Autore Topic: Petrolio: il punto di non ritorno è ormai superato  (Letto 1317 volte)

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Re: Petrolio: il punto di non ritorno è ormai superato
« Risposta #1 il: Febbraio 10, 2012, 13:38:06 pm »
Induscutibilmente, la produzione mondiale di petrolio ha già "piccato", cioè raggiunto il suo massimo
e sta già declinando. Sentire, a questo proposito, le lezioni di Eugenio Benettazzo.

Offline Incursore

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Re: Petrolio: il punto di non ritorno è ormai superato
« Risposta #2 il: Febbraio 11, 2012, 14:27:40 pm »
Ma lasciamo perdere quella cazzata del picco di Hubert.
Leggere per credere.

I Russi sfatano la Teoria del Peak Oil – è fasulla come l’effetto serra

John O’Sullivan, Climate Realists 8 settembre 2010

I russi dimostrano che il carburante ‘fossile’ è spazzatura scientifica   legata alla teoria del riscaldamento globale. Il petrolio è dimostrato essere originato dai minerali, non da organismi fossilizzati. Niente più paura per  la contrazione delle riserve, come dicono gli esperti del petrolio naturalmente ‘rinnovabile’.
 Sì, avete letto bene e più di 2.000 revisori scientifici dell’Europa orientale sinistramente ignorati dai governi e dai media mainstream occidentali, sostengono tale affermazione. Dalla metà del 20.mo secolo, gli scienziati sanno che la teoria dei combustibili fossili è falsa e hanno dimostrato irresistibilmente che il petrolio deriva da depositi di minerali altamente compressi dalle profondità alla superficie. Ma la conseguenza più sorprendente di questi risultati, è che il petrolio è una fonte rinnovabile dalla rigenerazione costante in natura.
 Dalla crisi petrolifera del Medio Oriente degli anni ’70, i produttori di benzina hanno attizzato le paure mediatiche secondo cui le riserve del nostro pianeta sono velocemente in declino. Il termine  ‘picco del petrolio’ fu coniato e ci fu detto che i ‘combustibili fossili’ dovrebbero diventare sempre più costosi, mentre il nostro appetito insaziabile seccherà, bevendola, questa fonte ‘finita’ di energia liquida.
 Tale propaganda adattata agli interessi dell’industria petrolifera e dei governi occidentali, sistematicamente sostenuta da debole una teoria scientifica che riflette di molto la truffa della teoria dell’effetto serra, che a sua volta è stata il veicolo per la tassazione delle emissioni di anidride carbonica.
 Entrambe le storie sono state agitate dall’universale connivenza dei media e degli scienziati del mondo accademico, finanziati dal governo, sistematicamente collegati in sincronia per decenni, grazie ai lacci dei finanziamenti.

Riposizionamento della teoria come fatto
 In tutti questi anni i termini ‘peak oil‘ e ‘combustibili fossili‘ sono stati sinonimi. Essi implicano che siamo inesorabilmente di fronte alla diminuzione delle risorse naturali e i giorni dell’energia a basso costo, a base di carbonio, sono finiti. Soppiantata nella coscienza pubblica come reale, abbiamo sempre più accettato come inevitabile l’aumento continuo dei prezzi dell’energia come conseguenza del nostro stile di vita da consumatori. I giornalisti hanno spigolato loro ‘prove’ di un tale racconto apocalittico dagli squallidi libri come ‘La lunga emergenza: sopravvivere alla fine del petrolio, cambiamenti climatici, e altre catastrofi convergenti del XXI secolo’ di James Howard Kunstler e ‘Party’s Over: Oil, War and the Fate of Industrial Societies’ di Richard Heinberg, tra gli altri, e al pubblico sono state vendute le paure.
 Costantemente alimentato con una dieta a base di questa immondizia, il nostro inconscio collettivo ha involontariamente consentito la trasformazione della Teoria del Picco del Petrolio di Hubbert in un dato di fatto sui combustibili fossili.
 Di conseguenza, nel 2005, il rappresentante del Congresso Roscoe G. Bartlett, repubblicano del Maryland, e il senatore Tom Udall, un democratico del New Mexico, hanno creato di colpo il Congressional Caucus Peak Oil. Gli scienziati che dissentivano dalla gregge, vennero diffamati o ignorati. Negli anni ’80, l’eminente scienziato inglese, Sir Fred Hoyle FRS, tentò, e fallì, di denunciare l’imbroglio dei sostenitori della teoria dei combustibili fossili e della diminuzione delle riserve di petrolio mondiali. Hoyle, senza i vantaggi del web mondiale, ha cercato ripetutamente di denunciare questo imbroglio.
 “L’idea che il petrolio deriverebbe dalla trasformazione di qualche pesce schiacciato oda  detriti biologici è sicuramente la più sciocca idea che sia mai stata accolta da un numero rilevante di persone, per un prolungato periodo di tempo“.
 Insieme con altri scienziati occidentali, Hoyle ha rifiutato di netto la linea politicamente corretta, come evidenziato in un crescente numero di articoli per ristabilire l’equilibrio sull’economia del petrolio. Mentre anche diversi studi del professor Michael C. Lynch, del Massachusetts Institute of Technology, denunciarono il mito di “esaurimento del petrolio“, dimostrando la genesi ad alta pressione del petrolio. Nessuna voce dei media ne riferì nulla.

