza, promette forza, promette purezza, promette
controllo in cambio di sacrifici indescrivibili.
«Ana» è la divinizzazione dell'anoressia.
Tutto ha inizio con una svista. Stavo cercando «analogia» su Google, ma per sbaglio premo Invio e mi appaiono i risultati per «ana». Prima che possa correggere l'errore, un risultato mi salta all'occhio: dopo la rassicurante Associazione Nazionale Alpini c'è un criptico
Pro Ana Per Sempre, un blog, accompagnato da una sintetica descrizione: «Questo è un blog dichiaratamente Pro-Ana..se non condividete questa filosofia siete gentilmente pregati di abbandonare immediatamente il» e tanto basta a incuriosirmi. Lì per lì, lo ametto, penso a qualche santone. La realtà è peggio, molto peggio.
Lo schermo sfuma in un cupo sfondo nero, in cui campeggia una eloquente immagine di una donna nuda, bagnata: è esile, magrissima, deforme, ha i fianchi grottescamente compressi verso l'interno. È chiaramente un fotoritocco. Altre foto simili, di modelle e attrici filiformi, costellano la pagina. Più tardi, scoprirò che si chiamano «Thinspiration».
Comincio a leggere i primi post, l'ultimo in ordine di pubblicazione risale a gennaio, è un blog inattivo. Si intitola «Pronta», e dalle primissime parole già intendo l'antifona: parla di diete, di pesi ideali, di quei cinquanta chili, delle feste in cui si è mangiato troppo. Di blog simili ve ne sono a bizzeffe, in cui ci si lamenta per i fianchi che si allargano e il sedere che sprofonda. Qui, però, i post sono venati di qualcosa che non so bene come definire, ma che potrebbe semplicemente essere ossessione: «
ma da ora fino alla fine niente piu' errori..ODIO SBAGLIARE» e poi: «
adesso solo lei nella mia testa..solo ANA..solo una cosa nella mia testa.. dimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredima griredimagriredimagriredimagriredimagriredimagrir edimagriredimagriredimagriredimagriredimagriredim agrdiredimagriredimagrire». Gli altri post sono sulla stessa falsariga: continue invocazioni di questa «Ana», a cui ci si rivolge come ad una dea, una dea severa ma benefattrice: «
Mi vergogno di questo!!
ANA perdonami..non avrei dovuto..lei mi vuole bene..lei ci vuole aiutare..a stare finalmente bene!! a farci perdere tutto questo grasso». Ancora non so chi sia Ana, ma presto lo scoprirò, continuando a leggere. Il blog è un monotono susseguirsi di diari alimentari, in cui spesso gli alimenti sono sostituiti da un inquietante «nulla» o da un eufemistico «aria fredda», complicate somme algebriche di calorie ingerite ed estenuante attività fisica, liste di cibi ipocalorici, sfoghi psicologici che spesso straripano nel patetico. E, ovviamente, Ana. Che l'autrice spesso supplica di perdonarla per gli sgarri, per le abbuffate. Abbuffate che poi tanto abbuffate non sono: un singolo Baiocco, un innocuo biscotto, è meritevole di un «maledizione!», se confrontato con una giornata in cui l'autrice ha ingerito solo tre biscotti «integrali senza zucchero» e «cento grammi d'insalata». E nient'altro.
Purtroppo, non è solo questo blog. A fianco, fra i link, ne trovo altri, quasi tutti con «Ana» nel titolo, quasi tutti uguali. È una rete, ne conto almeno una trentina, ma sicuramente ve ne saranno di più, molti di più, al «servizio» di tutte le migliaia o centinaia di migliaia di anoressiche d'Italia.
Visto uno, visti tutti. Sono tutti identici, tutti tristi e gelidi.
Mentre navigo, la sensazione prevalente è il gelo. Sento freddo. Il termosifone è caldo e sono avvolto in un caldo plaid, ma fa freddo. Quelle misere parole, quei pietosi appelli ad Ana trasudano una sofferenza inimmaginabile, che mi penetra nelle ossa e nel cervello. Leggo i drammatici racconti di Giulia, di Arianna, di Michela, di Lulu, di Betty, di Claire e di tante altre ragazze come loro, tutte rinchiuse in questa follia.
