Le case per i padri separati. Come centri di accoglienza per gli sbarcati dalla malagiustizia [1]Roma, Milano, Bolzano, Firenze. E poi Liguria, Toscana, Sicilia....Progetti già realizzati e molti altri che vedranno la luce, con tutta probabilità, nel corso del 2012, complice il clima da assistenzialismo che è il naturale portato di questa crisi economica senza precedenti dal dopoguerra ad oggi. Consigli comunali e regionali, assessori alle politiche sociali e parlamentari fanno a gare per affermare, con inesorabile gradualità, la validità di uno strumento di sostegno che, a ben vedere, comincia sempre più a somigliare a quelli che vengono usati per accogliere gli extracomunitari.
La metafora è calzante e facile nello stesso tempo: dalle coste della povertà indotta dalla malagiustizia familiare barconi di genitori separati - per lo più padri - approdano da clandestini dell'affetto nel nuovo mondo dove regna il falso condiviso. Il paragone non inganni, perchè il viaggio è esattamente al contrario: dalla normalità e dagli agi verso la povertà, e non viceversa. Ed infatti, mentre i nostri fratelli nordafricani hanno dalla loro il miraggio di una vita migliore - e molti ci riescono, tanto che oggi, grazie ai contributi pagati, costituiscono l'ossatura del nostro sistema pensionistico a ripartizione -, il prodotto dei tribunali italiani, invece, è ben consapevole della discriminazione a cui va incontro, e non per questo non la combatte. Gli scafisti che sversano gli affetti nella discarica della malagiustizia civile vestono i panni più disparati. A volte sono giudici, sempre più spesso assistenti sociali e non raramente avvocati senza scrupoli.
Le case per i padri separati, anche se non nascono con questo spirito, finiscono per diventare uno strumento che avalla l'operato di magistrati e servizi sociali in tema di famiglia. Esse validano un sistema che andrebbe combattuto con altri mezzi. La prospettiva di un incremento di queste iniziative -sappiamo bene come presto diventerà un fatto di tendenza per i politici di turno - porta a pensare che si spenderanno tanti soldi. decine di milioni di euro, che se da un lato risolvono (temporaneamente) i problemi solo di qualche centinaio di genitori, dall'altro continuano a mantenere lo status quo della discriminazione per sesso.
Si vuole forse ripetere l'esperimento, condotto con grande successo, delle case famiglia, che tanto fruttano a gestori e operatori ?
Il rischio c'è, ed è alto. Più di quanto possiate immaginare. Se il frutto del business delle case famiglia (circa 2 mld di € l'anno) fosse destinato, pro quota, alle famiglie in difficoltà, che risultato avremmo ? E' presto detto. Dei 34.000 bambini "ospitati amorevolmente" nelle comunità, almeno 20.000 provengono da nuclei con forti difficoltà economiche o caratterizzati da conflittualità da separazione. Se lo Stato destinasse la metà dell'affaire ad ogni famiglia - ipotizzando che l'altra metà (1 mld) vada speso per quei bambini vittime di violenza e abusi - ognuna di esse riceverebbe ogni anno 50.000 euro....
Orbene, vista l'esperienza italiana, non vorremmo che tale deriva si ripetesse anche per i padri separati. Anche perchè, a ben vedere, la cura non guarisce la malattia, e tali strumenti lasciano immutato il sistema che discrimina i genitori e ingrassa gli operatori. In più, ma non meno importante, consente di mantenere intatto il potere nelle mani di chi oggi lo amministra con tanta scorrettezza e incompetenza.
Le case di accoglienza per papà separati sono il segno innegabile ed evidente di una sconfitta per la Società. Ma anche di una vittoria, per chi vuole che tutto rimanga uguale a prima.
Fonte: Redazione (Adiantum)
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http://www.adiantum.it/public/2797-le-case-per-i-padri-separati.-come-centri-di-accoglienza-per-gli-sbarcati-dalla-malagiustizia.asp