La Russia diventerà la prossima Superpotenza Energetica Mondiale
 Solo in Russia, una nazione che ha schivato la supremazia militare per diventare una potenza economica mondiale, ha accolto le parole di Hoyle e Lynch, trovando una comunità di scienziati che la pensano allo stesso modo. Infatti, al di fuori del mondo di lingua inglese non vi è alcuna controversia e si parla comunemente di petrolio quale prodotto minerale, e non un prodotto biologico, e come tale il nostro pianeta ne ha infinite riserve non sfruttate.
 Come conseguenza dell’applicazione di questa conoscenza, la Russia è andata sempre più rafforzandosi, capitalizzando astutamente la sua riserva di ‘oro liquido‘. “Potrei descrivere la mentalità di questo momento, dell’elite politica russa, come imbevuta di ‘petrofiducia’”, così dice Cliff Kupchan del gruppo Eurasia, in un’intervista con la BBC.
 Infatti, tra il 1951-2001, migliaia di articoli e numerosi libri e monografie sono stati pubblicati soprattutto nelle principali riviste scientifiche russe  comprovanti le origini del petrolio abiotico – tutti ignorati dai governi e dai media occidentali. Ad esempio, l’esperto VA Krajushkin, da solo, ha pubblicato più di duecentocinquanta articoli sulla geologia del petrolio moderno, e diversi libri.
 I mineralogici, esploratori petroliferi e successivi governi russi, nei bui giorni dell’ex Unione Sovietica, sono stati irrimediabilmente ottimisti nel ritenere che avrebbero liquidato il ‘picco del petrolio e i combustibili fossili’ come sciocchezze. E chi siamo noi per discutere – loro hanno i soldi in banca per dimostrarlo. Come risultato, la Russia è ben inserita come secondo esportatore di petrolio più grande del mondo e sta diventando, così, preminente nel campo della prospezione di petrolio e gas e nell’innovazione, con la nazione che s’è imposta di sostituire gli Stati Uniti non come forza militare, ma come superpotenza energetica mondiale del 21° secolo

Petrolio la nostra più grande fonte di energia rinnovabile naturale
 Sfruttando la sua tecnologia d’avanguardia, la Russia ha scoperto con successo numerosi campi petroliferi, alcuni dei quali producono in parte o interamente da un basamento cristallino, e che appaiono nettamente auto-alimentai. Sì, avete letto bene -la Russia gode della migliore fonte di energia rinnovabile naturale- il petrolio! Non miliardi sprecati nelle aziende agricole eoliche, solare o negli elefanti bianchi delle onde. Infatti, per i nostri cugini dell’ex Unione Sovietica, l’idea del ‘peak oil’ è ridicola perché, se i calcoli sono giusti, il petrolio è il più abbondante, efficiente ed economico carburante rinnovabile, e durerà almeno per molte centinaia di anni a venire.
 Scontento dal fatto che i Russi possano avere un così lampante e potente grande vantaggio, l’Occidente  ora utilizza la blogosfera nel contribuire a riforgiare la riemersione del mito del picco del petrolio e dei combustibili fossili. Così dice Daniel Yergin, il vincitore del Premio Pulitzer, autore di “The Prize: The Epic Quest for Oil, Money and Power” e presidente della IHS Cambridge Energy Research Associates, una società che fornisce consulenze ai governi e all’industria.
 Yergin, come  altri, cita come convincente la prova che il MSM non vi mostrerà; questi teorici del combustibile non-fossile nominano gli alcalini, i cherogeni e molti altri prodotti chimici del petrolio che sono stati trovati sui meteoriti, che sappiamo  possono supportare una vita non organica e quindi comprovanti la bugia della teoria dei combustibili fossili.