Perché, prima volevo solo farvi entrare nell'atmosfera, Ana non esiste, non esiste nessuna dea Ana: Ana è una follia. Ana è il frutto della teratogenesi di una mente malata, è l'aberrante parto di un'anima perversa, è l'abisso oscuro in cui queste povere psicolabili sono finite, e da cui non possono più uscire. Alcune, le più mature, quelle che hanno vissuto anni convivendo con l'anoressia, riconoscono che Ana è nient'altro che un patetico modo in cui il cervello cerca di difendersi dall'immane sofferenza, un disperato tentativo di razionalizzare la malattia mentale. Se ne rendono conto, non negano. Affermano che è troppo tardi, che non possono più uscirne, che non ne hanno la forza. I loro lugubri blog sono un susseguirsi di profonde riflessioni filosofiche, intessute di rimpianto, dolore e solitudine. Alcune sono laureate. Sono donne già adulte, bruciate, inaridite, dagli ventri prosciugati e dall'animo inacidito.
Ma sono una minoranza. Le più, giovanissime, adolescenti o perfino preadolescenti, credono genuinamente in questa allucinante divinità. Ci credono davvero. Ho faticato ad accettarlo, ma è così. Idolatrano Ana, idolatrano la personificazione della malattia che le sta disfacendo. La venerano. È l'unico modo in cui il loro debole cervello riesce a proteggerle dal dolore. Per loro Ana è una vera e propria religione.
Ci sono i farneticanti «Thin Commandaments», i dieci comandamenti dell'anoressia, ci sono le icone di «sante» da venerare, Kate Moss e Kristen Stewart, e c'è il libro sacro, la delirante «lettera di Ana»: «
Permettimi di presentarmi. Il mio nome, o quello datomi dai cosiddetti "medici", è Anoressia. Anoressia Nervosa è il mio nome per esteso, ma tu puoi chiamarmi Ana. Possiamo diventare auspicabilmente grandi socie» esordisce. In questa lettera, scritta con cruda vividezza da una mano anonima, una mano che sarebbe meglio tagliare, Ana promette rigore, promette durezza, promette punizione, promette disciplina. Promette dolore, espiazione, come in una pazza ricerca di una catarsi: «
Ti trascinerò in bagno, sulle tue ginocchia, a fissare nel vuoto della tazza del cesso.Le tue dita saranno ti si cacceranno in gola e, non senza un bel po' di sofferenza, la tua festa di cibo risalirà. Questo deve essere ripetuto, fino a quando non sputerai sangue e acqua e ti renderai conto che è tutto andato. Quando ti rialzerai, avrai una sensazione di vertigine. Non svenire. Alzati immediatamente. Tu vacca grassa questo dolore lo meriti», «
Sei mia e mia e sola. Senza di me, non sei nulla.Sono il tuo bene più grande». Non credo che questi passi necessitino di commento.
Fa davvero molto freddo.
Mi sento congelare. Chiedo a mio padre, in salotto, se il termostato sia al massimo. Gli dico di alzarlo. Mi accoccolo sulla sedia, sedendomi sulle ginocchia. Sento un algido torpore nelle dita, mentre navigo fra i blog. Le storie di queste ragazze si srotolano davanti a me, insanguinate di sofferenza e dolore. Mi colpisce la vividezza espressiva con cui si descrivono e descrivono il loro calvario. Parole dure, taglienti come un bisturi, che ti squarciano. Parole giuste, appropriate, come mai sono uscite dalla penna del miglior romanziere.
Fa veramente freddo. Prendo il portatile e mi metto nel letto, sepolto sotto uno strato di coperte e piumoni.
Sento un suono, viene dalla scheda di
Pro Ana Per Sempre. Una specie di “pop”. Scopro che c'è una chat, prima non l'avevo notata. Nonostante il blog è inattivo da quasi un anno ormai, è molto frequentata. Si parla degli argomenti che potete intuire: come dimagrire, sono alta tot e peso tot, sono una foca, voglio dimagrire, come si diventa anoressiche. Una, però, mi colpisce.
-- RIMOSSO --
Fa davvero freddo, anche sotto le coperte.
Mi fanno delle domande, mi chiedono se sono «pro» e intendono «pro-Ana», mi fanno domande specifiche, quanto pesi e quanto sei alta, digiuni, che dieta segui, conti le calorie. Io vado nel panico, accanto a me sul comodino c'è un tavoletta di cioccolato a metà, io sono – è strano dirlo – sano. Rispondo a monosillabi, invento dati, non so cosa sia l'Imc, è l'Indice di Massa Corporea, dico le prime cose che mi vengono in mente, do le misure della mia ragazza che so essere magra. Mi contraddico. Ad un certo punto, spengo tutto. Rimango per un lungo minuto nel buio della mia stanza, respirando. La pioggia batte contro le persiane.
