In rilievo > Una risata vi sommergerà

Donne in piazza: vogliamo tutto e di più perchè noi siamo le più meglio

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Nemo90:
Piazza del Popolo a Roma può ospitare fino a 65 000 persone; il fatto che l'avessero scelta significa che si aspettavano un afflusso di molto maggiore. Ad ogni modo, anche secondo me la cifra è gonfiata, anche perché viene dagli organizzatori... qualcuno sa i dati della Questura? E poi, basta vedere i video e le foto per rendersi conto che di gente ce n'era piuttosto poca.

jorek:
cmq dai toni usati mi è smebrata una manifestazione da bimbeminchia....

Guit:
<<Donne nelle piazze italiane. "Siamo il futuro">>

Mi chiedo: la gente l'ha capito che i sessi sono due?


Guit:
Secondo me ci vorrebbe una megamanifesto per far rientrare tutti nella realtà:

<<LE DONNE SONO IL FUTURO MA I SESSI SONO SOLO DUE>>

Purtroppo gli tocca prenderne atto: sono solo due. Mannaggia.

<<Pensavamo che erano di più>>

Fazer:
http://www.ilgiornale.it/interni/le_donne_tornano_piazza__ma_ora_nessuno_se_ne_accorge/12-12-2011/articolo-id=561775-page=0-comments=1

Donne ancora in piazza Ma questa volta  nessuno se ne accorge

Per la prima volta in campo nell’era del governo tecnico. Senza Berlusconi sono costrette a rispolverare i vecchi slogan di sinistra. E i media le snobbano

Dire «le donne» è come dire «i biondi» o «i meridionali»: non significa nulla. Indica una qualità specifica talmente diffusa (il sesso, come il colore dei capelli o il comune di nascita) da lasciare impregiudicato tutto il resto.

E infatti ci sono donne grasse e magre, di sinistra e di destra, ricche e povere, intelligenti e sceme, casalinghe e manager, madonne e puttane: e questo, naturalmente, vale anche per gli uomini, per i biondi, per i meridionali e per tutte le altre categorie che la sociologia e la burocrazia hanno inventato e continuano ad inventare.
Alcune donne la pensano però diversamente, e si considerano «le donne». Senza se e senza ma. Per natura e per legge. In quanto colte, emancipate e di sinistra, queste donne si considerano l’aristocrazia naturale del loro genere, e di conseguenza si rappresentano come la totalità: se tutte le donne fossero illuminate - così sembrano dire - la penserebbero come noi, e dunque siamo legittimate a rappresentarle. Con questo trucco ereditato dal peggior paternalismo, in realtà, le donne emancipate e di sinistra nascondono appena un certo disprezzo per le altre, per le donne qualunque, per le donne di ogni tipo che popolano il vasto mondo.
 
Ieri alcune donne si sono riunite a Roma e in una decina di altre città d’Italia: è stata la prima manifestazione del movimento «Se non ora quando» dopo la caduta di Berlusconi, ed è stato, naturalmente, un fallimento. Sul palco di piazza del Popolo si sono avvicendate Lunetta Savino, Emma, Erica Mou, l’Orchestra Europa Musica, Paola Turci, Marina Rei. Qualche migliaio di persone in piazza, due righe in cronaca: né poteva andare altrimenti.
 
«Se non ora quando» non è mai stato un movimento femminista (tantomeno femminile), ma un brand dell’antiberlusconismo militante. Le grandi manifestazioni del 13 febbraio scorso avevano davvero poco a che fare con i diritti e le rivendicazioni delle donne, e moltissimo invece con la guerra al Caimano: per questo furono un successo. Ma ora che il Caimano si è ritirato, a tenere alta la bandiera della lotta restano soltanto le seconde file: Tiziana Ferrario che proclama «Basta con il modello Olgettine» e Paola Turci che denuncia «i 15 anni del governo Berlusconi segnati per le donne da condizioni miserabili e sottocultura». Con analisi così raffinate, non stupisce che la piazza sia rimasta vuota.
 
«Se non le donne, chi?» era il titolo della manifestazione di ieri, «non contro un governo - spiegano educatamente le organizzatrici - ma per parlare al governo, per costruire insieme un paese in cui le donne possano sentirsi finalmente cittadine». Il fatto è che questa petizione di principio si traduce poi in una piattaforma rivendicativa degna del più agguerrito microsindacato corporativo: «tutela» del Welfare, no all’aumento dell’età pensionabile femminile, assegno «universale» di maternità, «quote rosa» e 50% dei posti in Parlamento e al governo. In pratica, soldi e quote garantite. Più o meno come i sudtirolesi.
 
E qui il cerchio sembra chiudersi: le donne che pretendono di rappresentare «le donne», venuto meno l’entusiasmo antiberlusconiano e ridimensionato (per fortuna) il moralismo neomedievale dei mesi scorsi, diventano uno dei tanti sindacati di cui è costellata la nostra infelice Repubblica: non più genere (né tantomeno soggetto di liberazione individuale e collettiva), «le donne» si propongono come semplice categoria protetta.
Il diritto alla libera realizzazione di sé diventa un obbligo stabilito dalla legge; il merito e la libera competizione - fra le donne e fra i sessi - sono cancellati dall’egualitarismo burocratico delle «quote rosa»; al centro delle rivendicazioni non c’è lo sviluppo delle potenzialità di ciascuna, ma la richiesta di censure preventive (sui giornali e in tv) e contributi statali a pioggia per tutte. In questa involuzione corporativa, «le donne» non si discostano troppo da gran parte della sinistra, di cui condividono tic e ossessioni. E infatti Camusso e Vendola hanno salutato con entusiasmo la manifestazione di ieri.

Grattata la crosta scintillante dell’antiberlusconismo, la conservazione del modello sociale italiano, fondato su un reticolo infinito di microprivilegi e sussidi, sembra essere la preoccupazione dominante della sinistra oggi maggioritaria. Bisognerebbe invece cominciare a guardare al futuro: se non ora, quando?

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