Perché ancora ci mentono?
 Infatti, la teoria dei combustibili fossili è così zoppicante che anche i suoi sostenitori più striduli non sono in grado di mettere insieme la più debole delle prove a sostegno della loro posizione. In “La controversia sul petrolio abiotico” l’esponente di punta dell’origine abiotica (fossile), Richard Heinberg ammette che il suo caso è esposto a un continuo logorio.
 “Forse un giorno ci sarà un accordo sul fatto che, almeno un po di petrolio, sia davvero abiotico. Forse ci sono davvero cinture di metano a 20 miglia sotto la superficie della Terra.”
 Così scarse sono le prove a sostegno di Heinberg e degli altri teorici occidentali pro-combustibili fossili, che leggendo un suo articolo ‘The Evidence for Limitless Oil and Gas’ (Digital Journal), Bill Jencks rivela: “Ho cercato su Internet con Google Scholar, e non sembra esserci nessuna ‘prova assoluta’ o sostegno diretto dalle moderne ricerche sulla Teoria biogenica del petrolio e della formazione del gas. Questa teoria, in mancanza di una parola migliore, sembra essere molto ‘assunta’ da parte dei geologi in ogni ricerca geologica.”
 Come me, Jencks ha trovato una montagna di prove a sostegno delle rivendicazioni russe. Dal Istituto congiunto di Fisica della Terra dell’Accademia delle Scienze Russa di Mosca, troviamo fonti incredibili, rivelate da una tesi di JF Kenney, che condanna la obsoleta “ipotesi anacronistica” del 18° secolo, secondo cui, in qualche modo, il petrolio si è evoluto (miracolosamente) da detriti biologici, e che pertanto è dall’abbondanza limitata.
 Invece l’ipotesi dei combustibili fossili è stata sostituita, nel corso degli ultimi quaranta anni, dalla moderna teoria russo-ucraina delle origini del petrolio abiotico dalle profondità della Terra, che hanno stabilito che il petrolio è un materiale primordiale eruttato da grandi profondità. Kenney dice: “Perciò, l’abbondanza del petrolio è limitata solo dalla quantità dei suoi componenti, poiché furono inseriti nella Terra al momento della sua formazione, e la sua disponibilità dipende dallo sviluppo tecnologico e della competenza nelle esplorazioni“.
 Nel duello scientifico diretto Teoria del Picco del Petrolio contro moderna teoria russo-ucraina, i russi vincono a man bassa. Ma rimane un anacronismo peculiare che non esista un organismo, statunitense o anglofono, che possa  verificare o confutare la scienza russa.
 Ma perché ancora ci mentono? Con riluttanza nel correggere questi difetti intellettuali, non c’è da meravigliarsi che ci sia una crescente insoddisfazione tra gli elettori e i pensatori anglofoni e dell’UE. Coloro che studiano con attenzione i fatti, ora concludono ragionevolmente, che al di là della media, è difficile affermare che non ci sia una crisi energetica, che il mondo ha abbondanza di petrolio a buon mercato rinnovabile e che un altro mito ambientalista deve essere abbattuto senza pietà.