Tremo. Urlo a mio padre di alzare il maledettissimo termostato.
Parte II: Digestione
Accento l'abat-jour.
Il mio viaggio nell'anoressia finisce qui, decido. Ho esplorato molti blog, conosciuto molte storie.
Queste sono le mie riflessioni.
Credo che le femministe sbaglino quando attribuiscono la colpa dell'epidemia di questo disturbi alla «cultura maschilista sessualizzata oggettificante fallocratica». Non è così semplice, temo. L'anoressia, leggo su Wikipedia, esiste da ben prima della cultura mediatica di tette e culi al vento: sante e nobildonne ne erano affette.
In più, le storie che ho letto non sono di disperata ricerca della bellezza. Ana e le sue adepte non sono estete. Sanno di essere brutte, repulsive, ossute. Sanno che le coetanee crudeli le deridono e i coetanei inebriati dagli ormoni le deridono. Il grasso, che ovviamente non c'è quasi mai, e se c'è si liquefà in fretta dopo i primi digiuni, è solo un pretesto per convogliare nell'anoressia problemi psicologici ben più che gravi che il timore di non essere belle.
Spesso, fin troppo spesso, queste bambine nominano una parola che da loro dovrebbe essere lontanissima: morte. Morte attraverso Ana. Morte, annullamento.
Ma spesso, nominano altre parole, altre cose che Ana dà loro, in cambio dell'indicibile: parole strane in questo contesto: disciplina, durezza, ordine, controllo. Dà loro regole, per quanto insensate. Dà loro una sorta di protezione dal mondo esterno. Le protegge, le indica la strada, le rassicura.
Di queste ragazze, un'altra cosa mi ha colpito: la quasi totalità ha pessimi rapporti con i genitori. La madre è quasi sempre giovane, dal carattere debole ed infantile, spesso anche lei ha bisogno d'aiuto. Il padre è assente. Sempre. Non è mai nemmeno nominato. Il padre.
Non sono psicanalista, non posso azzardare nulla. Posso solo citare lo studio secondo il quale le ragazzine che hanno un rapporto d'affetto con il padre biologico sono molto meno propense a sviluppare l'anoressia. Non mi spingo oltre.
Attraverso le parole delle ragazze, vengo in contatto con quello che ritengo essere un lato oscuro della femminilità, un cui simulacro oggi la società porta in trionfo come vittoriosa e sovrana, dimenticandosi del suo lato debole, insidioso. Del suo lato reale.
Ma non solo: anche dei gelidi rapporti interpersonali, della solitudine e dell'isolamento che la società applica senza pietà ai suoi membri più bisognosi d'aiuto. Quelle ragazze si rivolgono ai blog perché non hanno nessun altro. È la loro forma di sostegno reciproco, dà loro la sicurezza di non essere sole.
C'è un'ultima storia che voglio condividere con voi. È quella di Arianna.
Il suo blog,
Don't stop ana, inizia nel 2009, e dura tre anni. Tre lunghissimi anni di sofferenza, con un padre assente e una madre psicolabile, viziata, fra amiche crudeli e festini a base di droga, tre anni di insensibili medici disfattisti, disinteressati e sbrigativi, di ricoveri insensati e di inefficaci cure di formalità. Tre anni che sembrano concludersi con la catastrofe: Arianna viene abbandonata dalla madre e sembra in procinto di suicidarsi. Però, mesi e mesi dopo, ecco un ultimo post. C'è una foto: Arianna, che aveva i capelli di uno sciapito biondo platino, castana. Sorride, è abbronzata, sta bene. Da quel che scrive, sembra sia accaduto il miracolo. Dice di star, lentamente e faticosamente, guarendo.
Piango di commozione, è più forte di me, non sono un duro.
Arianna è anche il nome della mia fidanzata.
---
Sitografia.
*
http://proanapersempre.blogspot.com/ Pro Ana Per Sempre*
http://sfogodi100parolemaidette.splinder.com/post/21967424/lettera-di-anaancora-una-volta Lettera di Ana*
http://proana4life.blogspot.com/ Don't stop ana*
http://anoressia.splinder.com/ Anorexia Nervosa - Uno dei (credo) blog più antichi su Ana, con il primo post risalente al 2005 e l'ultimo al luglio 2011.