http://www.tempi.it/ungheria-il-riconoscimento-del-cristianesimo-infastidire-leuropaUngheria: «È il riconoscimento del cristianesimo» a infastidire l'Europa
«Noi siamo orgogliosi del fatto che mille anni fa il nostro re, Santo Stefano, abbia fondato lo Stato ungherese su solide fondamenta, e reso il nostro paese parte dell’Europa cristiana. Siamo orgogliosi che la nostra gente per secoli abbia difeso l’Europa in una serie di battaglie e arricchito i valori comuni dell’Europa con il suo talento e la sua diligenza. Riconosciamo il ruolo della Cristianità nella salvaguardia della nazione. Siamo legati alle diverse tradizioni religiose del nostro Paese. Promettiamo di preservare l’unità intellettuale e spirituale della nostra nazione distrutta nelle tempeste del secolo scorso. Le nazionalità che vivono con noi fanno parte della comunità politica ungherese e sono parti costitutive dello Stato».
È questo il preambolo della costituzione ungherese, voluto dal governo di Viktor Orban, che controlla due terzi del parlamento. Per alcuni si tratta di un attacco alla democrazia e già durante la serata di gala organizzata per festeggiare la firma del nuovo codice, l’opposizione ha manifestato fuori dal teatro dell’Opera di Budapest. Gli aspetti ritenuti più critici sono quelli che riguardano il matrimonio, riconosciuto solo tra uomo e donna, l'inclusione di disposizioni sui temi etici (come l’aborto) e la riduzione della libertà di stampa. «È soprattutto il riconoscimento del ruolo del cristianesimo a colpire l’attenzione, in assoluta controtendenza rispetto a un'Europa scialba, che ha scelto di dimenticare le sue radici» commenta il professor György Domokos, direttore di italianistica presso Universita Péter Pázmány di Budapest. «Non sono un giurista, ma da un punto di vista culturale si tratta di un comune punto di partenza. Chi conosce le proprie radici, può guardare serenamente agli altri. Chi ama la propria nazione, si apre più volentieri».
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L'Unione Europea, però, si chiede se in Ungheria ci sia una democrazia o una dittatura. «È assolutamente un errore. Un premier che può contare sui due terzi del Parlamento può parlare diversamente: magari usare l’indicativo invece che il condizionale. Ma questo non vuol dire che si tratti di una dittatura, lo trovo un termine assolutamente esagerato. Una maggioranza assoluta è una ricchezza, se ben sfruttata: finalmente abbiamo un governo forte, che può varare riforme rimandate da troppo tempo. È possibile che dopo questo attacco mediatico crollerà ed è un peccato: personalmente, credo che poter attuare questi cambiamenti sia un bene». Al netto dello slancio nazional-clericale (la dicitura “Repubblica ungherese” è stata sostituita con la più semplice “Ungheria”) la Carta costituzionale subordina la Banca centrale al governo. L’obiettivo era quello di non rientrare nei limiti del tetto al debito pubblico, ragion per cui il pareggio di bilancio è stato inserito nella Costituzione. Ma è esattamente quanto il Fondo monetario internazionale e Ue chiedevano a gran voce di non fare. La riforma della Banca centrale proprio non va giù: il rischio è che la politica monetaria si connetta ai cicli elettorali, generando confusione, oltre che violando il trattato di Lisbona. Budapest è così finita nel mirino della speculazione finanziaria, con rendimenti dei titoli di Stato ai minimi storici. Per il premier ungherese la legge controversa è assolutamente conforme ai Trattati europei; si è detto comunque aperto ad ogni modifica, in base alle proposte concrete della Commissione Europea.
La crisi economica del paese (e non da oggi) è infatti strutturale, irrisolvibile senza l’aiuto esterno. La situazione è molto delicata: «Il debito estero è ingente, ereditato da quando negli anni '70 il Fmi diede fortissimi finanziamenti all’Ungheria comunista» spiega Filippo Farkas, presidente dell’associazione imprenditoriale Cdo Hungary. «Lo sviluppo non c’è stato, a causa della corruzione fortissima del sistema di allora, e il debito non è mai stato cancellato». Ma come viene percepita la situazione dai cittadini ungheresi? La vicenda vista dall’interno è più sfaccettata di come appare sulla stampa europea, almeno stando alle parole di Farkas: «C’è molta delusione, ci sentiamo attaccati. E non capiamo perché proprio ora, che abbiamo un governo che si è dimostrato amico dell’Occidente, lasciandosi andare a esclamazioni atlantiste, spesso fin troppo forti. La cosa triste è che a livello popolare in questi mesi è andata crescendo l’idea che seguire questa Europa significhi impoverirsi. Essere ora accusati di essere gli affondatori dell’Unione Europea, è francamente un po’ ridicolo».
Ma perché inserire il pareggio di bilancio in Costituzione? «Perché quello che abbiamo ereditato era un governo in rosso. E si voleva andare a centrare strumenti che erano stati allentati, con conseguenti abusi di potere. Inoltre se si deve decidere una politica finanziaria in un giorno o due, e se non c’è sintonia totale tra Banca centrale e governo, i rischi sono elevati: si possono bruciare miliardi in poche ore». L’eccessivo accentramento non rischia, a sua volta, di scivolare nell’autoritarismo? «L’intento è quello di portare un po’ di ordine nel Paese. Chiamandolo dittatura si fa molto male all’Ungheria, e all’Europa stessa. c’è fretta, questo sì: a volte non c’è preparazione. Ma da qui a chiamarlo fascismo, ce ne passa. Anche perché la destra, quella vera, è fuori dal governo, e cavalca lo scontento. Decidere di affondare deliberatamente chi cerca di creare un po’ di equilibrio è demenziale». E le manifestazioni di piazza? «Una trappola mediatica, creata astutamente dall’opposizione socialista. Le immagini delle proteste per l’aumento dell’Iva, che è al 27%, e che interessa la maggioranza dei cittadini, non sono circolate: come mai?»
Per Farkas il sentimento di delusione nei confronti dell’Europa investe anche e soprattutto il Parlamento: «Si tratta di una coalizione di centrodestra, non c’è spazio per partiti xenofobi o ottusamente nazionalisti. Erano convinti che più si fossero ancorati all’Occidente, più si sarebbero salvati dalle radici vetero-comuniste. Invece ora che l’ancora è stata lanciata, e il paese reale si aggrappa alla corda, si continua ad affondare». E con le dichiarazioni di identità, come la mettiamo? «Non bolliamole come bigotte. Non piacciono? Parliamone, creiamo un dibattito. Ma non fingiamo che questo sia un problema. Se l’Ungheria desse disposizioni diverse in tema di aborto, sarebbe più affidabile agli occhi dei mercati? Qualcuno davvero pensa che mettendo mano alla Costituzione, e scrivendo che Dio non esiste, il fiorino recuperi immediatamente?».