Riferimenti:
 Kudrjavtsev NA, 1959. Geological proof of the deep origin of Petroleum. Trudy Vsesoyuz. Neftjan. Nauch. Issledovatel Geologoraz Vedoch. Inst. No.132, pp. 242-262 (in russo)
 Kudryavtsev NA, 1951. Against the organic hypothesis of oil origin. Oil Economy Jour. [Neftyanoe khoziaystvo], no. 9. – pp. 17-29 (in russo)
Fonte:http://aurorasito.wordpress.com/2012/01/14/i-russi-sfatano-la-teoria-del-peak-oil-e-fasulla-come-leffetto-serra/


Confessioni di un ex credente del ‘Peak Oil’


La buona notizia è che gli scenari di panico per il mondo a corto di petrolio nel breve tempo, sono sbagliate. La cattiva notizia è che il prezzo del petrolio è destinato a continuare a crescere. Il picco del petrolio non è un problema nostro. Lo è la politica. Big Oil vuole mantenere elevati i prezzi del petrolio. Dick Cheney e amici sono tutti troppo disposti ad aiutare.
 Nota personale, ho studiato le questioni del petrolio dal primo shock petrolifero degli anni ’70. Sono stato incuriosito, nel 2003, da qualcosa chiamato teoria del Peak Oil. Sembrava che spiegasse la d’altronde inspiegabile decisione di Washington di rischiare il tutto per tutto in una mossa militare contro l’Iraq.
 I sostenitori del Peak Oil, guidati dall’ex geologo della BP, Colin Campbell, e dal banchiere texano Matt Simmons, sostengono che il mondo affronta una nuova crisi, la fine del petrolio a buon mercato, o il picco del petrolio assoluto, forse entro il 2012, forse entro il 2007. Il petrolio era presumibilmente alle sue ultime gocce. Hanno indicato nella impennata dei nostri prezzi della benzina e del petrolio, il calo della produzione del Mare del Nord, in Alaska e in altri campi, come la prova che avevano ragione.
 Secondo Campbell, il fatto che nessun nuovo grande giacimento del Mare del Nord sia stato scoperto dalla fine degli anni ’60, ne era una prova. Secondo quanto da lui riferito, riuscì a convincere di ciò l’Agenzia Internazionale dell’Energia e il governo svedese. Ciò, tuttavia, non prova che abbia ragione .

Fossili Intellettuali?
 La scuola del Peak Oil poggia la sua teoria sui convenzionali manuali di geologia occidentali, la maggior parte dei geologi britannici o statunitensi, che dichiarano che il petrolio è un ‘combustibile fossile’, un residuo o detrito biologico dei resti fossili di dinosauri o forse di alghe, e quindi un prodotto dall’offerta finita. L’origine biologica è fondamentale per la teoria del Peak Oil, utilizzata per spiegare perché il petrolio si trova solo in alcune parti del mondo, dove s’è geologicamente intrappolato milioni di anni fa. Ciò significherebbe che, per esempio, i resti di un dinosauro morto vengono compressi e per decine di milioni di anni, fossilizzati e intrappolati in giacimenti sotterranei a, forse, 4-6000 metri sotto la superficie della terra.  In rari casi, così gira la teoria, enormi quantità di materiale biologico sarebbero state intrappolate in formazioni rocciose al largo di mari poco profondi, come il Golfo del Messico o il Mare del Nord o il Golfo di Guinea. La geologia dovrebbe solo cercare di capire dove siano queste sacche negli strati della terra, chiamati giacimenti, che si trovano all’interno di alcuni bacini sedimentari.
 Una teoria interamente alternativa sulla formazione del petrolio esiste dai primi anni ’50 in Russia, quasi sconosciuto in Occidente. Essa sostiene che la convenzionale teoria dell’origine biologica statunitense è un assurdo scientifico, e che non è dimostrabile. Essi sottolineano il fatto che i geologi occidentali hanno predetto più volte che il petrolio sarebbe finito nel secolo scorso, solo per scoprire, poi, di più, molto di più.
 Non solo questa spiegazione alternativa sulle origini del petrolio e del gas esiste in teoria. L’emergere della Russia e prima dell’URSS, come il più grande produttore mondiale di petrolio e gas naturale, si è basata sull’applicazione della teoria nella pratica. Questo ha conseguenze geopolitiche di grandezza impressionante.

Necessità: la madre dell’invenzione
 Negli anni ’50 l’Unione Sovietica affrontava l’”isolamento” della cortina di ferro da parte dell’Occidente. La guerra fredda era al culmine. La Russia aveva poco petrolio per alimentare la sua economia. Trovare sufficiente petrolio indigeno, era una priorità della  sicurezza nazionale di prim’ordine.
 Gli scienziati dell’Istituto di Fisica della Terra dell’Accademia Russa delle Scienze e l’Istituto di Scienze Geologiche dell’Accademia Ucraina delle Scienze iniziarono un’indagine fondamentale nei tardi anni ’40: da dove proviene il petrolio?
 Nel 1956, il Prof. Vladimir Porfir’yev annunciò le loro conclusioni: ‘Il petrolio greggio e il gas naturale non hanno alcun legame intrinseco con la materia biologica proveniente dai pressi della superficie della Terra. Sono materiali primordiali che sono stati eruttati da grandi profondità.‘ I geologi sovietici avevano capovolto la geologia ortodossa occidentale. Hanno chiamato la loro teoria dell’origine del petrolio teoria ‘a-biotica’ -non-biologica- per distinguerla dalla teoria occidentale delle origini biologiche.
 Se avessero ragione, la fornitura di petrolio sulla terra sarebbe limitata solo dalla quantità di costituenti idrocarburici presenti nelle viscere della Terra, al momento della formazione della Terra. La disponibilità del petrolio dipenderebbe unicamente sulla tecnologia per perforare pozzi ultra-profondi e esplorare le regioni interne della terra. Hanno anche realizzato che vecchi campi potevano essere ricuperati per continuare a produrre, chiamandoli così campi che si auto-alimentano. Essi hanno affermato che il petrolio si forma nelle viscere della terra, si forma in condizioni di temperatura molto alta e pressione molto alta, come quella richiesta per formare i diamanti. ‘Il petrolio è un materiale primordiale di origine profonda, che viene trasportato tramite ‘freddi’ processi eruttivi ad alta pressione, nella crosta della terra‘, aveva dichiarato Porfir’yev. La sua squadra aveva respinto l’idea che il petrolio sia un residuo biologico di resti fossili di origine animale e vegetale, come una bufala destinata a perpetuare il mito dell’approvvigionamento limitato.

Sfidando la geologia convenzionale
 Tale approccio scientifico radicalmente diverso russo e ucraino portò alla scoperta del petrolio, che ha permesso all’URSS di sviluppare le enorme scoperte di petrolio e gas nelle regioni precedentemente giudicate inadatte alla presenza di petrolio, secondo le teorie occidentali dell’esplorazione geologica. La teoria del petrolio è stata utilizzata nei primi anni ’90, ben dopo la dissoluzione dell’URSS, per trivellare gas e petrolio in una regione creduta, per più di 45 anni, geologicamente sterile, il Bacino Dniepr-Donets della regione tra Russia e Ucraina.
 A seguito della loro teoria abiotica o non-fossile delle origini profonde del petrolio, i geofisici del petrolio e i chimici ucraini e russi, iniziarono con una analisi dettagliata della storia tettonica e della struttura geologica del basamento cristallino del bacino del Dniepr-Donets. Dopo una profonda analisi tettonica e strutturale  della zona, fecero delle indagini geofisiche e geochimiche.
 Un totale di sessantuno pozzi perforati, dei quali trentasette erano commercialmente produttivi, un tasso estremamente impressionante di successi dell’esplorazione di quasi il sessanta per cento. La dimensione del campo scoperto va comparato col North Slope in Alaska. Al contrario, la perforazione a gatto selvatico degli statunitensi, era considerato riuscito con un tasso di successi del dieci per cento. Nove dei dieci pozzi sono in genere dei “buchi secchi“.
 Questa esperienza geofisica russa nel ritrovamento di petrolio e gas, è stato avvolto dall’abituale velo sovietico di sicurezza dello stato, durante la Guerra Fredda, e rimase in gran parte sconosciuto ai geofisici occidentali, che hanno continuato ad insegnare le origini fossili e, di conseguenza, i gravi limiti fisici del petrolio. Lentamente cominciò a crescere l’idea, in alcuni strateghi dentro e intorno al Pentagono, ben dopo la guerra all’Iraq del 2003, che i geofisici russi potessero avere qualcosa di profonda importanza strategica.
 Se la Russia avesse il know how e la geologia occidentale no, la Russia possederebbe una carta strategica vincente dal dirompente effetto geopolitico. Non sorprende che Washington abbia iniziato a erigere un “muro d’acciaio“, una rete di basi militari e di scudi anti-missili balistici intorno alla Russia, per tagliare le sue pipeline e porti di collegamento con l’Europa occidentale, la Cina e il resto dell’Eurasia. È il peggior incubo di Halford Mackinder – una convergenza cooperativa di interessi reciproci dei principali stati dell’Eurasia, nata per necessità e bisogno del petrolio, per alimentare la crescita economica – sta emergendo. Ironia della sorte, sono stati i palesi arraffi statunitensi delle vaste ricchezze petrolifere dell’Iraq e, potenzialmente, dell’Iran, che ha catalizzato una più stretta cooperazione tra dei tradizionali nemici eurasiatici, Cina e Russia, e una crescente consapevolezza in Europa occidentale, che le loro opzioni sono  troppo esigue.

Il Re del Picco
 La teoria del Peak Oil è basata su un documento del 1956 di Marion King Hubbert, un geologo del Texas che lavorava per la Shell Oil. Egli ha sostenuto che i pozzi di petrolio seguono una curva di produzione a campana, e una volta il loro “picco” è raggiunto, segue un declino inevitabile. Ha previsto che la produzione di petrolio negli Stati Uniti avrebbe raggiunto il picco nel 1970. Un uomo modesto, che ha chiamato la curva di produzione che ha inventato, curva di Hubbert, e il picco Hubbert’s Peak. Quando la produzione di petrolio degli Stati Uniti ha cominciato a declinare intorno al 1970, Hubbert guadagnò una certa fama.
 L’unico problema era che non aveva raggiunto il picco a causa dell’esaurimento delle risorse nei campi degli Stati Uniti. Esso “ha raggiunto il picco“, perché Shell, Mobil, Texaco e gli altri partner della Saudita Aramco stavano inondando il mercato statunitense con importazioni di greggio a buon mercato del Medio Oriente, tariffe libere, a prezzi così bassi che molti produttori del Texas e della California non potevano competere, e furono costretti a chiudere i pozzi.

Il Successo del Vietnam
 Mentre le multinazionali petrolifere statunitensi erano impegnate a controllare i grandi campi facilmente accessibili di Arabia Saudita, Kuwait, Iran e altre aree a basso costo, durante l’abbondante petrolio nel corso degli anni ’60, i Russi erano impegnati a verificare la loro teoria alternativa. Hanno iniziato la perforazione in una regione apparentemente arida della Siberia. Vi svilupparono undici campi di petrolio e un campo gigante sulla base delle loro stime geologiche ‘a-biotiche’ in profondità. Perforarono il basamento di roccia cristallina e scovarono l’oro nero a una scala paragonabile a quella del North Slope dell’Alaska.
 Poi andarono in Vietnam negli anni ’80 e si offrirono di finanziare i costi di perforazione per mostrare come funzionava la loro nuova teoria geologica. La società russa Petrosov perforò la roccia basaltica del giacimento offshore White Tiger del Vietnam per circa 17.000 metri di profondità ed estrassero 6.000 barili di petrolio al giorno per nutrire l’economia affamata di energia del Vietnam. In URSS, i geologi russi addestrati alla teoria a-biotica, perfezionarono le loro conoscenze e l’URSS emerse come il più grande produttore mondiale di petrolio dalla metà degli anni ’80. Pochi, in Occidente, ne capirono il perché, o si presero la briga di chiederselo.
 Il Dr. JF Kenney è uno dei pochi geofisici occidentali  che hanno insegnato e lavorato in Russia, studiando con Vladilen Krayushkin, che ha sviluppato l’enorme bacino del Dnieper-Donets. Kenney mi ha detto, in una recente intervista, che “solo per produrre la quantità di petrolio che ha prodotto fino ad oggi il giacimento di Ghawar (Arabia Saudita) sarebbe stato necessario un cubo di resti di dinosauri fossilizzati, assumendo una efficienza di conversione del 100%, misurante 19 miglia in profondità, larghezza ed altezza“. In breve, una assurdità.
 I geologi occidentali non si preoccupano di offrire un seria prova scientifica dell’origine fossile. Esse si limitano ad affermarla come una santa verità. I Russi hanno prodotto volumi di documenti scientifici, la maggior parte in russo.  I giornali occidentali dominanti non hanno alcun interesse a pubblicare una tale visione rivoluzionaria. Opportunità di lavoro, intere professioni accademiche sono in gioco, dopo tutto.

Chiusura della porta
 L’arresto del russo Mikhail Khodorkovsky della Jukos Oil, nel 2003, è avvenuto poco prima di riuscire a vendere la quota maggioritaria di Jukos alla ExxonMobil, dopo un incontro privato con Dick Cheney. Exxon aveva ottenuto il diritto con cui avrebbe assunto il controllo della più grande risorsa del mondo che i geologi e gli ingegneri esperti nelle tecniche a-biotiche di perforazione profonda, avevano creato.
 Dal 2003 la condivisione scientifica russa della loro conoscenza è notevolmente diminuita. Offerte nei primi anni ’90 per condividere le loro conoscenze con gli Stati Uniti e altri geofisici del petrolio, avevano  incontrato un freddo rifiuto secondo i geofisici statunitensi coinvolti.
 Perché allora l’alto rischio della guerra per controllare l’Iraq? Per un secolo i giganti petroliferi occidentali, statunitensi e alleati, hanno controllato mondialmente il petrolio attraverso il controllo dell’Arabia Saudita o del Kuwait o della Nigeria. Oggi, mentre molti giacimenti giganti sono in declino, le società vedono i giacimenti petroliferi  statali dell’Iraq e dell’Iran come la restante più grande base di petrolio economico e di facile accesso. Con l’enorme domanda di petrolio dalla Cina e dall’India, ora, diventa un imperativo geopolitico per gli Stati Uniti  prendere direttamente il controllo militare di quelle riserve in Medio Oriente, il più velocemente possibile. Il vice presidente Dick Cheney, proviene dalla Halliburton Corp., la più grande compagnia di servizi geofisici petroliferi del mondo. L’unico potenziale che minaccia il controllo degli Stati Uniti del petrolio sembra che si trovi solo all’interno della Russia, e dai giganti dell’energia oggi controllati dallo stato russo. Hmmmm.
 Secondo Kenney, i geofisici russi utilizzano le teorie del brillante scienziato tedesco Alfred Wegener, da 30 anni prima che i geologi occidentali “scoprissero” Wegener negli anni ’60. Nel 1915 Wegener pubblicò il suo testo fondamentale, ‘L’origine dei continenti e degli oceani’, che suggeriva che una massa di terra originale o unificata, “Pangea“, più di 200 milioni di anni fa si divise negli attuali continenti, in quello che lui chiamava ‘spostamento dei continenti’.
 Fino  agli anni ’60, si suppone che scienziati statunitensi come il dottor Frank Press, consigliere scientifico della Casa Bianca, definisse Wegener un “lunatico“. I geologi, alla fine degli anni ’60, furono costretti a rimangiarsi le loro parole, mentre Wegener offriva la sola interpretazione che gli ha permesso di scoprire le vaste risorse petrolifere del Mare del Nord. Forse in alcuni decenni, i geologi occidentali ripenseranno la loro mitologia delle origini fossili e realizzeranno ciò che ai russi è noto fin dagli anni ’50. Nel frattempo Mosca ha una grande carta energetica vincente.
Fonte:http://aurorasito.wordpress.com/2012/01/14/confessioni-di-un-ex-credente-del-peak-oil/

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Re: Petrolio: il punto di non ritorno è ormai superato
« Risposta #3 il: Febbraio 11, 2012, 17:54:44 pm »
Incursore, una domanda: il petrolio è un idrocarburo= carbonio e idrogeno

come ci arriva sotto terra il carbonio e l'idrogeno?
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